sabato 31 dicembre 2011

venerdì 30 dicembre 2011

Andando in palestra

Mentre cammino verso la palestra mi vengono in mente una miriade di idee.
Tra me e me discuto con altri, intervengo durante le riunioni al circolo, genero progetti fantastici e insuperabili. Non vedo o riconosco nessuno, a parte il portiere di un palazzo davanti a villa torlonia. E' un gentile orientale che sorridendo pulisce meticolosamente il marciapiede e pare che lo faccia apposta per me.
Camino svelta perché sono quasi sempre in leggero ritardo.  Qualche volta infatti recupero e riesco ad arrivare un attimo prima che le amiche di palestra lascino lo spogliatoio e comincino a organizzare i tappetini, le palle semigonfie e il magic circle sul pavimento della nostra palestrina.
E' durante quel percorso, soprattutto quando l'aria è un po' più fredda e pungente, che mi vengono in mente storie da scrivere che poi dimentico.
L'altro giorno mi sono raccontata quella delle scarpe.
Una storia del  mondo raccontata dal basso, in cui il punto di vista è quello delle scarpe. Le due scarpe hanno caratteristiche differenti che fanno loro percepire in modo diverso la stessa storia o le stesse persone, etc etc.

martedì 6 dicembre 2011

appunti di viaggio nov 2011


Giorno 1. Quel lieve e continuo sottofondo di fisarmonica ti fa sentire come se fossi uno di quei burattini di legno con le gote rosse e il sorriso fisso. Ce  ne sono decine in vendita negli stand che stanno allestendo per il Mercatino di Natale. Senso di spaesamento. Mi sento davvero la straniera, e mi chiedo:" Come avrà fatto a sopportare tutta questa diversità?"
Le persone, però, sono gentilissime sorridono comprensive quando si accorgono che sei in difficoltà.
La perderò di nuovo:  ad ogni ossessiva apertura di account mail,  con trepidazione, si aspetta di trovare la risposta alla domanda di partecipazione ad una borsa di ricerca in Australia. Quasi imbarazzata nei primi momenti, ha come paura di non saper che dire o di sentire raccontare qualcosa che teme.
 Ieri sera è andata.E anche stanotte, con il riscaldamento dimenticato acceso. Mi sono svegliata per il troppo caldo e mi sono messa a pensare a lungo mentre quel pezzo di cielo che riempiva la finestra sopra il letto si scolorava sempre più e lei dormendo respirava tranquillla.
In fondo, rimangono tre giorni soltanto. ci vedremo stasera a cena. Forse ci sarà anche P. Domani potremmo andare al cinema. Forse ieri sera ho bevuto un po' troppo e non le è piaciuto.

Giorno2. C'è il sole fuori delle vetrine del Bar Celona. Vedo il ponte curvo sul canale con le figurine dei passanti in controluce. Dentro fa caldo e un incongrua musica ispanica fa sembrare incongrui anche i molti strati di golf indossati stamattina e la sciarpa intorno al collo. Come i felafel mangiati sul sagrato della Lorenz Kirche, in piedi,  al freddo e appoggiata alla tavola di legno.
Passerò per il Neue Museum?  Magari c'è una bella temporanea.
Ho già comprato i prodotti bio per L.
Mi perdo nella Metropolitana. Le lettere sui segnali mi confondono. Quale è il Nord? Quale è il Sud? Ma io in che direzione devo andare? Quando mi ritrovo nell'enorme supermercato con il nome in neon verde mi tranquillizzo, anche se le cose da comprare sono meno facili da trovare di quanto mi fossi immaginata.
Weetabix, latte, olio, tonno, vino bianco.Chissà come si chiama e in quale scomparto potrei trovare il bicarbonato?

Giorno 3. In treno insieme fino a Er... Poi lei scompare su un autobus verso il campus. 
Mi fa tenerezza rivedere questo luogo dopo tre anni. Noi quattro insieme. Eravamo stati benissimo.
Fa molto freddo e cammino velocemente. Er.. è cambiata. Più cittadina, nuovi negozi e vetrine. Anche quella del negozio punk è più grande. Mi ritrovo davanti alla Rokoko Hause. Il giardino sulla piazza, che vedevamo dalla finestra della nostra camera, è ora occupato da un kindergarten prefabbricato. Le voci dei bimbi escono dalle finestre chiuse. Ora l'Orto Botanico. E' una giornata grigia, con un vento insidioso che ti si infila nel piumino. Il giardino è desolato. Neanche un visitatore. Le serre sono invece piene di giardinieri che vi lavorano, potano, sistemano piante avvizzite. Finisco in un qualche posto chiuso ai visitatori e per un po' nessuno si accorge di niente. Neanche io. Poi, finanzio con due euro questo posto meraviglioso e mi danno in cambio due sacchettini di noci piccolissime: il mio souvenir.
A pranzo di nuovo insieme: da Bogart, come allora. Poi il campus. Il suo studio, i suoi amici, il suo computer. Tutta la vita che intravedo attraverso la webcam quando sono a casa.
Torno per conto mio, ma la sera è bello aspettarla a casa.

Giorno 4. Museo del giocattolo. Non pensavo che ci avrei passato così tanto tempo. Fantastico.
Poi, sedute al Literaturhaus  Cafè, dopo la zuppa super bollente e un nevrotico tentativo di acquisto stivali. Alti, bassi, caldi, piani, grigi. Meglio un'altra volta. Caffè in tazzoni e dolce di cioccolato mit kirchen. Nessuna connessione Internet. A meno di non pagare. Correzione di compiti. Scrittura di lettere. Vorrei andare al Neue Museum, ma sono stanca. Pensavo che questo caffè fosse un posto tranquillo, invece è rumoroso. I libri sugli scaffali sono PRIVATE PROPERTY . Così dicono i cartellini:  per ricordarci che possiamo guardarli e che ne possiamo parlare, ma non leggerli. Gli avventori, ai tavolini, cambiano con un ritmo frenetico. Due donne che ridono. Altre due, più rilassate, sono appena state sostituite da due uomini. Giovani, sembrano complici, seduti ai due lati del tavolino davanti a me. Si ascoltano e ammiccano.Un'altra coppia, all'altro angolo della sala. Lei sorride ascoltandolo, mentre lui pare tentar di convincerla a fare qualcosa. Vicino a loro, un donnone di mezz'età, con gli occhiali. Forse scrive.Alla sua destra, una giovane, con la testa reclinata verso sinistra. Scrive anche lei? Un I-pad sul tavolino? Una luce fredda pulsa sul suo viso.


La correzione dei compiti è ancora in alto mare. La lascio lavorare. Vado a vedere la mostra e poi l'aspetto a casa. Non posso crederci: domani mattina devo partire. Mi mancherà di nuovo. E' finito tutto così presto.





martedì 15 novembre 2011

ON THE ROAD AGAIN

 Libreria Feltrinelli al Babuino- Roma
4 Novembre 2011



Ho appena finito di leggere  "Caffè Trieste- Colazione con Lawrence Ferlinghetti " di Olga Campofreda (Giulio Perrone editore, 2011). E' un libro intelligente, ben scritto e ben costruito. Il sognato - caparbiamente cercato-  e a lungo atteso incontro di una ragazza con il poeta mito diventa l'occasione di nuove scoperte di luoghi, persone, sogni e modi di concepire la vita, tra molto alcool, un po' di fumo, tanta buona musica e una grande dose di calore umano. Brava Olga!
Oops!dimenticavo: c'è anche tanta pioggia rigeneratrice e tanto girare in taxi, in autobus e in macchine di amici. On the road, again!





MAI PIU'/ NEVER MORE

NO MORE NO MORE NO MORE NO MORE NO MORE NO MORE

IL CORVO di Edgar A.Poe

http://youtu.be/gWWv_y-fw5E


lunedì 14 novembre 2011

da SAFECRASH/ Contributi da pagare, di isabnic (2010)



 5.  CONTRIBUTI DA PAGARE
                     
L’odore era acre, di olio minerale. 
Era arrivata da un quarto d’ora, ma le cinque donne che la precedevano, tutte sedute in attesa, non si erano mosse. Con un certo nervosismo, quella accanto a destra, giovane e scura di pelle, cercava un po’ di refrigerio sventolando una fotocopia della sua carta d’identità. 
C’era già stata l’inverno prima. Peggio, molto peggio. Se non altro, oggi, la luce era meno gialla, la porta sulla strada era aperta e lasciava entrare un po’ d’aria. Calda. 
C’erano due porte sormontate da vetrate opache davanti alla fila di sedie di plastica e metallo allineate alla parete dove sedevano le donne. Una delle due porte era chiusa ad eccezione di un oblò esagonale attraverso il quale filtrava della luce al neon. Una targhetta di plastica gialla con la scritta a stampatello rosso diceva “Patronato ACLI- Ufficio”. Le voci che venivano da quella stanza erano ovattate con andamenti ad onda. Quando tacevano, tutte le donne che aspettavano in fila trattenevano il respiro, per poi lasciarsi di nuovo andare appena si riudiva quel mormorio di risacca. 
L’altra porta era aperta su di una stanza che sembrava vuota ad eccezione di un tavolo grigio, un cestino per le cartacce e una sedia sulla quale sedeva un uomo corpulento con il faccione arrossato e i pochi capelli ancora scuri. Sudaticcio, apparentemente nullafacente – forse c’era un giornale sulla scrivania che lei non riusciva a scorgere a causa dello stipite. - Mi faccia vedere… No, non la posso aiutare. Deve aspettare. Oppure venire mercoledì dalle 15 alle 19. Mi dispiace. Deve aspettare.- ripeteva senza grandi variazioni a chiunque delle donne in fila cercasse di forzare il destino e ridurre l’attesa. 
Quando la porta si aprì ne emerse un donnone in controluce. La riconobbe subito: non poteva essere altri che Maria Badus: Erano passati almeno cinque anni, ma era sempre la stessa. I capelli cortissimi, dall’incerto taglio e di un biondo limone, incorniciavano un volto un po’ gonfio; la pelle era chiara e trasparente, gli occhi di un celeste annacquato con ciglia corte e chiare. Il doppio mento, di cui qualche tempo addietro, in uno di quegli infiniti pomeriggi quando la vecchia Clelia dormiva, avevano a lungo parlato, non era stato ancora operato, come Marion si era ripromessa. Le braccia forti contrastavano con le spalle strette e il modesto seno, per accordarsi, però, con i poderosi fianchi e il sederone. 
Come uno strascico dietro ai teutonici sandali di Maria si srotolò la voce querula della delegata del Patronato: 
- State qui da due ore e non avete visto l’orario! Non volete vederlo! Dalle 15 alle 19! No, la mattina no!- e ancora, - Sono stanca, senza interruzione dalle tre. E poi, non capite. Non capite l’Italiano. Non capite niente. Devo ripetere sempre la stessa cosa. 
- Maria! 
- Signora ‘Rene! Bello! Cosa fai qui? 
Le raccontò, baciandola sulle morbide guance, di certi cedolini che doveva compilare e Maria, invece, le raccontò che era tornata in Italia da sei mesi, aveva trovato una signora in cerca di badante; i figli si erano ormai laureati a Kiev; la zia Stefania lavorava sempre dalla stessa signora e – Io guarita, ora. 
Si, è vero l’ultima volta l’aveva incontrata in ospedale. Un corridoio diviso da tramezzi e accanto a lei un altro letto. Maria continuò a dare informazioni più o meno dettagliate sulla sua salute, sugli ultimi medicamenti e la recente scoperta di un chirurgo ucraino di cui avevano parlato tutti i giornali. Irene ascoltava a metà, cercando di sorridere comprensiva, ma il suo cervello si rifiutava di essere gentile e di stare in quella sala d’attesa. Le sue gambe si erano irrigidite, come pronte a scattare, in cerca di una possibilità di fuga. Discreta, ma pur sempre una fuga. 
Quando, allora, Maria le aveva telefonato per dirle che era stata ricoverata per accertamenti e che molto probabilmente avrebbe dovuto subire una operazione, Irene aveva sentito subito l’impulso di starle vicina. Così sola, lontana dalla famiglia, ma già per strada, camminando velocemente per raggiungere il vicino ospedale, se ne era pentita. Faceva caldo, nonostante fosse appena metà maggio, e ............ [...]   (CONTINUA)



venerdì 11 novembre 2011

Poetry Adoption on line


Chi vuole adottare un capitolo a scelta dell'antologia- romanzo "326 poesie per una storia d'amore" di M.GBruni e I.Nicchiarelli?



                                          
                                               :-)     



E' sufficiente prenotare una o più copie dell' antologia che vi verrà poi venduta ad un prezzo speciale (ridotto del 30°/° rispetto a quello di copertina). Durante la fase di correzione delle bozze di ristampa, sarete invitati, se vorrete, a scegliere, tra i vari capitoli in adozione, quello che sarà a voi dedicato e riceverete un euro per ogni copia dell'antologia romanzo venduta durante il primo semestre dalla pubblicazione. 
Se interessati, contattate isabnic@gmail.com 
                                                           



martedì 8 novembre 2011

appuntamento h 11.00 ven 11/11/2011

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E, inoltre,  la parola rose  viene ripetuta  undici volte.”
“Cioè?”
“ Beh,  l’undici è un numero inquietante: è considerato la dozzina del diavolo come un dodici imperfetto; è il numero dell’eccesso, del conflitto e del martirio .. e qui si parla di rovi…”
Mais, c’est dingue! Gordon e la Cabala!”
“… L’undici è dopo il dieci che è il numero della pienezza e completezza, quindi è considerato il numero dell’esagerazione, della sopraffazione e del peccato. Dunque, temo che si parli, attraverso la grazia delle rose, di un amore perverso e doloroso, di una passione....”

[Gordon e Zoé a Roma mentre parlano di una poesia di Campana, da "Gordon&Zoé-fiori d'inchiostro" di MG Bruni e INicchiarelli]

domenica 6 novembre 2011

GUKURAHUNDI di isabnic (2011)










  • RIMEDIO ALLA SOLITUDINE  n°1

Il dottor Caprino sembrava  ripetere la lezione guardandomi con aria franca dritto negli occhi. Voleva essere certo che credessi alla sua preparazione e professionalità e, mentre parlava di statine, laboratori losangelani, malattie perniciose di amici o parenti, copriva attentamente con un foglio un piatto contenitore di fialette trasparenti, bianche o scure, sottili e cilindriche, messo  sul tavolino che ci separava. Eravamo seduti uno di fronte all’altra; più alto di me,  mi guardava con occhio indagatore mentre la curiosità mi spingeva a cogliere ogni minima possibilità di osservazione di quelle misteriose fialette.
Era arrivato in ritardo e, prima di questo rituale, si era a lungo scusato raccontando di parcheggi introvabili, di benzinai inesperti, di inevitabili infrazioni, di traffico in genere. Cercava complicità, ma, sia pure con un sorriso comprensivo, spiegai subito che le mie uniche esperienze di guida risalivano a trent’anni prima ed erano durate per un brevissimo periodo. Giravo con mezzi pubblici io, e spesso a piedi.
La fase iniziale stava cominciando a durare un po’ troppo nella sua inutilità; pensai che, forse, c’era qualche macchinario che doveva scaldarsi prima dell’uso, e che poi mi avrebbe fatto qualche domanda sulla mia vita, abitudini, acciacchi. Ma le uniche cose che mi chiese furono il nome, l’età (con commento benevolo) e cosa sapevo di quello che stava per fare. – Niente-, gli  avevo detto subito, ma ancora con l’intorpidimento da passaggio di stagione, nonostante l’ora di pilates appena conclusa, e con una certa confusione in testa, mentre mi davo dell’imbecille per esserci caduta un’altra volta e, per giunta, dietro pagamento anticipato di € 50,00.
Il luogo era un minuscolo spazio scarsamente illuminato, il retrobottega della graziosa erboristeria davanti alla palestra. L’avevo notata qualche anno prima e non mi aveva entusiasmato, poi durante quella primavera d’insoddisfazione c’ero entrata per chiedere qualcosa che potesse contrastare il gonfiore della caviglia destra e, perché no?, della mia pancia di donna abbandonata. Più che altro volevo prolungare l’effetto di carineria e affettuosità che respiravo al caffè  dove ci sedevamo a parlar di tutto con le quattro amiche attempate alla fine della lezione di pilates. Era raro che ci fosse qualcosa di molto personale, al massimo scambi di idee sui figli, per lo più sfoghi politici, racconti di vacanze, consigli di acquisti. Ma stavo bene e potevo così rimandare il ritorno a casa.
La giovane erborista, con un rassicurante camice bianco, non vendeva soltanto prodotti confezionati in modo accattivante, ma ascoltava comprensiva e con  attenzione, consigliava, prendeva da varie buste erbe e fiori essiccati, li pesava, li mischiava e ti restituiva una odorosissima bustina di carta con scritto a mano nomi delle piante, quantità e posologia. Nelle visite successive passava a consigliare sciroppi da diluire e da bere nell’arco di molte ore, avviandoti all’accettazione di un nuovo stile di vita fatto di privazioni e informazioni puntuali su eventuali diete e sane abitudini giornaliere. 

Why will you never let me sleep?

da "Aspettando Godot", Atto I,  di S. Beckett.

Estragon (Gogo): "Why will you never let me sleep?"
Vladimir (Didi):"I felt lonely"

Ovvero:
Gogo: " Perchè non mi lasci mai dormire?"
Didi: "Perchè mi sentivo solo".
Si desidera una risposta, una reazione dall'altro. Se non c'è, rimane solo il silenzio, che è un assaggio della morte che aspettiamo. Se Gogo non risponde Didi non esiste più, nella piece e nella vita.