giovedì 18 ottobre 2012

MANIPOLO (7) di Emilio Smunti


 La prima volta che aveva spaccato la vetrina di un parrucchiere era stata epica, fantastica. Con una mazza di legno, dopo che Gustav aveva scassinato con destrezza la saracinesca, lui sapeva farlo. Lui l'aveva spinta a fuggire, era scattato l'allarme, ma lei era rimasta come impietrita per un attimo. Quei tagli orribili pagati a cinquantoni le erano rimasti sempre sul gozzo; le chiacchiere superflue rivolte per mestiere le avevano sempre attivato bile nera. Le ricrescite nere delle amiche con tinta -rosso, biondo, oibò, che figo!- le aveva sempre invidiate e disprezzate. Lei avrebbe voluto, forse, anche lì avrebbe voluto, ma...Gustav l'aveva presa per il braccio ed erano corsi via ridendo. Avevano bevuto tanto quella sera, pisciato insieme in giro e consegnato cartoncini del Credo, così, a tirar via. Sempre odiato le cose a tirar via, non metodiche, non precise, sguaiate, alla carlona; ma era con Gustav.
Il mondo sarebbe cambiato davvero una buona volta? Non sapeva, non arrischiava. Non sapeva ostentare la stessa sicurezza di Gustav: "La situazione sta cambiando, ci siamo"; "La svolta è vicina, la stiamo rendendo possibile noi, capisci?". Neanche qui capiva: sperava, desiderava, voleva -il serpente lo sentiva sempre sulla pelle, stringerla e morderla, circondarla maligno- ma questa sicurezza le pareva follia. Inammissibile, insomma, "Ma come fai a dirlo? Come si fa a essere così certi, io non...basta aver letto il manuale del liceo di filosofia per sapere che non c'è mai nulla di assoluto". "Vedrai, vedrai: non leggi che i parrucchieri chiudono? Mesiota non sarebbe contenta di quello che dici".
Gustav l'aveva portata a conoscere Mesiota, in un grande raduno notturno del Manipolo, settimane prima. Lei aveva notato che gli brillavano gli occhi, quando aveva comunicato l'appuntamento a tutta la cellula 31. Anche in quel caso era partita da casa scettica, la smorfia del dubbio stampata in viso e il Dio Disagio a tenerle la mano. Ma una volta lì -tutti tuttissimi con quella "M"- aveva provato lei stessa -glip- entusiasmo. Si era sentita parte di un Tutto, di qualcosa, il fermento, la voce-velluto di Mesiota la grande, e poi la rabbia sopita di anni. Avevano festeggiato e premiato la cellula 67, che aveva portato a termine l'omicidio di una modella tra le più in voga.
Sollevò lo sguardo dal pavimento lercio della Metro: solo due fermate. Una manciata di minuti, e scendeva le scale della sala prove, ormai familiari. A fine Intervento bisognava sempre rilasciare una deposizione dettagliata in cellula, era la regola. Perché il Manipolo aveva un regolamento rigido e razionale, tuttavia non scritto; comunicato oralmente, e si trovò a ricordare di tutte quelle volte che aveva preso appunti, come all'università, riportando schematicamente su taccuino quel che diceva in proposito il Coordinatore. Trovò in sede Adria, uno dei due minorenni, e anche Gustav: "Allora! Dicci tutto: ce l'hai fatta? Non avrai perso tempo a farti bella come un'idiota?" "Ehm..no no". In effetti aveva voluto entrare nella parte, una volta nella vita, aveva voluto, per gioco, per quella vecchia attrazione morbosa che.."Deve essere stato terribile. Ma è una delle pratiche più efficaci  fingersi modelli e poi..quindi, tutto liscio? Imprevisti?". "Terribile sì, Gustav, ma tutto liscio, vi devo raccontare". "Dobbiamo aspettare che arrivi il Coordinatore, usciamo un attimo".
Uscirono, lei e Gustav. Lui si congratulò con lei, per aver ucciso due "dannati operai del Bello", finalmente. Per lui non era nuova la cosa, aveva già ucciso in diversi Interventi. Amava la violenza, lui, la trovava bella e necessaria. Le si avvicinò e la baciò a lungo. Fu contenta, lei, gli zigomi pungevano, il Dio Disagio la abbandonò dopo pochi minuti. Probabilmente faceva così con tutte, con molte, ma al momento non importava.
(Emilio Smunti 2011)
-CONTINUA-

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