lunedì 1 ottobre 2012

MANIPOLO (3) di Emilio Smunti


In parte, c'è da dirlo, l'aveva sempre voluto fare: un'attrazione morbosa proveniente da chissà dove, per quel mondo, quella gente, la Bellezza che è potere, le Bellone. In parte, in parte. Solo in parte, davvero, e soltanto in potenza. Mai passare all'atto, rigà, questo giammai. Solo desiderio, davvero, mero poter essere, astrazione, e solo a stille. Perdonabile, sù! Chi non...?
Ed era arrivata appena. Citofonare, articolare il proprio nome -nomignolo- e il portone alle spalle. Ci sarebbero cascati...vero? Le facce le aveva preparate, il goccio di alcool l'aveva ingollato, la scollatura era profonda, il trucco..bè, ci si era impegnata, per quanto possibile. Non era da lei -odiava esibirsi- ma forse la cosa sarebbe andata. Tutto bene, tutto liscio: l'aveva detto Gustav. E anche il Coordinatore -oh!- l'aveva sottoscritto.
Era pronta, era lì.."per lo shooting", bofonchiò. La voce tremolante, damn it, questa non ci voleva. "Vieni cara, perfetto orario" -voce tremante, Dio mio- "Come sei carina, sì" -forse ci cascano. Ed eccola, lei, a far da modella a quel Ferrante D'Aminta da rimorchio on the net. Il D'Aminta era un fotografo di professione, diceva, come diceva di averne 22, ma aveva una faccia sui 35-40. In effetti a delle mostre partecipava, e doveva pur guadagnare per avere a disposizione quello studio sterminato, attrezzato, patinato. Dio che bello, il Luogo x.
"Allora ti facciamo truccare da Elina, eh? Mettiti comoda..vedete voi per i colori..magari un po' di viola, visto il corpetto che indossi..molto bello eh, complimenti..com'è che ti chiamavi?" , "Io, Mana", "Giusto, Mana, è la prima volta che scatti, dicevi, no?", "Sì..", non ci cascano, "Lei è Elina, le piacciono le donne, ma non ti preoccupare che non ti mangia", non ci cascano, "Non va bene il trucco che già ho?" , "Di solito siete tutte contente di farvi truccare, approfitta, è gratis oh!", non ci cascano. Aveva sempre odiato farsi truccare: lo aveva scoperto nelle profumerie, quando nel tentativo di comprare un prodotto era più volte finita nelle grinfie delle -sì, è il loro lavoro, ok- gentilcommesse, che l'avevano coperta di ciprie e quant'altro facendola rabbrividire. Quell'attenzione ravvicinata al suo viso non la sopportava, e poi le belle donne la mettevano in subbuglio. Probabilmente le erano sempre piaciute anche le donne: non era mai passata all'azione per semplice bigottismo caratteriale.
Ed eccola nelle mani di Elina. Che bella Elina, avrebbe dovuto posare lei. "Che palpebre enormi, saresti la gioia di ogni truccatore!", "Veramente le ho sempre odiate, mi danno un'aria da ebete", "Macché, un'aria sognante, e poi è perfetto per stendere il colore...un po' di viola, diceva Fer, mi rubi il lavoro, Fer?!?", "Ahah ma dai, piuttosto, non ci provare con la nostra Mana che sennò me la agiti per il servizio, eh", "Ma fottiti, Fer". Che bella Elina, aveva i capelli scuro castagna e gli occhi azzurro intenso. Lei restava in silenzio. "Devi stare feeerma". Che odio. Gustav, in parte, gliel'avrebbe pagata. Chissà dov'era in quel momento, con chi. Meglio non pensarci, dannato bilingue. "Sei troppo in tensione, rilassati, oh, Mana, tranquilla!". Che odio, non ci sarebbero cascati. "Ehm..sì, sì, scusa, è che è solo un primo tentativo il mio, e..", "Ma dai che andrà bene, Mana, quel corpetto ti sta una favola" rassicurava il D'Aminta. "L'hai portato poi un bel completino intimo e un costume, no? Come s'era detto..", "Chiaro chiaro, ho tutto in borsa", "E non me la distrarre, Fer!". Lui, "Fer", passava la vita a raccattare Bellone e non tra pagine web, di modo che era circondato da un esercito adorante di donnine, pronte a tutto per qualche foto. E lei era una di loro, in quel momento: ridicolo, a pensarci. Lei conosceva il gotico antico, sapeva leggere in devanagari, amava il provenzale. Che ci faceva lì? "Un po' di lucidalabbra..".
Il D'Aminta aveva sistemato le luci, nel frattempo. E via con l'ammicco. Prima faccia da sfoderare: eccola (sopracciglia alzate, occhi fissi, bocca in clausura: un classico). "Non ci siamo, Mana, più sciolta, lasciati andare, non guardare in camera per ora, lascia fare". Non ci cascano. Clic. Seconda faccia -questa li stende, toh- a sorriso incerto e zigomo rigonfio, alé. Clic clic. "Mana, dai! Sembri un pezzo di legno, vai tranquilla, riproviamo, accavalla le gambe..". Dio, non ci cascano. E che banalità "pezzo di legno", da rimprovero di maestra alle recite della scuola. Tut tut, rinnovati, "Fer", ariegga le tue polirematiche stantie. Clic. "Ora mano sulla bocca..no, non così, che fai!" Che odio. Oramai il viso le si doveva essere contratto, cristallizzato in quella smorfia topica del rimanerci male. "Riproviamo, sù". Clic. "Più intenso lo sguardo, Mana, sforzati, hai gli occhi fissi". Che odio, avrebbe voluto torcergli il collo. Ma Gustav dov'era? "Ora infila la mano nella gonna..prima sbottona un po', eh". Clic. "Ma non così, una mossa, Mana!" Odio alle stelle. Faccia numero..
"Sono un po' stanca, beviamo un po', ho dietro da bere per tutti..così magari mi calmo anche, eh". "Attenzione! Grande, buona idea". Lei, "Fer"..e anche Elina -sigh- che bevono. I loro bicchieri -in cristallo, che belli, "in questo studio non manca nulla"- li aveva riempiti lei stessa. Per lei la sua fida fiaschetta, vecchio regalo delle Altre, risalente al genetliaco dei 21: prima di Gustav, prima di tutto. E ancora una volta utile, cara vecchia fiaschetta in stoffa scozzese. Elina gliel'aveva ammirata, l'aveva anche rassicurata: "Non devi essere così timida, Fer è un po' brusco, ma è il suo lavoro, tu hai un così bel fisico, belle palpebre..". Povera Elina; aveva studiato per diventare truccatrice, voleva lavorare in teatro: chissà perché ne rendeva "Mana" partecipe. Avevano trovato buono l'alcool procurato dalla piccola "Mana", "buono davvero". E via con la seconda mandata. "Fer" le diceva che era troppo rigida e non ne aveva motivo, con quel didietro perfetto, no davvero. "Me ne intendo, ti parlo sinceramente". Lei annuiva con ansia in corpo nascosta ad arte; provava a nasconderla. Povero "Fer", a dirla tutta povero anche lui: il suo diploma lo aveva, e probabilmente erano veramente 22 gli anni in saccoccia, soltanto portati male. Lei aveva la testa in subbuglio, il cuore all'impazzata, la gola secca, Dio mio, ormai c'era dentro.
 Ed eccoli che si assopivano, quei due manovali del Bello al potere. Poi ronzio da sonno profondo -il sonnifero ingranava- il cuore in gola di lei, di "Mana", il momento. Aveva cosparso alcool ovunque, con cura, ebrezza ubiqua. La tentazione di dare una sbirciata alle foto, alle foto di "Mana": quella era stata forte. Ma si era trattenuta, doveva sbrigarsi. Il tempo di gettare un fiammifero, la porta dello studio alle spalle, e poi via verso la Metro a sotterrarsi, via alla volta del sottomondo del riparo di neon. Gustav sarebbe stato fiero di lei.

(Emilio Smunti 2011)
-CONTINUA-

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