domenica 29 aprile 2018

FILOSOFIA IN GIARDINO di Damon Young (2012)


Uff, mi si è rotto anche il Kobo! Si rompe tutto in questo periodo! A dire il vero, anch’io mi sento a pezzi. J
Insomma, quello che volevo dire è che, mentre tento di ripristinare app, di leggere e capire istruzioni, consultare aiuti vari on line in attesa di comprarlo (il Kobo, l’e-reader), ho passato giorni a piangere la perdita, forse irreparabile, di quei quaranta, cinquanta libri che avevo scaricato, molti letti, qualcuno ancora non finito e altri- pochi- da iniziare. Tutti amati.
Meno male che un giorno mi sono accorta della pila di libri (cartacei) interrotti o abbandonati, o tra “le prossime letture” che stazionano sul comodino accanto al letto.
Ieri ho finito di leggere le ultime pagine di uno di quelli. Un autentico gioiellino, e riprenderlo ha voluto dire anche scorrerlo daccapo dall’inizio, soffermarmi sulle parti che avevo sottolineato, rileggere la prefazione dell’autore. Con grande piacere e curiosità.
L’idea del libro è quello di esplorare lo stretto rapporto tra alcuni autori e i loro” giardini”, amati o perfino odiati, spazi naturali veri e propri, giardini solitari, piante in vaso e così via, di quanto, insomma, il verde, “la natura umanizzata”, delimitata e trasformata dagli esseri umani, abbia contribuito al loro modo di pensare o sia stato fonte di consolazione, ispirazione, meditazione e energia. Possiamo allora scoprire quanto la mancanza di un giardino limitasse la produttività della Austen, o ritrovare l’amore proustiano dei dettagli nella cura che lo scrittore prestava a un bonsai, o capire il processo di crescita-decadenza e morte all’ombra di un grande albero come Nietzsche, e ancora quale “verde” ci fu nella vita di Colette, di George Orwell o Jean-Paul Sartre.  Il giardino, dunque, come “antidoto contro la distrazione” e quanto mai utile per noi oggi.
E Damon Young, filosofo e scrittore australiano, che collabora con giornali, radio e televisioni, ce lo racconta in modo piacevole e originale, con una prosa scorrevole, ma mai banale. Ottima la “bibliografia da sfogliare” in fondo al volume, piena di spunti e suggerimenti.
Anche l’edizione italiana è gradevole e curata. Da segnalare.
(isabnic2018)

Damon Young,  Filososofia in giardino, iacobellieditore, 2015; traduzione di Marina Vitale.

domenica 8 aprile 2018

CHARLES BAUDELAIRE PROSATORE



LA FANFARLO’ di Ch.Baudelaire
Trad e nota introduttiva di Anita Tatone Marino
Einaudi, 1980

A proposito di Baudelaire prosatore, Roberto Calasso, nel suo La Folie Baudelaire(2008), ci dice che era impossibile per il grande poeta tessere delle storie, poiché riusciva soprattutto a descrivere situazioni eterne senza lo scioglimento finale, quasi quadri statici e ipnotici alla maniera di De Quincey. Infatti, la composizione di un vero e proprio romanzo – spesso promessa all’amata madre e sempre rimandata- non si realizzerà mai e le molte pagine in prosa che lascerà saranno soprattutto diari, abbozzi, acuti articoli di osservazioni critiche sugli artisti del tempo e le loro opere in mostra ai Salons e alcune poesie in prosa. Come  Italo Calvino suggerisce -nel retro copertina del volume 61 della storica collezione Centopagine Einaudi da lui diretta-  dopo attenta analisi saremo tutti portati a “concludere che il vero romanzo baudelairiano resta Les fleurs du mal.
 Eppure già a ventisei anni l’Autore aveva scritto un testo narrativo intitolato La Fanfarlò (1847), ben strutturato e articolato e con un protagonista -in parte autoritratto ironico di Baudelaire stesso- che sarà il capostipite dei dandy estetizzanti europei di fine ottocento.
Samuel Cramer è il nome del giovane dandy- poeta che aiuta a risolvere, suo malgrado, una crisi coniugale facendo la corte alla ballerina Fanfarlò.  In lei e nel suo mondo troverà inoltre quello che lo aiuterà a superare la falsa immagine che ha di sé stesso.
Nella nota introduttiva al testo della traduttrice Anita Tatone Marino, viene messo a fuoco quanto Baudelaire amasse delineare i ritratti dei personaggi (vedi nello Spleen de Paris o nel Mon cœur mis ẚ nu). Considerava questa pratica una vera arte, in apparenza modesta ma che richiedeva secondo lui una sottile intelligenza. Se inizialmente il ritratto del dandy Samuel Cramer è statico, il narratore offre poi al lettore spunti continui perché del personaggio si colga la duplice natura di uomo d’azione e di belle intenzioni, pigro e intraprendente, ingenuo e brillante, sempre in lotta tra sogno e realtà. Un ipocrita commediante che sottolinea la sua diversità di artista ombroso e sofferente.
Deciso a riconquistare per noia un vecchio amore, madame de Cosmelly, ora sposata, ma tradita e abbandonata dal marito, Samuel Cramer si presta a diventarne il confidente e si offre di aiutarla nell’impresa di riportare il consorte a casa, in cambio (forse?) delle sue attenzioni. Il piano è quello di soppiantare monsieur de Cosmelly nel cuore della sua amante, la ballerina Fanfarlò.
Fin dalla prima apparizione, la Fanfarlò si mostra come un oggetto d’arte, capace di stimolare l’immaginazione più contorta del dandy-poeta. Viene ritratta mentre danza a teatro, tra movenze allusive, sguardi furtivi, costumi fruscianti, profumi, orecchini vistosi e belletto; una scena quasi da sogno che è un trionfo di linee, colori e suono in una fusione che suscita puro piacere. Molto artificiosa, molto baudleriana. E il coinvolgimento emotivo, inaspettato e alimentato dall’atmosfera seducente dell’artificio, trasformerà in breve Samuel Cramer da seduttore a sedotto.
Ѐ un testo curioso. Da leggere, anche se non all’altezza delle altre opere dell’Autore. Il vero Baudelaire prosatore, scrive ancora Calvino, avrà un altro nome: Edgar Allan Poe, che da lui mutuerà i principi compositivi, ovvero l’effetto benefico della costrizione della brevità del racconto contro i pericoli della libertà del romanzo.