lunedì 26 maggio 2014

IO HO FIRMATO (petizione su www.change.org )

Il 5 maggio Andrea Cristina Zamfir, 26 anni, è stata uccisa in modo barbaro dopo una serie di sevizie sessuali sotto un cavalcavia alle porte di Firenze, in via del Cimitero a Ugnano.

In quello stesso luogo in cui Andrea Cristina Zamfir è stata uccisa, campeggia la scritta: “qui si caricano le troie”. Una frase, carica di disprezzo per l'umanità, che dice di un senso divenuto oramai opinione, di un costume che ha il volto della normalità.

Una donna seviziata e uccisa non è solo una donna morta.
Vorremmo che dove è stata uccisa Andrea Cristina sorgesse un giardino, uno spazio ove riaffermare tutti i giorni che accoglienza, riparo, cura, responsabilizzazione, sono l'unica via per un reale benessere.

Le nostre strade, le piazze sono disseminate di targhe in ricordo della resistenza, dei caduti per mafia, delle alluvioni. E una volte appese diventano targhe alla memoria di uno spirito collettivo che non cambia niente della propria sostanza.

Non così vogliamo questo giardino, non chiediamo l'ennesima targa per pellegrinaggi disincantati, ma efficaci e realistiche opere educative alle quali tutti siamo chiamati a partecipare.

Vorremmo costruire intorno alla vita e alla morte di Andrea Cristina Zamfir una testimonianza concreta fatta di fiori e speranza, un piccolo e semplice spazio dove ognuno possa fermarsi, nel silenzio di un istante in cui si accende un futuro diverso e davvero umano.

Non si vivrà meglio e più sicuri quando ci sarà soltanto un colpevole da punire. La mano che ha offeso così brutalmente deve essere fermata ma non si creda che la causa profonda stia nel solo gesto materiale di un singolo.

Occorre avere il coraggio di ribaltare definitivamente la questione e assumersene la dura responsabilità. Per questo chiediamo un luogo simbolico dove poterlo fare.

Grazie,

Rossana Sebastiani e Pierpaolo Calonaci

martedì 20 maggio 2014

CRONACHE DALLA CAMPAGNA (4)

1. 
    4.  Le mattinate di Germano

Ormai sono anni che si sveglia presto. All’inizio aveva provato a rimanere a letto, con le spalle alla persiana che lasciava filtrare la luce del nuovo giorno. Sulla parete lì davanti  seguiva sconfortato il cambiamento di quel tremolare discreto, accompagnato dai canti, stridii e brevi richiami, in una luce sicura e invadente con rumori di motori e brusii di sottofondo. Ma nulla, niente da fare. Il sonno interrotto non tornava; era un guardare compulsivo l’ora sul display del cellulare, poi una gamba improvvisamente s’indolenziva o il collo si irrigidiva (‘ Potrebbe essere la cervicale. Ieri sera in giardino era troppo umido.’) e le coperte sembravano troppe o troppo poche. Insomma doveva accettare l’evidenza e abbandonare la cuccia, un po’ immusonito. Ora si è abituato, si alza ormai presto tutte le mattine e ha scoperto che non gli dispiace. Ciabatta in pigiama, scende in cucina, apre le persiane, beve un tè o un caffè, controlla fuori in giardino (‘Luce liquida del mattino ancora piena di vapori, un inizio di poesia.’), riempie la ciotola del gatto (Mkrignao!), rabbrividisce, poi si siede con il pc acceso davanti alla finestra e comincia a scrivere. I rumori all’esterno sono scomparsi, la casa sembra ancora immersa in un sonno pigro. E’ il suo terzo racconto giallo: il geologo-detective, appassionato di mineralogia e già protagonista degli altri due,  è stavolta alle prese con un misterioso ritrovamento di cadavere in una miniera abbandonata, quando… Sì, può lasciarsi andare e per un po’ staccare la spina dal mondo. Niente è cambiato con l’arrivo di Michele. Al suo amico piace dormire e ancora per due ore non lo vedrà arrivare. (Sarebbe arrivato alle spalle e lì avrebbe subito poggiato quelle sue mani un po’ ossute, piegandosi su di lui quasi cercando di rubare qualche parola sullo schermo lattiginoso. )
Germano avverte sul collo il respiro di Michele, che a quest’ora del mattino sa ancora di bambino e di sonno, ma non gli va di smettere.
 – Buongiorno! Che succede? Hanno scoperto chi è l’assassinato? Perché è stato assassinato, vero?(‘Che timbro di voce ha? Ne ha uno diverso a ogni ora del giorno o della notte. Sembra un gatto adesso.’)
 Germano grugnisce perché non gli va di parlarne, non sa ancora bene neanche lui come procedere a quel punto, e poi è tardi. Ora prepareranno la colazione, potrebbero perfino farla fuori sotto la pergola.
-          Perché scrivi?
-          Non lo so, devo farlo.
-          Ma ti piace?
-          Sì… no. Certe volte è un’angoscia, una frustrazione.
-          Ma allora?
Germano scuote la testa e Michele lascia perdere. Non sono le domande dirette che lo aiuteranno a capire l’uomo che gli sta davanti, che gli sorride ma ha la testa altrove. Gli uccelli degli alberi lì intorno si azzittiscono per un po’ spaventati dalle loro voci e dal rumore delle stoviglie e della teiera poggiati sul tavolo e il sole che entra di traverso comincia a riscaldarli. Ancora, comunque, la stagione non riesce a risolversi.
Mentre, più tardi, prepara gli asparagi, Germano pensa a quanto si sia faticosamente abituato – lui solitario da troppo tempo- alla presenza discreta di Michele. Questa quotidianità è una scoperta.

Domani mattina, niente scrittura. Viene Nazareno per l’orto.
(isabnic2014)

sabato 17 maggio 2014

BORSITE (4) di isabnic


 Avrà avuto forse sedici o diciassette anni mio cugino Gianni quando organizzò una caccia al tesoro. Non vivevamo  più in paese; nessuno della famiglia ormai perché gli zii si erano trasferiti anche loro nella città lucana piena di vento dove avrei trascorso la mia vita pre-universitaria. Mio padre e gli zii avevano investito a quel tempo un mucchio di soldi per aprire un negozio e avviare un’attività di rappresentanze e, anche se non saremmo mai riusciti a farci accettare dalla borghesia del luogo e saremmo rimasti sempre degli stranieri laggiù, il boom economico di quegli anni migliorò considerevolmente le nostre finanze e i nostri averi. Ci furono allora nuove auto, case e villette al mare, Natali ricchi di doni, viaggi e vacanze lunghe e senza tempo. La città poi non era lontana dal mare con le sue acque verdeazzurre profonde e salate, che lasciavano ghirigori bianchi sulla pelle abbronzata, né da quegli scogli aspri, pieni di ricci profumati che qualcuno mangiava lì a cavalcioni aprendoli con un coltello. Un mare ancora un po’ selvaggio, con un paio di lidi poco attrezzati e ancor meno frequentati.
Quella  caccia al tesoro, organizzata da Gianni e il cui percorso copriva l’intera area della città e giungeva fino al mare, fu un successo:  la partecipazione fu enorme, l’organizzazione perfetta e il ricavato da spartire tra i soci organizzatori fu sostanzioso anche se, forse, alla fine ci fu qualche discussione. Io avevo partecipato alle riunioni organizzative, avevo tagliato i foglietti di carta delle domande, visto i premi, collocate le istruzioni nei posti segreti insieme a Gianni giurando silenzio eterno:  la sensazione che associo al ricordo, insieme al brivido di condividere  qualcosa con quelli più grandi di me, è quella di puro divertimento e gioia.
Lo zio, il papà di Gianni, invece, non si divertì affatto: lo avevano convocato a scuola i professori del figlio per avvertirlo che il ragazzo risultava assente da scuola da venti giorni e che, prima di interrompere la frequenza alle lezioni -del resto piuttosto saltuaria- aveva detto in risposta all’ennesimo rimprovero: - Purtroppo, professore,  non  potrò più frequentare d’ora in poi, perché devo aiutare mio padre in negozio.
Lo zio aspettò il lunedì, il giorno dopo della caccia al tesoro, e senza molti discorsi preparatori riempì Gianni di botte. Tentò anche  di rimandarlo a scuola -una scuola che si chiamava Avviamento al lavoro,  ma poi si arrese all’evidenza e Gianni cominciò davvero a lavorare con lui.
Durò poco, però: tra litigi e discussioni si scoprì che mio cugino aveva già in mano delle rappresentanze di piccoli elettrodomestici e materiale elettrico in diretta concorrenza con lo zio stesso. Pur continuando a vivere a casa con i genitori Gianni, dunque, cominciò a lavorare  per conto suo, usando la sua stanza come ufficio. Con il padre le rare occasioni di comunicazione divennero praticamente nulle.
E con il lavoro arrivò anche il tempo dell’amore. Fu in quel periodo, infatti, che cominciò la vita amorosa di mio cugino e io potei farmi un’idea piuttosto distorta, come più tardi avrei dovuto accertare, di quello che regolava le storie delle persone innamorate. A Tarnasco avevo già e spesso osservato le due cugine con i loro filarini, ascoltato le loro confidenze, partecipato indirettamente - cioè seduta all’angolo come testimone pieno di stupore- alle feste di poche persone con colonna sonora  all’ultimo piano della casa. Un piano che per me insieme alla cantina si tingeva di grande mistero perché ormai disabitato da anni e con una finestrella senza vetri che si affacciava sulle scale da cui mi pareva, salendo e con il cuore in subbuglio, d’intravedere sempre un’ombra. Quello che un tempo doveva essere stato forse uno studiolo, ma ormai serviva come stenditoio durante la lunga e umidissima stagione invernale, fu la stanza che le mie cugine decisero di risistemare. Ci si arrivava attraverso una di quelle stanze interne chiamate camere buie che servivano da disimpegno per accedere alle altre parti del piano. Questa, in alto sul soffitto, aveva uno sportello che ho visto sempre chiuso e che dava sull’abbaino. Si vociferava tra noi ragazzi che quello fosse stato luogo di nascondiglio in tempi difficili e ora era pieno di vecchie cose, topi e vestiti in disuso. Di fronte allo studiolo c’era la porta di quello che considero ancora il bagno più grande che abbia mai visto. Un camerone gelido che si affacciava sulla campagna, con una sperduta vasca da bagno di ghisa smaltata, un ridicolo scaldabagno a colonna con la cesta della legna lì accanto, un paio di bauli, due seggiole e i sanitari moderni di ceramica assurdamente fuori scala. Tutto il piano -non so come o almeno è così nel mio ricordo- non aveva alcun odore particolare, ma dava piuttosto una sensazione sulla pelle di tempo interrotto, di voci appena zittite, porte appena chiuse. Lo studiolo ne aveva una sgangherata e lasciata sempre aperta.

Il giradischi e i 45 giri su un mobiletto basso con la voce di Paul Anka &co, il tavolino con qualcosa da mangiare e da bere (tutto analcolico), le sedie addossate alle pareti, qualche barattolo come portacenere e il pavimento di mattoni che -quello sì sapeva di polvere bagnata- e la festa delle cugine, con l’arrivo dei primi amici, poteva cominciare.  Qualche cha cha cha di gruppo lo sapevo ballare anche io, poi di solito, però, quando cominciavano i  lenti di Neal Sedaka,  venivo in qualche modo allontanata, mandata in missione a prendere altre bibite o qualcos’altro di assolutamente inutile, lontano da quelli che allora consideravo i loro riti segreti. Finché alla fine preferivo rimanere a guardare zia Lucia che lavorava all’uncinetto al piano di sotto e raccontava di sé e dello zio Gino, suo marito per brevissimo tempo, morto in un incidente d’auto. Si erano amati segretamente per anni perché la nonna, la volitiva e segaligna nonna Ida, non gradiva il loro eventuale matrimonio e quando questo alla fine fu celebrato, la fatalità negò per sempre alla zia la possibilità di vivere il suo amore.  Anche delle altre zie e di mia madre avevo voracemente ascoltato le storie d’amore, i primi sussulti e gli incontri pudicamente evocati, fino al finale trionfante del loro matrimonio , che a dire il vero sembrava -almeno ai miei occhi- procedere in modo piuttosto noioso.
Erano rimasti a Tarnasco tutti i luoghi più amati, quelli che ritrovavo ogni anno in quel mese che passavo lì prima dell’inizio della scuola. Lì mi sembrò, anche e per la prima volta, di sentir battere il cuore più velocemente del solito per un ragazzino più alto di me e dagli occhi verdi; e fu lì e allora che sentii nascere una profonda rabbia nei confronti di mia madre che mi obbligava ancora a mettermi degli infamanti calzettoni al posto delle calze lunghe. 
E Gianni? Quella di Gianni non fu una storia classica di innamoramento, secondo i tempi e i modi che avevo potuto osservare in quegli anni, ma una deflagrazione preceduta da uno sbandamento. Fino ad allora lo avevo sempre visto e sentito impicciare con i suoi amici a proposito di automobili, motori da riparare, o al massimo gite in massa a vedere l’arrivo delle milanesi -ragazze del nord o  straniere-  al nuovo Villaggio Vacanze Troubadour, appena costruito sulla costa,  per la stagione balneare. Non so se mio cugino avesse già avuto una ragazza di cui non avevamo saputo nulla, ma tutti sono concordi nel pensare che la bionda occhicerulea Abigail fu il suo primo amore. Breve, perché il pomeriggio stesso del loro primo incontro lui trovò poi quello vero: Àmor, la sorella quattordicenne  della stessa Abigail. Capelli scuri e ricci, occhi viola, questa volta. Un sorriso dolcissimo. Il suo nome, che il padre aveva scelto per amore nei confronti della cultura classica, ora scritto a stampatello con quattro enormi lettere di nastro adesivo rosso, campeggiava sulle due ante dell’armadio di formica finto legno della camera di mio cugino. Era la prima cosa che notavi , sbattendoci quasi contro, quando  capitava di entrarci per svegliarlo su incarico della zia. Tra lenzuola arrotolate intorno al corpo come un mare in tempesta, emergevano le braccia brune come biscotti, intrecciate sotto la testa di ricci scuri che pareva galleggiare in quel mare bianco persa ancora tra i sogni. A questo punto di solito mi voltavo a guardare di nuovo la scritta sull’armadio per verificare che nulla fosse cambiato e annuivo, pensando di aver capito tutto, mentre lui si stiracchiava passando rapido dal sonno alla veglia, quasi in modo inaspettato, pronto a riprendere le sue mille attività.

In quel periodo l’aiutai a scrivere qualche lettera in  inglese, poi Gianni investì tutto quello che aveva guadagnato fino ad allora (aveva compiuto da poco diciotto anni) e partì in nave per l’Australia, paese dove era tornata, perché lì viveva, Àmor con la sua famiglia, quasi deciso a rimanerci per sempre.
(isabnic2014)

ME DEA di Marco Palladini all' Aleph 18.05.2014


    
                                                                     ALEPH
                                                  Vicolo del Bologna, 72 (Trastevere)

                                              Domenica  18 maggio 2014,  ore 18.00


                                  ME     DEA

                          - Lettura- spettacolo-



Testo e regia di Marco Palladini

con  Nina Maroccolo e Giulia Perroni

fonica: Michele Marsili


info@associazionealeph.it                                       giulia@associazionealeph.it
Per maggiori info:


           

venerdì 16 maggio 2014

CRONACHE DALLA CAMPAGNA (3)

1.   
  3.  Pomeriggio radiotelevisivo

-L’hanno preso!
-Chi? Cosa?
- Il serial killer. Il maniaco che ha crocefisso la ragazza.
- Non so di cosa stia parlando, Tecla. Buongiorno, su entri. Prenda un caffè con noi e ci racconti, Germano sorride nel riconoscere l’urgenza della donna nel voler condividere l’ultimo caso di cronaca. Altre volte è meno tollerante e tende a frenare quel fiume in piena, ma oggi anche se l’aria è ancora fresca c’è il sole e del temporale della notte sono rimaste solo un paio di pozzanghere in giardino.
- Beh, insomma l’hanno scoperto e arrestato. E’ un falegname. Sposato, non so se ha figli. Uno, insomma, normale. Anche i vicini lo dicono.
- I vicino lo dicono sempre.
Ora anche Michele sprofondato nella poltrona vicino al finestrone sorride, alzando gli occhi dal libro mentre li vede rientrare. Il suo amico sembra un omone ormai arreso all’inevitabile al seguito della signora Tecla.

- Pare che alla fine dell’interrogatorio si sia lasciato sfuggire: ”Speravo che si riprendesse come le altre. Mi dispiace.” Ma le pare?.... Ehm, se voi state qui comincio dalla cucina.
Piuttosto che dover interrompere la lettura ogni pochi minuti Germano sa che in questi casi è meglio accendere la televisione. Qualsiasi cosa ci sia. 
Effettivamente nelle news il caso del mostro è una delle prime notizie. Intervistano anche la madre moldava della seviziata che non parla italiano, poi segue un avvincente caso legale in diretta: la giovane amante del padre morto che chiede alla figlia-erede la restituzione dei soldi prestati al padre della stessa; poi un programma di chiacchiere da salotto dove una stellina si dichiara pentita dei suoi tanti tatuaggi, soprattutto di uno che non può mostrare e che continua a chiamare le ale della libertà. Ala, nome femminile. Plurale ale. Pare convinta.
Germano e Michele scoprono anche come siano cambiate negli ultimi anni le pettinature delle donne; segue un servizio sulle donne curvy tornate ora di moda. Una pubblicità di un formaggio: Miss Casciotta DOP, prodotto dell’Urbinate.
-Pare che la C dolce la pronuncino così in quella zona.
- Allora, senti un po’, che ne dici? L’uomo è casciatore!!

- Dai spegniamo e andiamo a far spesa.
(isabnic2014)

ORECCHIE PER VEDERE, la Tempesta di Eduardo alla Sapienza di Roma 28.05.2014

ORECCHIE PER VEDERE, la Tempesta di Eduardo alla Sapienza di Roma  28.05.2014

La Tempesta shakespeariana tradotta e interpretata da Eduardo De Filippo è stata l’ultima opera da lui offerta al suo pubblico, ma è ora la prima ad aprire la serie di incontri organizzati in occasione del trentennale della scomparsa del grande  attore, drammaturgo e intellettuale. Orecchie per vedere è il primo appuntamento del progetto Eduardo dopo Eduardo a cura di Antonella Ottai e Paola Quarenghi. All’ascolto della Tempesta (registrazione audio inedita) con la voce di Eduardo, seguirà la lettura di sue poesie di Luca De Filippo, altre letture di testi ispirati al testo eduardiano, interventi critici e musicali, un epilogo con la partecipazione di Roberto Latini.
A ottobre gli altri appuntamenti del progetto Orecchie per vedere

AULA MAGNA della Sapienza
P.le Aldo Moro 5,  Roma
Mercoledì 28 maggio 2014 ore 18.00
Ingresso libero



mercoledì 14 maggio 2014

CRONACHE DALLA CAMPAGNA (2) di isabnic

1.      2.  La visita di controllo

Era stata di Germano l’idea di fare lì in campagna da lui quel piccolo intervento che lo teneva in ansia da almeno un anno e Michele aveva accettato. Negli ospedali di provincia, si sa, si respira un’aria più umana e poi, a sentir la signora Tecla, il chirurgo che avrebbe dovuto operarlo, il Prof.X, che veniva da Terni ma da anni operava a Città della Pena, era un vero luminare. E poi c’era Germano che aveva  offerto di ospitarlo per tutto il periodo pre e post- operatorio oltre alle sue affettuose attenzioni. Come avrebbe potuto rifiutare?
Ora il peggio e l’abbattimento dei primi giorni è passato, Michele deve solo seguire fedelmente le prescrizioni dei medici. La campagna, l’amico e il buon cibo stanno già facendo il resto e lo aiutano a riprendersi velocemente. E quel colorito cittadino, forse aiutato da una lampada o da qualche crema, sta diventando sempre più naturale.
Oggi è il giorno della visita di controllo. Dal finestrino dell’auto passano veloci le immagini di colli dolcemente coperti da un verde brillante,  qualche  bel cespuglio profumato di lillà in fiore, i campi squadrati di fiori gialli di colza, mentre al di là del guard rail, appena afferrati dalla coda dell’occhio, gli alberi di sambuco con i loro grappoli bianchi e dolciastri corrono via veloci affiancati dagli alberi di Giuda con i loro di fiori grondanti di sangue. La strada si snoda sul crinale e già in lontananza s’intravedono le torri e il palazzo in mattoni rosso scuro di Città della Pena. Il piccolo ospedale all’ingresso dell’abitato è stretto dal cerchio di lamiera delle auto parcheggiate compatte lì intorno.
 -Non sono ancora le 10, Michele. Aspettami nella sala d’attesa del primo piano. Ti raggiungo lì.- Germano lascia l’auto puntigliosamente allineata sotto gli alberini ancora teneri del piazzale lì davanti. ‘Me la prendo comoda, tanto ogni volta si deve aspettare mezz’ora’.
 I tre padiglioni fervono di attività e gruppetti di persone entrano ed escono chiacchierando coi vicini, tutti con  borse, bottiglie di minerale e fogli incellofanati, tenuti stretti sotto il braccio.

Michele si avvia. ‘Sempre così. Deve essere un rituale segreto quello dell’abbandono e della chiusura dell’auto per Germano. Comunque è davvero caro a coccolarmi in questo modo. Lui lo sa che ho paura ogni volta prima delle visite. Anche di quelle rapide di controllo.’


(isabnic2014)

martedì 13 maggio 2014

DEDICATA A JACK HIRSCHMAN



Jack Hirshman (1), il poeta rosso 



Di recente stampa l’antologia poetica “Jackissimo!”(a cura di A.Bava, Seam Edizioni,2014) dedicata al grande Jack in occasione del suo ottantesimo compleanno ( -Same day as Stalin’s birthday!- come qualcuno mi ha detto.)
Un assaggio:



“Vodka Jack”
di Ludovica Lanini, 2013

It’s the imported Russian vodka
Stolichnaya still in the kitchen
after years –empty.
Or
Intonata noi silenzio l’Internazionale
nel rovistare estatico tra carta consunta
affascinati del tanfo di fascicoli stanchi
affastellati a scaffali
a putrefare di strenuo
contaminare le dita di andato
-ridare vita-
gridando gonfi gola spiegata nella bottega di libri vecchi all’angolo dietro casa.

It’s the new awareness
that everyone should write
even though you hate your face –particularly if.
Even though you have no face –and I’ll call you No Face for this.
But also
sensi sopiti riposti in sintagmi
di arcani linguaggi forgiati di morfi
di fuoco faringe
stringhe criptiche di codici
antichi (creati ormai due ore or sono)
segreti come gravi
trascinati al fondo
d’idiomi misteriosi intrisi d’idromele
svelati d’un tratto a tarda sera,
nel sopore del dopo cena
better if drinking a glass of vodka.

Altra novità: Jack Hirschman è tornato in Italia!
Il 6 maggio ha incontrato al Teatro Valle di Roma (occupato) l’orchestra jazz TJO (Terni Jazz Orchestra) per una performance straordinaria in cui si sono intrecciate lettura poetica, improvvisazione e musica. Le musiche originali alla base dello spettacolo erano tratte dal recente CD, One Day. dal titolo di un testo di Hirschman, frutto della collaborazione del Poeta Rosso  e della TJO.  Una collaborazione nata durante gli Incontri Internazionali di Poesia di Sarajevo,  organizzato dalla Casa della Poesia di Salerno.

“Last night's reading was simply great. Jack was at his best and read some new poems too. "The Chaplin Arcane" was a pleasant surprise. And, he also read some of my favorite poems such as "Winter Solstice." He was accompanied by a great jazz orchestra, the TJO and the poetry and jazz interaction was simply great. I truly loved "Mother" read as the guitarist played "Little Wing."
( dal blog  (2) di Alessandra Bava, storica traduttrice dei testi di Jack Hirschman)

Dopo Roma, Hirschman sta continuando il suo tour italiano in più di 15 città per readings, incontri, interazioni con altri poeti e musicisti. Un’impresa incredibile anche per i suoi splendidi 80 anni! “Presenterà  anche il suo nuovo libro pubblicato in Italia da Multimedia Edizioni / Casa della poesia dal titolo  “28 Arcani” che, tradotto e curato da Raffaella Marzano, raccoglie 28 di quei lunghi e complessi componimenti che il poeta chiama arcani. In queste poesie confluiscono le sensibilità del poeta, le sue ossessioni ed i suoi amori, fondendo l’impegno politico e i temi sociali – sempre presenti nella sua poesia – con gli strumenti letterari acquisiti negli anni: la lezione surrealista, la cultura yiddish, la scuola beat, la cabala, le invenzioni lessicali e linguistiche, le associazioni mentali.” (dalla presentazione)
 A Jack si deve anche la formazione della Rome’s Revolutionary Poets Brigade, che di recente ha pubblicato la sua seconda antologia , a cura di Alessandra Bava e di Marco Cinque (autore anche della copertina).

La nuova antologia della Rome's Revolutionary Poets Brigade, “ARTICOLO 1 Una Repubblica AFfondata sul Lavoro”, è pubblicata da Albeggi Edizioni con introduzione di Agneta Falk Hirschman,.Le poesie sono tutte collegate al tema del lavoro e dal 23 aprile di quest’anno l’antologia, con poesie di  Olga Campofreda, Marco Cinque, Massimiliano Damaggio, Ludovica Lanini, Marco Lupo, Edoardo Olmi, John Claude Smith, Angelo Zabaglio a.k.a. Andrea Coffami e Alessandra Bava, è disponibile nelle librerie e online.
(gogo2014)




(1)  http://www.casadellapoesia.org/poeti/hirschman-jack/biografia
(2) http://poetryrulesbyalessandrabava.blogspot.it/
Per saperne di più:
 intervista a Jack Hirschman  su YouTube http://www.youtube.com/watch?v=yVgArR4KpSw

lunedì 12 maggio 2014

CRONACHE DALLA CAMPAGNA di isabnic

1.     
1.   Il risveglio

“Bel tempo su tutte le regioni con cieli diffusamente sereni o velati; possibili nubi basse o nebbie marittime al mattino sulle isole. Temperature in rialzo, massime tra 20° e 25°.”
La televisione, lasciata accesa negligentemente dopo l’ultimo controllo dell’andamento della borsa su Televideo, ancora gracchia soddisfatta le profezie del meteo alle spalle di Germano. Fuori la primavera finalmente prova a dar segnali consistenti prima del suo definitivo e tardivo trionfo. E’ maggio, tempo di mare in anni passati. Germano finisce di bere il tè e richiude il barattolo di marmellata. L’ultimo di more. Stavolta la signora Tecla ha superato sé stessa. Perfetta, zucchero e consistenza proprio come piacciono a lui.
‘Ora  mi vesto e poi mi metto a leggere. Fuori in giardino, vicino al lillà.’
Non è un gran giardino e forse sente ancora la mancanza della cura maniacale della madre di Germano, ma gli alberi di mela cotogna e i due peschi, la panchina di pietra serena consumata sotto il ciliegio, le due aiuole con gli iris azzurri, limitate da mattoncini, proprio lì davanti alla casa e al pergolato, con la pioggerellina violetta del glicine che protegge i commensali –quando ce ne sono- seduti al lungo tavolo di legno o fa compagnia alla scrittura o alla lettura di Germano, creano – e lo hanno sempre fatto per lui- una sorta di benefico microclima dell’anima.
 Tardi, in mattinata, arriverà Michele dalla città. In treno. Germano ama andarlo a prendere alla stazione, camminare lungo il  marciapiede del binario e osservare la gente in partenza o i pochi in attesa come lui di qualcuno in arrivo. Gli stranieri con gli occhi chiari che aspettano di partire sembrano appena lavati di fresco, ma con gli abiti tutti spiegazzati. Gli altri sono più immusoniti, distratti. Pochi fumano. Il giornale lo lasciano per dopo.

Ma quello che Germano ama di più è veder scendere Michele dal predellino del vagone. Le gambe lunghe, gli occhi che sembrano chiedere scusa dietro gli occhiali mentre lo cercano tra la gente, la mano magra che accenna un saluto e un sorriso timido da bimbo. Si conoscono ormai da tanto, ma è sempre stato così. (isabnic2014)

martedì 6 maggio 2014

LABOR STORY a Roma dal 5 al 9 maggio


SIGN THE PETITION, please!

Subject: Demand Yahoo to stop discrimination

 Dear friends
 - I just added my name to this petition. I can't believe that Yahoo won't let Iranians create yahoo mail accounts in Iran. Can you add your name too?


Thanks,

gogo

.
Iran is facing unprecedented sanctions, but essential services like free email accounts have long been exempt from the sanctions*. Instead of continuing to provide millions of Iranian users with email services–Yahoo has decided to shut off the ability for people in Iran to create new accounts.
Given that 63% of Iranians use Yahoo as their primary service provider this is a huge problem*. This unnecessary move by Yahoo to limit access may force many Iranians to use insecure and less-stable government Internet communications services–essentially the local equivalent of an NSA-run email service.
We know our voices matter to Yahoo because Yahoo executives have been responsive to these kinds of campaigns before. Last year, after a prolonged campaign, Yahoo agreed to turn on HTTPS encryption by default, which made its email service far more secure for everyone. Can you add your name to the petition urging Yahoo CEO, Marissa Mayer, to ensure that people in Iran can create email accounts? 
*General License D-1 provides authorization for communication services such as free email. 
*Yahoo leads the email market in Iran, The Iran Project, January 2013

Dear Marissa Mayer,
 please restore the ability of Iranians to create Yahoo mail accounts. 
198 signatures
Inizio modulo
Will you sign?
Fine modulo
.
Fine modulo



ITNESS, graffiti al Museo di Entomologia di roma (muro esterno)

piazzale valerio massimo, 6      di isabnic

domenica 4 maggio 2014

JO SHAPCOTT o della malattia (2)


Si può parlare della morte con un linguaggio comune  e arrogante? Sì, se si nega la sua unicità e la si rende umana, come fa Jo Shapcott  in Deaths(Morti), sempre da Of mutability, dove ne immagina due di morti mentre  camminano a braccetto come due ubriachi. E anche della  malattia si può  scriverne in modo scanzonato, come  in Hairless (Senza capelli) dove si chiede: “Possono mentire i calvi?” per  poi descrivere una donna che ha perso i capelli durante le terapie.
Senza capelli
Possono mentire I calvi? La natura della cute dice di no:
È pallida come quella dei neonati, roba tenera che sta su
Ogni pensiero visibile – pura conoscenza
Mente in atto- che traspare attraverso il cranio.
Ho visto una donna, completamente senza capelli, che puliva.
Lavava il pavimento verde, spolverava gli scaffali,
Tutto straccio e concentrazione, la Regina della luna.
Si può dire, con i calvi, che l’aria
parla loro in modo diverso, tocca le loro teste
con espressioni squisite. Mentre danzava
il ballo della sguattera con la polvere, tutto
quello che sapeva svolazzava sotto lo scalpo.
Si capiva dalla conformazione della testa
che stava per alzare le braccia al cielo;
mi tappai le orecchie perchè si preparava a cantare, a ruggire.

(Un ectoplasma in una allegra e prosaica danza della morte.  Esposto agli occhi altrui, senza più vita privata, spazi personali, fragile e trasparente come la sua testa glabra.)
In un’intervista Shapcott  dichiarò che se osservare la realtà per il moribondo diventa, come si dice, fonte di gioia e di ansia, altrettanto lo è per i sopravvissuti al cancro, che sperimentano una sorta di euforia durante i trattamenti e le cure. “Tutto è incerto, ma nuovo in un certo senso, e un poeta si chiede: - Come scriverò ora dopo la malattia, come ne parlerò?”.
In Of Mutability molti sono anche i riferimenti alla guerra in Iraq o alla natura modificata dal clima, perchè anche questi fenomeni sono o provocano mutamenti. Dunque la malattia come la morte, o la guerra, o gli sconvolgimenti naturali, o la vita in generale trasformano inesorabilmente.(Lo stesso  lettore di questi versi sperimenta il cambiamento, come sempre quando si legge.)
Jo Shapcott insegna scrittura creative al Royal Holloway College dell’Università di Londra ed è visiting professor all’Università di Newcastle e alla University of the Arts a Londra. Attualmente è anche presidente di The Poetry Society.  

Lo scorso anno le è stato chiesto di partecipare a una serie di incontri di scrittori sul tema degli animali a rischio di estinzione nello Zoo di Londra. Il suo lavoro, che si può vedere e ascoltare  su http://www.theguardian.com/profile/jo-shapcott , è un’audioproiezione di diapositive intitolata The lovable slender Loris (L’adorabile loris gracile) dove spiega in prosa e poesia la particolarità di questo piccolo mammifero notturno[1] scelto dalla poetessa come oggetto del suo intervento[2].
Nella stessa pagina del Guardian on-line, troviamo della Shapcott, Nightlife (Vita notturna), poesia del sabato (7 giugno 2013). Provo a tradurre questa esperienza sensoriale notturna nella foresta equatoriale:
Nightlife
Si fa buio, ascolto. Non riesco a sentire
i toni ultrasonori e acuti,
ma afferro urli e fischi,
schiocchi, ticchettii e crepitii (?),
i richiami notturni di madri in cerca di cibo
per i loro cuccioli, lasciati su un ramo in alto;
le sillabe chiare della passione, che schioccano
a una frequenza tale da sollecitare il toccarsi, lo stringersi
e lisciarsi il pelo. Se avessi l’olfatto adatto
capirei il significato del muschio,
di quei ritmici segni profumati strusciati contro
il ramo, lo sfarzoso oro dell’urina per
bagnarsi, innaffiare il territorio,
per gridare alla foresta Io Sono Io.

(isabnic2014)



[1]  Il Lori gracile, Loris tardigradus (Linnaeus, 1758)) è un primate appartenente alla famiglia Lorisidae, endemico dello Sri Lanka. È fra i primati notturni più sociali: vive infatti in piccoli gruppi formati da individui e giovani di ambedue i sessi, i quali trascorrono le ore diurne a riposare appallottolati in rifugi sicuri, a praticare il grooming o giocare alla lotta, mentre di notte gli adulti cacciano ognuno per proprio conto.
Le femmine hanno atteggiamenti di dominanza rispetto ai maschi.  È pratica diffusa - secondo Wikipedia- fra le popolazioni dello Sri Lanka catturare questi animali (che si chiamano anche bradipi di Ceylon) per estrarre le loro lacrime o i loro occhi, per farne filtri d'amore. A questo fine, spesso i poveri animali vengono arrostiti vivi fino a quando i loro occhi bruciano. (Aspettiamo conferme o smentite da qualche cittadino dello Sri Lanka!!)
[2] La Zoological Society of London, in base a criteri di unicità evolutiva e di esiguità della popolazione, considera il  Loris Tardigradus una delle 100 specie di mammiferi a maggiore rischio di estinzione. Secondo l'ultima stima, ne esisterebbero meno di 60 esemplari, e l'ultimo avvistamento risale al luglio 2010.