sabato 29 giugno 2013

MICHELE ARCANGELI, primo piano, primo portone a sinistra (2 di isabnic

              

2        Michele riconosce l’Amministratore

                   Mi era capitato di incontrare di nuovo Giacinti qualche tempo dopo al supermercato lì vicino, dove andavo una volta a settimana a far scorta di cibo. Non mi dispiaceva quel rituale, poi ero così abitudinario che ormai ero diventato velocissimo a riempire ogni volta il carrello con gli stessi prodotti, a parte qualche frutto di stagione. Daniela diceva che ero un monaco. Nessuna concessione a prelibatezze, primizie e cose raffinate. Niente alcool, se non qualche birra in pizzeria, e la spesa un atto dovuto da fare nel minor tempo possibile. In realtà, mi piacevano le zone franche come il supermercato, dove il contatto con gli altri è ridotto al minimo, dove ai cassieri che digitavano compulsivi sulle loro casse non interessava il mio nome o la mia faccia. Dietro i loro movimenti meccanici assaporavo un po’ di libertà.
               Ero arrivato alla fine del percorso, attraverso i banconi stracolmi di merci occhieggianti inutilmente- almeno per me- dentro confezioni multicolori e passando indenne attraverso aromi e odori, annunci di sconti eccezionali e musichette suadenti. Avevo scaricato i pochi prodotti che avevo scelto ben allineati sul nastro, come al solito, mentre aspettavo il mio turno, quando la mia attenzione fu letteralmente presa da un uomo che spingeva un carrello ricolmo di bottiglie qualche cassa più in là. Sembrava dirigersi verso il parcheggio e c’era una donna piuttosto elegante che lo seguiva parlandogli inascoltata. Probabilmente la moglie. Quel uomo aveva qualcosa di vagamente familiare, nel suo vestito di buona fattura, quel modo di camminare sicuro e strafottente, e quel guardarsi intorno come per controllare la scena e l’effetto che il suo passaggio aveva avuto sull’ ignaro pubblico di avventori e dipendenti del magazzino. Mi misi subito in allerta. Quando si volse, mi salutò con un cenno del capo e un abbozzo di sorriso.
                   Ma certo! L’amministratore del palazzo, l’uomo che avevo visto in guardiola. Anche stavolta avevo sentito il suo sguardo indugiare a lungo su di me. In quegli anni avevo imparato ad annusare il pericolo e quel uomo sembrava quasi conoscermi da tempo. Come aveva detto? Giacinti. Anche il nome non mi sembrava completamente nuovo. Risposi al saluto vagamente. La “moglie” di Giacinti doveva aver chiesto al “marito” chi fossi perché anche lei si volse a osservarmi.
                   Accelerai l’operazione di riempimento dei sacchetti, pagai mentre il cuore aumentava il ritmo dei battiti. ‘ Giacinti. L’ho già incontrato prima d’ora? Dove? Quando? In quale vita? Non è una persona limpida, lo sento. Mi inquieta. Devo stare attento, mi ero detto e continuai a ripeterlo nei giorni seguenti come un mantra.
                    Dopo di allora mi sembrò di incrociarlo sempre più spesso e ovunque. Solito sorriso. Da lontano. Facevo di tutto per evitare un incontro ravvicinato, ma  non poteva durare a lungo. E infatti avvenne un pomeriggio, al ritorno dal lavoro.
                    Per tutto il giorno mi aveva tormentato un mal di testa di sapore pre-influenzale e avevo staccato un po’ prima del solito. Doveva essere già autunno inoltrato, perché pur non essendo un’ora tarda, mentre guidavo verso casa, avevo visto scomparire le ultime luci nel cielo e il buio mangiare a poco a poco i lati della strada non  illuminati dai fari. Avevo, poi, parcheggiato l’auto nel garage, attento, come ormai era mia abitudine, a lasciarla pronta con il muso verso l’uscita. Quel misto di umidità, di carburante e pneumatici che impregnava i muri e il pavimento del locale mi colpì più di sempre. C’erano ancora poche auto, però, oltre ai soliti motorini dei ragazzi del secondo piano, accostati vicino al passaggio verso le scale. Troppo presto per i vicini. Dunque, non mi aspettavo certo di incontrare qualcuno e invece, mentre salivo i gradini verso l’ingresso principale, mancò poco che mi scontrassi con quel Giacinti che, pensieroso e con aria guardinga, stava dirigendosi  verso il suo archivio nel sottoscala. Istintivamente mi ritrassi, divenni un tutt’uno con lo zaino in cui portavo il pc, incollato alle spalle.
      - Salve! Come sta? Torna dal lavoro? Beato lei! Io ho ancora qualche scartoffia che mi aspetta, aveva subito detto stringendomi la mano e poi indicando alla mia destra la porta del locale che usava come ufficio-archivio.
     Risposi ai convenevoli, ma siccome incalzava con tutte quelle domande dal tono salottiero tentai di porre fine alla conversazione: -Sono tornato un po’ prima del solito stasera. Temo che l’influenza quest’anno non mi abbia risparmiato. O forse semplicemente un arrivo di raffreddore.
     E intanto la mano mi era corsa alla tasca dei pantaloni dove tenevo il mio fido spray nasale. Mi si era seccata la bocca e mi sembrava di respirare a fatica. Ma Giacinti non sembrava avere alcuna voglia di smettere; leggermente più alto di me, col suo corpo forte mi bloccava e mi impediva di continuare verso le scale mentre con quegli occhi scuri e puntuti, inquisitivi, quasi da faina, continuava a fissarmi in modo sfacciato. La luce a tempo dell’andito si era spenta  e lui l’aveva subito riaccesa.
-  Lavora molto distante da qui? -riprese, mentre il profumo aggressivo del suo dopobarba mi avvolgeva tra le spire.
Stavo pensando a come sbloccare la situazione quando fortunatamente dal garage arrivò  Pratesi, il commerciante del quarto piano, lo sbruffone con il SUV e  la moglie carina, ma con l’aria perennemente depressa. Sembravano amici lui e Giacinti  per i modi che usava, o perlomeno si intuiva una certa familiarità o un qualche interesse in comune tra i due, tuttavia quella sera Pratesi pareva meno aitante del solito. La sua bella faccia da quarantenne rampante era segnata da stanchezza o da qualche pensiero che l’ossessionava. Si illuminò brevemente  al momento dei saluti, per poi spegnersi dietro a un sospiro, come se non avesse più scampo:
- Ciao! Buonasera! Come va? Mi scusi tanto… Ehm, Manlio, devo parlarti. Ti chiamo più tardi…

Il tono era forse meno cordiale dei modi e più pressante, ma non ci feci tanto caso allora. Il fatto è che quel nome, quel nome pronunciato da Pratesi, mi aveva colpito come una staffilata e aveva cancellato tutto il resto. Alla fine lo avevo recuperato nella mia memoria. [...]

(isabnic2013)

CONVALESCENZA di Ibis Kan

CONVALESCENZA                                                             



Rabbia e pena.
( avrei voglia di picchiarla, di sbugiardarla)
Lo stomaco che si contrae,
le labbra che si induriscono,
le spalle giù come di juta.
Da un pezzo le parole si sono seccate.
E’ un dente già tolto,
il buco nero che rimane
e non duole più.

Non cancello
(è impossibile: gli occhi vedono),
ma con solerzia copro con garza che deforma la visione,
la rende meno credibile e meno dolorosa.
Non il tormento acuminato del tradimento ormai,
ma quello della piatta delusione reiterata,
come sabbia in bocca.
Misera pantomima, la sua.
Affermazione di libertà già concessa.
Segreto che miseramente
vuole essere udito per esistere.
E' lei che torna in gabbia
e si affanna a mostrare tentativi di fuga.

Ora non bisogna vedere più.
Restringere il campo, oscurare i lati inquietanti,
non farmi distrarre da inutili occultamenti
e furtive manovre.
Dormire i miei sonni e di giorno

guardare il mondo. 

(ibis kan 2013)