venerdì 29 novembre 2013

FORZA ILARIA!!!


Ilaria si è fatta fotografare durante un  trattamento chemioterapico per protestare contro il potenziamento della centrale di Vado Ligure. (gogo2013)

mercoledì 27 novembre 2013

MICHELE ARCANGELI, primo piano -primo portone a sinistra (5)

 5. Quando arrivai al cancello della  Pharmacol, dove lavoravo, ancora pioveva, ma il peggio sembrava passato.  Vidi in fondo allo slargo Daniela che aveva già parcheggiato. Sotto un ombrellino rosso, cercava di evitare le pozzanghere dribblando pericolosamente sulle scarpe a tacco alto, per poi scomparire tra i cristalli dell’ingresso. Pensai di riuscire a controllare meglio tutte le ansie e le emozioni, che mi battevano alle tempie, simulando una nottata difficile. Appena la raggiunsi, mi guardò preoccupata e dritto in faccia con quegli occhi indifesi che mi avevano colpito fin dal primo giorno in cui me l’avevano presentata durante una pausa al caffè aziendale: - Ciao, amore! buongiorno. Ma che c’è? come stai? Non hai dormito bene?
 Aveva notato che la mia andatura era più claudicante del solito, lo sguardo più pensieroso. Lo spray nasale mi aiutò a distrarre la sua attenzione. -Ciao, Dani. Sì, ho dormito poco. Non respiro bene… Dai, ci vediamo dopo in mensa.
 La conoscevo ormai da qualche anno, non le avevo promesso niente, ma mi si era legata con dedizione e affetto non aspettandosi  nulla in cambio. Aveva superato i cinquanta e aveva ancora un bel corpo, oltre a tanta voglia di vivere. C’era stato un marito, c’erano state altre storie nella sua vita. Era una donna generosa, che aveva continuato a dare amore e a sperare. Non aveva mai fatto molte domande, sembrava intuire che ci doveva essere una storia un po’complicata alle mie spalle, ma rispettava i miei silenzi, il desiderio di  momenti di solitudine, le mie assenze senza racconti durante le ferie estive. Durante le serate con i colleghi al ristorante ci sedevamo accanto, poi la riaccompagnavo a casa. Mi piaceva ascoltare il suono della sua voce e la sua risata schietta che finiva con un sospiro come se non volesse strafare.  Qualche volta la sera veniva a trovarmi nel mio appartamento, più spesso mi capitava di cenare da lei e, quando succedeva, di solito mi fermavo per un paio d’ore a chiacchierare, guardare un film  e fare l’amore, e per tutti e due sembrava ogni volta come se fosse l’ultima. Sapeva che per me c’era una famiglia da qualche parte. Ricordo che fu lei a invitarmi a salire la prima volta:- Vieni, è ancora presto. Il tuo pappagallo stasera aspetterà. Sono sicura che non ti metterà il muso… Se non vuoi proprio bere, vorrà dire che ti preparerò una tisana!- Aveva un buon profumo e nella penombra dell’abitacolo della macchina avevo pensato per un attimo che fosse Marìa Concepciòn a posare la mano leggera sul mio braccio. Come aveva fatto a capire che quella sera mi sentivo più solo che mai?
Alla fine di quel mattino di febbraio, in cui Manlio Giacinti sembrò scomparire dalla mia vita per sempre, quando a pranzo me la trovai al fianco con il suo vassoio, avrei voluto stringermi a lei, abbandonarmi tra le sue braccia e trovare soltanto un po’ di requie. Quanto ancora dovevo pagare per le mie scelte sbagliate? Quanto per la mia vigliaccheria? -Dani, vieni da me stasera? Ceniamo a casa mia?, avevo bisogno di qualcuno. Avevo bisogno di lei. Come avrei fatto ad affrontare il ritorno a Via Gianturco quella sera? Avevo ricevuto a metà mattinata una telefonata dal portiere che mi aveva comunicato la notizia. Non era stato difficile simulare una qualche sorpresa ed esprimere un tiepido rammarico, ma quel corpo riverso a terra mi si confondeva in testa con altri corpi a terra di anni prima e le gocce nebulizzate di Kapparinol non sarebbero bastate a farmi respirare meglio. Insieme decidemmo che lei mi avrebbe seguito con la sua auto e avrebbe parcheggiato fuori del garage, come sempre. Forse anche io avrei fatto meglio a lasciar fuori la mia Punto. Chissà se la polizia aveva transennato, oltre alla zona del ritrovamento, anche le aree lì accanto? Continuai ad arrovellarmi per tutto il pomeriggio, fingendo di portare avanti il lavoro: ‘Avranno già chiesto ai vicini informazioni su di me, abitudini, frequentazioni... Purchè non risalgano ai tempi del liceo!. Ma allora ero Mauro. Mauro Lenzi, cittadino italiano, nato a Parma e residente a Roma. Ora sono un cittadino venezuelano, perito chimico, dipendente di un’associata della Pharmacol, qui, in questa città, a completare gli ultimi anni di lavoro nella sede italiana. Yo soy el señor Arcangeli, primo piano, primo portone a sinistra e …Cos’ altro aveva aggiunto Franco il portiere? Mi tornò subito in mente e mi si strinse la gola: - … e poi, domani mattina  hanno detto che dovremo presentarci tutti, io, lei egli altri condomini, al Commissariato di zona. Hanno lasciato un avviso.  Vogliono stabilire come è successo, ecc. ecc. Pare, così qualcuno ha detto, che Giacinti avesse ricevuto delle minacce… Mah! Qui sono tutti in agitazione  e la signora X si è sentita male.-  Ecco! Dunque, volevano vederci chiaro, ci avrebbero fatto domande, controllato documenti… No, non ce l’avrei mai fatta da solo.
Fu dolce quella sera Daniela a tentare di rallegrarmi con i suoi racconti, a cucinare al posto mio, a prendermi per mano e portarmi a letto, mentre Guaco taceva discretamente. Non ero stato granché come ospite- ero stato quasi sempre in silenzio- tanto meno come amante, stravolto come ero dall’angoscia. Non avevo un alibi. Ero fuggito via anche quella mattina. Ancora una fuga, un’altra. Mi convinsi che non avrei mai potuto smettere di fuggire. Le mani di Daniela erano dolci e forti, il suo corpo accogliente, la sua bocca pareva volesse darmi una nuova vita, ma no, neanche lei, però, poteva aiutarmi quella sera. Alla fine, le chiesi di andare via e di lasciarmi solo: -Perché non vuoi mai che rimanga qui da te a dormire? E poi perché ti preoccupi così tanto per questa storia? - Cosa avrei potuto risponderle?
Appena mi salutò e chiusi la porta dietro di lei, ripetei meccanicamente i rituali che la mia vita di fuggiasco e clandestino mi aveva insegnato a rispettare fedelmente, senza deroghe. Era la condanna che mi ero inflitto per poter espiare i miei peccati e poter tornare a vivere, godere senza sensi di colpa quello che non meritavo. Una vita normale. Perfino felice.
Marìa Concepciòn… odore di cannella e occhi stellati. Denti splendenti sulla pelle scura, sapeva di mare, di foresta, di libertà. Quanto mi mancava! Quando l’avevo incontrata a Maracaìbo, avevo capito subito che quello sarebbe stato il mio porto d’arrivo. Avevo così rubato avidamente quegli anni e quei baci, avevo morso le hallaca che le sue svelte mani confezionavano a casa e bevuto  la chica criolla. Mi ero finalmente fermato dopo tanto vagare; era finita la paura, non ricordavo neanche bene perché, come ero capitato fin laggiù e chi mi aveva aiutato. Mauro Lenzi, allora, era morto anche per me, scomparso come il suo passaporto. Riuscivo di nuovo dormire tra le braccia di una donna e a sognare. Quando poi, però, nacque Juan il passato aveva ricominciato a pulsarmi in testa. Non bastarono più le braccia di Marìa Concepciòn ad allontare gli incubi e i ricordi che riemergevano togliendomi ogni forza. Dall’ Italia venivano notizie di arresti, condanne, pentimenti. L’oceano che ci divideva, improvvisamente, non mi sembrava più cosi vasto. Come avrei potuto continuare a guardare mio figlio negli occhi?  Sandro non c’era più dal giorno dell’ultima azione del commando, gli altri due compagni erano stati catturati poco dopo e condannati. Quando Giacinti crepò, stavano ancora finendo di scontare la pena.
Quel maledetto giorno, in quel maledetto incrocio, non ci eravamo fermati all’alt. Ci avevano colpito alle gomme, avevamo sbandato e era seguito uno scontro a fuoco. Colpi secchi, come grandine su una lamiera. Uno…, due andarono a segno. Colpi secchi ripetuti. Senza sapere bene dove puntare, forse nessuno di noi. Poi Sandro a terra, bocconi. Anche uno di loro dall’altra parte. Due fantocci scuri che con una piroetta si erano accasciati  a terra ai lati opposti della strada,  come in un film, due macchie scomposte a terra, complementari. Non ero riuscito a coprire Sandro, il mio amico, il mio eroe. Avrei dovuto trascinarlo via, ma l’unica cosa che  volevo in quel momento era che ci fosse silenzio e spazio intorno a me. Mi sentivo soffocare e di nuovo stretto contro quel muro della scuola, ma stavolta le gambe avevano deciso per me. Io non ero un eroe, non lo ero mai stato. Io non ero riuscito ad aiutarlo e dopo un po’ mi accorsi di non sentire più finalmente il rumore degli spari, coperto come era dai suoni delle sirene di altre auto in arrivo e dal mio respiro pieno d’affanno. Anche la scena che percepivo attraverso gli occhi appannati era ormai lontana,  il rumore dei miei passi e dei rametti delle siepi spezzati al mio passaggio erano ora diventati l’unica colonna sonora.  Stavo scappando. Mi  allontanavo velocemente, fuggendo come una lepre per quella macchia in leggera salita. E continuai ancora a correre, correre, mentre il cielo diventava sempre più chiaro. Ora potevo sentire qualche uccello che fischiava e frullava via. Il latrato di un cane disperato in lontananza. Non ricordo neanche bene  né quando né dove mi fermai, prima di ritrovarmi in Venezuela.
Respiravo a fatica anche quella lunga notte di tanti anni dopo,  mentre mi rigiravo in inquieto nel letto in attesa della convocazione al Commissariato. Sentivo  la pesantezza e l’oscurità di quegli anni miopi, costellati di chiavi inglesi e P38, come se non il futuro, ma piuttosto il passato fosse ormai diventato incerto, nebbioso e pieno di dubbi. Sapevo che i miei genitori non ci erano più, ma mio fratello, chissà, se mi aveva perdonato? La mia indifferente impazienza li aveva cancellati tutti dalla mia vita già prima che fossi costretto a lasciare l’Italia. Volevo cambiare le cose in meglio e subito, ma avevo fatto il vuoto intorno a me.
 Alle 2.45, un rumore di sedia caduta a terra e di vetri rotti nell’appartamento di sopra bloccò per un momento tutto il rimuginare.  ‘Cos’è? Minotti si sarà addormentato davanti alla televisione come al solito, con il bicchiere pieno. Stanotte siamo parecchi a non dormire.  Mi aveva detto qualcosa a proposito di Giacinti, tempo fa. Magari ... chissà quanti altri avranno avuto un buon motivo per farlo fuori. E ora la ragazza  della Smart nera, eccola!. è appena tornata dal club dove balla. Che stronzo, la guardo come se… potrebbe essere mia figlia. Juàn ha più o meno la stessa età di quella ragazzina. Chissà se Juàn ha una donna? Quando potrò stargli accanto?
La sveglia del cellulare- impietosa!- interruppe un sonno faticosamente conquistato e affollato di pensieri, cose e persone. Fuori il cielo era livido e senza speranza e lo specchio di fronte al quale mi stavo radendo mi rimandò l’immagine di un vecchio con lo sguardo smarrito e la bocca serrata.’ Coraggio! È tempo di andare.’
[...]

(isabnic2013)


lunedì 25 novembre 2013

25 NOVEMBRE DA LEONESSE: una risata vi sommergerà!


25 NOVEMBRE

Nella Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne SE NON ORA QUANDO FACTORY ha organizzato una festa. Sì, proprio una festa.

Saranno con noi: 
LUNETTA SAVINO, VIRGINIA RAFFAELE, SABINA GUZZANTI, FRANCA VALERI, EMANUELA GRIMALDA, FRANCESCA REGGIANI, PILAR, LOOP LOONA, DIANA TEJERA, THE SESSION VOICES, LIDIA RAVERA, ASHAI LOMBARDO AROP, NADIA FUSINI, LOREDANA LIPPERINI  
...e tante altre artiste!
Per combattere la violenza servono tante cose, ma una è decisiva: che le donne, a tutte le età, non si sentano insignificanti, deboli, vittime. Che nutrano abbastanza fiducia in se stesse per avere il coraggio di sottrarsi a relazioni che potrebbero metterle in pericolo, e la forza di scegliere la vita che desiderano. Che la loro vita, la loro cultura e il loro immaginario siano pieni di storie di donne da cui prendere slancio, di Leonesse, di figure femminili su cui arrampicarsi allegramente per crescere nella stima di sé.Il 25 novembre vogliamo celebrare il coraggio delle donne, lo vogliamo testimoniare, il coraggio grande, quello che ha salvato il mondo tante volte, quello che anche dopo i grandi dolori, le grandi catastrofi della storia ha sempre ricominciato. Chi ricomincia la vita sono le donne. Noi vogliamo celebrare la loro forza con una festa, per ridere insieme, ballare e cantare. Abbiamo un grande bisogno di ridere. 

Al pianto delle donne il mondo è abituato, è assuefatto. 
Il pianto delle donne non cambia il mondo, ma il loro ridere può farlo
Il ridere delle donne sarà una sorpresa, sarà un terremoto, sarà il cambiamento.


Il 25 novembre dalle ore 21.30, Spazio Factory della Pelanda (Macro Testaccio) 



domenica 24 novembre 2013

25 NOVEMBRE CONTRO LA VIOLENZA a Roma


Scegliamo il ROSSO per protestare e impadroniamoci del 25 Novembre!
Ecco l'appuntamento per domani:

ROMA (PIAZZA DEL CAMPIDOGLIO)
25 novembre 2013
Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne
PIAZZA DEL CAMPIDOGLIO
dalle ore 17.00 alle ore 19.00
e
CASA INTERNAZIONALE DELLE DONNE
dalle ore 20.00
DONNE IN PIAZZA
La violenza ci costa...la vita
partecipano
Anarkikka, Assolei, Be Free, Casa Internazionale delle Donne di Roma, CGIL Roma e Lazio, Fondazione Pangea, Freedom for Birth Rome Action Group, Sciopero delle donne, Punto D, UDI La Goccia, UDI Monteverde, UDI Nazionale
e le studentesse e gli studenti dell'Istituto Tecnico Statale “V. D’ALESSANDRO” di Lagonegro (PZ)
Presenta e conduce Betta Cianchini,
con la collaborazione di Adriana Terzo e Barbara Romagnoli
In ogni angolo della piazza le associazioni saranno libere di esprimersi, fare allestimenti, organizzare le proprie manifestazioni, esporre striscioni, distribuire volantini e materiale informativo su servizi e sportelli.
I Guanti Rossi: a tutte le donne che vorranno partecipare chiediamo di indossare guanti rossi, e comunque una maglia o un foulard o un nastro rosso...
Le scarpe rosse della Cgil: saranno lasciate a terra scarpe rosse in memoria delle donne che quelle scarpe, purtroppo, non le indossano più.
Leghiamo le città di Punto D: le Trampoliere inizieranno a “legare la piazza” del Campidoglio con dei fili rossi, nell’ambito dell’iniziativa “Leghiamo le città”: un filo rosso continuo, simbolico, per intessere una rete sinergica tra la società civile, le operatrici e gli operatori, le istituzioni.
Un filo rosso di pensieri: chi vorrà, potrà attaccare sui fili rossi che legheranno la piazza, un biglietto con una propria riflessione, un messaggio, un nome, per dire la propria rabbia, per ricordare, per riflettere… quando con la voce non si riesce a farlo.
Poco prima delle 17.00, le Trampoliere inizieranno a legare la piazza del Campidoglio con fili rossi e il coro del circolo Bosio diretto da Sara Modigliani canterà “Se otto ore vi sembran poche…”, con distribuzione del testo in piazza per poter cantare tutte insieme. Dopo il coro, le studentesse e gli studenti della scuola di Lagonegro indosseranno una maschera bianca e un cartello al collo, sul quale è scritto il nome di ogni donna uccisa... Non sveliamo tutti i dettagli del pomeriggio del 25 novembre perché saranno oggetto di una conferenza stampa che si terrà a Roma la prossima settimana. Vi anticipiamo ancora che fino alle 19 ci saranno performance, lettura di testi, testimonianze, brevi flashmob teatrali, i disegni di Anarkikka a far da cornice. La serata proseguirà alla Casa internazionale delle donne.

martedì 19 novembre 2013

25 NOVEMBRE ROSSO CONTRO LA VIOLENZA



La catena delle Donne di Carta 

donne di carta
L’associazione Donne di carta, presente sul territorio nazionale in 15 città, aderisce allo Sciopero: nei 15 minuti le persone libro, ovunque essere saranno, diranno a catena, collegandoci da una città all’altra tramite skype, un testo a memoria che stiamo scegliendo insieme. A Nome di tutte le socie, la presidente, Sandra Giuliani.

Aderisco perché sia una battaglia di tutte e di tutti


Aderisco allo sciopero delle donne del prossimo 25 novembre perché questo gesto, individuale e collettivo al tempo stesso, rappresenta e restituisce al Paese il coraggio, la sofferenza, la dignità e la forza con cui le donne hanno contribuito, in maniera determinante, a tenere in piedi l’Italia.
Aderisco perché in questo gesto e in questa iniziativa c’è tutto il nostro rifiuto per la sottocultura che vorrebbe le donne subalterne in ogni ruolo della società.
Soprattutto, aderisco perché la lotta al femminicidio, divenuto ormai una vera e propria piaga sociale, diventi la lotta di tutte e di tutti, delle persone e delle istituzioni e dunque la lotta al femminicidio, e le leggi necessarie a punirlo, che ancora attendiamo, siano il denominatore comune da cui ripensare i rapporti fra esseri umani, i rapporti fra generi, i rapporti fra gli individui e la collettività, ponendo alla base di questa riflessione la valorizzazione delle differenze, di genere e nei generi, di religione, etnia e culturali, patrimoni di ricchezza ed occasione di evoluzione positiva del nostro Paese.
Maria Gemma Azuni – Vice presidente della Commissione delle Elette del Comune di Roma

**** il nuovo sito dove trovare il programma della giornata per Roma è:
**** IMPORTANTE! il nuovo indirizzo web è 

DIRITTI UMANI IN IRAN // Assemblea Generale ONU 18-19 Nov 2013



UN General Assembly #IranVote is Today!  
Show your support on Twitter and Facebook by reposting and retweeting United for Iran's messages on Monday, November 18th and Tuesday the 19th. Use the hashtag #IranVote.
As the United Nations General Assembly Third Committee prepares to vote on the resolution on the promotion and protection of human rights in Iran on November 19, 25 human rights organizations have joined together to urge member states to vote in favor of the resolution.
In a letter sent to UN member states, the organizations note that by passing the resolution, “the UN General Assembly will send a strong signal to the government and all Iranians that the world is invested in lasting human rights changes in their country.”
Some specific issues the letter highlights include the continued house arrest—now over 1,000 days—of three opposition leaders without charge or trial; the ongoing persecution of religious minorities; the exceptionally high rate of executions per capita, the highest in the world; and the deprivation of Iranians’ access to information and freedom of expression in the country.
Show your support on Twitter and Facebook by reposting and retweeting United for Iran's messages on Monday, November 18th and Tuesday the 19th. Use the hashtag #IranVote.

In part, the letter reads as follows:
We, the undersigned human rights and civil society organizations, write to urge your government to vote in favor of resolution A/C.3/68/L.57 on the promotion and protection of human rights in the Islamic Republic of Iran during the 68th session of the United Nations General Assembly, scheduled to take place this Tuesday, 19 November 2013.
This year provides a crucial opportunity to highlight ongoing human rights concerns identified by the international community and Iranian civil society. The new administration of President Hassan Rouhani has pledged to tackle a range of human rights issues in Iran, by eliminating discrimination against women and ethnic and religious minorities, and ensuring respect for the right to freedom of expression, among other measures. Despite these welcome signals, human rights abuses are deeply rooted in Iran’s laws and policies, many of which pose a serious barrier to the executive branch’s ability to push through much needed rights reforms. As a result, the human rights situation in Iran continues to be marked by routine violations of civil and political rights as well as economic, social, and cultural rights.


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sabato 16 novembre 2013

MISTERO BUFFO E ALTRE STORIE a Roma

Ci sono stata ieri sera e qualche pezzo l’avevo già sentito l’anno scorso durante la tournée a Roma dei giovani attori e delle giovani attrici del Teatro Scuola Paolo Grassi di Milano e della Civica Accademia d’Arte Drammatica Nico Pepe di Udine, reduci dal successo ottenuto al Festival d’Avignon Off 2012.  Successo replicato quest’anno con la loro rappresentazione per le strade della città provenzale. Bravi, davvero bravi a reinventare giocosamente alcune giullarate dell’irriverente e gioioso Mistero Buffo e altre storie di Dario Fò e Franca Rame. Lo spettacolo, nato originariamente con l'intento di dimostrare l'esistenza storica di un grande teatro popolare da opporre al teatro erudito e borghese,  offriva monologhi della tradizione popolare, tratti da giullarate e fabliaux del medioevo di tutta Europa. Ebbene, ancora oggi in un contesto storico-sociale completamente differente, noi spettatori siamo stati immediatamente afferrati attraverso “altre storie” diverse e attuali, proprio come accadde a chi vide Mistero Buffo in scena nei primi anni ’70. L’obiettivo della reinterpretazione, infatti, non è di copiarne la forma, ma piuttosto, secondo Dario Fò, di comprenderne i meccanismi per restituirne il senso. Rischiare, essere consapevoli, coinvolgere gioiosamente e saper improvvisare in mezzo al pubblico: questo l’obiettivo dei giovani attori. Perfettamente raggiunto. (gogo2013)

Mistero Buffo e altre storie, in scena dal 5 al 24 novembre al Teatro Due di Vicolo dei Due Macelli, Roma.


con la regia  di Michele Bottini e Claudio De Maglio, direttore dell’accademia udinese;  con il coordinamento artistico di Massimo Navone, direttore dell’accademia milanese  Paolo Grassi


venerdì 15 novembre 2013

MICHELE ARCANGELI, primo piano, primo portone a sinistra. (4)

. L'ultimo incontro con l'Amministratore


Gli incontri con Giacinti, però, anche se a distanza, da quella sera in cui l’avevo riconosciuto, parvero intensificarsi e cominciarono a sembrarmi per nulla casuali. Ricominciai a sentire nei suoi confronti lo stesso odio di un tempo, quasi un sapore acido di vendetta, un grumo scuro che mi premeva alle tempie. Quell’uomo che mi aveva  separato da un amico, indebolito la povera gamba sinistra per sempre, segnato dolorosamente un periodo del passato, ora avrebbe potuto cancellarmi anche il futuro. Lui conosceva il mio vero nome, sapeva della mia amicizia con Sandro, forse avrebbe potuto intuire dell’altro e denunciarmi. Mancavano solo pochi mesi e sarei potuto tornare da Marìa Concepciòn e da mio figlio. Fino ad allora avevo immaginato che nessuno avrebbe potuto sospettare nulla, che avrei potuto mettere a tacere per sempre tutti i fantasmi che continuavano ancora a tormentarmi. Avevo pensato a tutto, così che noi avremmo avuto di che vivere e allo stesso tempo avrei potuto aiutare, in forma anonima, anche il figlio di Sandro. Se solo… Desiderai profondamente la morte di Giacinti, la sua scomparsa definitiva dalla mia vita, così che, alla fine, decisi di recuperare e tener pronta la mia vecchia pistola. Quella Walther P38 che da tempo non avevo più impugnato e che, da quando mi ero trasferito lì, tenevo nascosta in balcone. Mi ero illuso da tempo che avrei potuto non toccarla più per tutto il resto della vita. Ma pareva che non potesse andare così.
  Era sicuramente un fine settimana di gennaio, dunque appena un paio di settimane prima che il cadavere di Giacinti sarebbe stato ritrovato vicino all’archivio. Ricordo che le piante in balcone erano ancora coperte dai teli di protezione, quando decisi di recuperare quel pacchetto di plastica, ingrigito e rinforzato dal nastro adesivo. La mia memoria dolorosa, il mio senso di colpa straziante. Potevo stringerlo ancora tra le mani. No, non si era disciolto e non era nemmeno defluito via con l’acqua di innaffiatura. Era ancora lì dove l’avevo nascosto, sotto strati di carta, stoffa e plastica sporca del terriccio, sotto il quale avevo sepolto anche i tuberi di tulipano, in attesa della loro fioritura primaverile. Risistemai velocemente il vaso e posai sul tavolo del soggiorno quel lugubre pacchetto per aprirlo. Lo stesso odore di terra, come allora. Sotto gli strati di copertura che da anni lo avvolgevano, riapparve quel fusto in acciaio brunito. Estate del ’77. Non portavo ancora questi occhiali falsi, mi chiamavo ancora Mauro Lenzi,  nome di battaglia “Angelo”. Prime ore dell’alba, luce incerta. Insieme ad altri tre, a volto scoperto e a bordo di un auto rubata, in quella strada ancora poco frequentata tra l’autostrada e il litorale, come avrei potuto mai dimenticare?
     La Walther P38 era arrivata alla fine dell’addestramento, quando io e Sandro, ormai “compagno Michele”,  ci ritrovammo, dopo anni in cui ci eravamo persi di vista, militanti in clandestinità nella stessa organizzazione e poi, infine, in un paio di azioni di autofinanziamento. Qualcosa andò male, però, l’ultima volta. Non ci doveva essere quella pattuglia di carabinieri in attesa, a quell’ora, a quell’incrocio. Io sarei diventato, sui giornali del giorno dopo, il famoso quarto uomo del commando, famoso perché non identificato, sfuggito alle forze dell’ordine; una sagoma bianca, senza nome e, dopo più di trent’anni, ancora latitante nel condominio di via Gianturco. Se Manlio Giacinti mi aveva davvero riconosciuto, come sospettavo ogni giorno di più, sarebbe stato facile per lui ricostruire tutto il resto, tenermi in pugno, denunciarmi, ma –devo confessare- non avrei mai immaginato di vedere così presto il suo corpo riverso a terra senza vita.
  Erano le sette e un quarto di quel mercoledì di metà febbraio quando capii che non avrebbe potuto più farmi male. Tra breve Franco, il portiere, ne avrebbe scoperto il cadavere. Maledetto! Proprio qui dovevo rincontrarti!   Presto - mi dissi- prima che arrivi qualcuno e forse in archivio non c’è nessuno. Devo salire in macchina e andarmene subito al lavoro, come sempre, come se nulla fosse successo.                
 Mi chiedo ancora come riuscii a guidare fino a lì. La pioggia leggera che avevo incontrato uscendo dal garage era diventata man mano che lasciavo la città uno scroscio insistente e senza speranza, che cancellava il mondo al di là del nastro d’asfalto che percorrevo e la linea bianca, al centro della carreggiata, a tratti scompariva in apnea, prima che il braccetto del tergicristalli riuscisse a compiere il proprio lavoro di pulitura. Anche i pensieri si accumulavano a ondate alternandosi a momenti di vuoto. Mi venne in mente che l’avevo incontrato la sera prima mentre stava parlando con l’avvocato del quarto piano. Sembrava che avessi interrotto una conversazione di una certa importanza e ancora una volta mi ero sentito addosso il suo sguardo, anche più determinato del solito, quasi che dicesse: - Adesso non ho tempo. La prossima volta penserò anche a te.-
Non poteva che finire così.[...]

(isabnic 2013)

mercoledì 6 novembre 2013

MICHELE ARCANGELI, primo piano, primo portone a sinistra (3) di isabnic

Riprende il racconto di Michele Arcangeli, condomino del primo piano del palazzo in Via Gianturco.

3 . Michele ricorda e ha paura               

 - Ciao! Buonasera! Come va? Mi scusi tanto… Ehm, Manlio, devo parlarti. Ti chiamo più tardi…
Il tono era forse meno cordiale dei modi e più pressante, ma non ci feci tanto caso allora. Il fatto è che quel nome, quel nome pronunciato da Pratesi, mi aveva colpito come una staffilata e aveva cancellato tutto il resto. Alla fine lo avevo recuperato nella mia memoria.
‘Manlio! Manlio Giacinti. Ora ci sono. Ecco, dunque. - Un lampo infinitesimale lacerò il velo che mi impediva di vedere, ma cercai in tutti i modi di tenerlo nascosto, mentre frammenti di pensieri, ansie e ricordi mi affollarono la mente. 
‘ Mi ha riconosciuto, ne sono sicuro. Ancora non ricorda il mio nome, ma tra un po’ ricorderà anche il tempo e il luogo dove ci siamo incontrati. Manlio Giacinti! Fetente! io sì, invece, che so chi sei. Anche sotto tutto questo profumo e vestiti di buon taglio sei sempre la solita merda. Fascio e non solo. Spia, che godevi a far male. Chissà anche adesso in che giri ti trovi. Ti toglierei con piacere quel sorrisetto da stronzo. Sempre lo stesso. Come ho fatto a non incontrarlo finora?
Approfittai del momento per allontanarmi, seguito subito dopo da Pratesi, che continuò, meno vigoroso del solito, su per le scale verso casa sua, dopo un laconico buona sera e finalmente rientrai a casa.
Come al  solito mi bastò un solo sguardo per controllare che tutto fosse a posto come l’avevo lasciato al mattino. Sì, la casa era quella di sempre, almeno quella degli ultimi due anni. Tutto era come al solito. Anche quella sera. Nel grande soggiorno studio, su cui si affacciava la porta per la camera da letto e il bagno,  c’era il  tavolo piuttosto grande, e sempre un po’ disordinato, davanti ai finestroni che davano sul lungo balcone, pieno di piante, che curavo personalmente, quasi un balsamo per i miei affanni. L’ angolo cottura, forse spartano, ma adatto alle mie esigenze, e con qualche piatto da lavare nell’acquaio, rimaneva in penombra al lato della finestra, mentre dall’altra parte del tavolo troneggiava il trespolo-gabbia di Guaco.
 - Hola, Guaco, mi compañero!- lo salutai e mi lasciai cadere su una delle due poltrone chiare, lì dietro, semplici nella loro intelaiatura in legno e poco abituate a ricevere ospiti. Erano sistemate davanti alla piccola libreria bianca, dove i pochi libri che continuavo a portarmi dietro nelle mie peregrinazioni erano ora in casuale compagnia di soprammobili anonimi in dotazione della casa. Eppure quella sera mi sembrò che ci fosse qualcosa di malato alle solite pareti, dietro ai pochi soliti mobili, come ombre piene di rimproveri, mentre l’aria secca, a causa dei caloriferi in funzione, mi asciugava la bocca. Un sapore amaro che da lì sembrava impregnarmi tutto. La mia povera gamba sinistra mi doleva  per la stanchezza e la tensione. Mi affrettai a chiudere le serrande e le tende e non cenai nemmeno, perché la testa continuava a pulsarmi. Avrei forse fatto meglio a infilarmi sotto le coperte, ma l’ aver riconosciuto Giacinti e la paura che lui potesse avermi riconosciuto a sua volta mi avevano messo in uno stato di assoluta agitazione. Ansie e preoccupazioni mi si stringevano addosso mentre pensavo e ripensavo che avrei dovuto cambiare i miei piani, forse traslocare, forse cambiare casa prima possibile. O anticipare la partenza, rinunciare alla pensione che avrei maturato alla fine della primavera e poi scomparire. Lasciare l’Italia, stavolta per sempre. Intanto, da subito, avrei cercato di evitare in tutti i  modi di incontrarlo e contemporaneamente avrei accelerato i preparativi per una nuova vita.  Seduto al tavolo, sotto la lampada accesa che pendeva dal soffitto e davanti allo schermo del portatile, con la pagina lattiginosa di un nuovo file che sarebbe rimasto vuoto, mi scorreva il film di quegli anni lontani a cui da tempo non avevo più pensato. Quando avevo digitato il nome di Manlio Giacinti + amministratore condominio e lanciato la ricerca in rete erano subito comparsi un paio di articoli improbabili di giornali, almeno allora così mi sembrò, su un’operazione congiunta, appena conclusa, di Squadra Mobile, DIA e Commissariato di San….  Tredici arresti per organizzazione di un “megacondominio illegale”, tra quelli un certo M.Giacinti. Sicuramente un omonimo.  L’ altro articolo raccontava della denuncia sporta da una giovane donna a proposito di fatture false, bollette truccate e sottrazione indebita di immobile ai danni di una pensionata (forse una lontana parente), un procedimento ancora in corso in cui compariva come socio d’affari di M. Giacinti anche un notaio. ‘ Questo potrebbe anche essere lui -mi dissi- Un prepotente che si fa forte grazie a un gruppo di amici fidati, come allora.’ Su un sito che si occupava di “Consulenze del Lavoro”, compariva il suo nome, completo di indirizzi, recapiti telefonici, e preceduto dal doppio titolo Dott. Avv. Seguiva un invito: “ESPRIMI LA TUA OPINIONE, IL TUO COMMENTO”. Questo davvero no, meglio di no. Non avrei potuto farlo. Magari non era lui quell’amministratore disonesto dell’articolo, ma i ricordi riportavano in vita una persona decisamente poco limpida, un assoluto mascalzone.
 La mia conoscenza con Manlio Giacinti risaliva ai tempi delle scuole superiori. Frequentavamo lo stesso  liceo di Monteverde. Giacinti era più piccolo di me, almeno un anno, se non sbaglio,  ma oltre alla corsa campestre, in cui eravamo bravi tutti e due e dunque storici avversari nelle gare provinciali in cui rappresentavamo la scuola, non avevamo altre cose  in comune,  perché per il resto - famiglia, frequentazioni, gusti e scelte politiche- eravamo agli opposti.  
Non potei fare a meno di ripensare a quel giorno in cui era toccato a me il volantinaggio all’ingresso dei ginnasiali. Quasi quarant’anni prima. Un mattino rigido d’inverno davanti a scuola, mentre distribuivo volantini per una qualche assemblea non autorizzata. Ero appoggiato al cancello di metallo dell’istituto e i ragazzini del ginnasio mi passavano sotto il naso afferrando distrattamente i fogli ciclostilati, mentre si affrettavano a entrare tra richiami, saluti, ultimi tiri di sigaretta condivisa. Qualche ragazza, che forse mi aveva visto all’ultima Assemblea di Istituto sul palco dei rappresentanti di sezione o a presentare il nuovo gruppo di studio,  mi sorrideva timidamente. Da qualche tempo l’atmosfera nelle scuole era mutata e tutto sembrava anticipare altri e più grandi cambiamenti. Non mi accorsi nemmeno di quel  gruppo di quattro che, con Giacinti in mezzo, si avvicinavano minacciosi con le mazze di legno in mano. Riconobbi  soltanto dopo quel suo sorrisetto che risaltava sul solito montgomery  scuro.  Mi si misero intorno, mi strapparono i volantini dalle mani e cominciarono a spintonarmi via, gridandomi addosso. Mi ritrovai improvvisamente solo, il muro alle spalle e fu allora che presero a colpirmi sulle gambe. Ripetutamente. Con quelle mazze che sembravano cento. Quasi non riuscivo a urlare. Ero caduto come un sacco. Mi sembrò che mi avessero spezzato tutte e due le gambe e il dolore lancinante mi saliva a ondate mischiandosi alla paura e a un assoluto senso d’impotenza. Pensai che forse stavo per morire, che fosse finita per sempre. Se non fossero arrivati Sandro Micheli e gli altri compagni dell’ultimo anno, sarei davvero rimasto a terra. Loro riuscirono a ricacciarli e Giacinti perse anche qualche dente, prima che i bidelli avvertiti dai ginnasiali dessero l’allarme. La mia gamba sinistra da quel giorno non fu più la stessa, non  rappresentai più il mio liceo nelle gare e da allora a vincere fu soltanto Giacinti. Lui si assentò per qualche giorno, dopo i fatti, poi venimmo a sapere che la famiglia aveva denunciato Sandro, il quale fu espulso da scuola, e tutte le nostre manifestazioni di solidarietà furono vane. Persi un compagno, un amico- sia pure più grande di me- e il mio eroe personale nello stesso momento, perché Sandro mi aveva svelato un  mondo e con lui avevo condiviso in quegli anni letture, musica, pomeriggi al cinema e ideali, e in più, in quell’occasione, mi aveva anche salvato la vita. Sandro era già stato minacciato di espulsione perché si era sempre esposto in prima persona in tutte le lotte e le rivendicazioni, ma dopo questo episodio fu costretto a cambiare scuola o forse città e ci perdemmo di vista per un po’. Giacinti e io, invece, rimanemmo, continuammo a incontrarci e a odiarci per tutta la durata della scuola prima dell’ esame di maturità. Poi non ne seppi più nulla, né volli saperne. Ora, dopo tanti anni, temevo che di nuovo potesse farmi male. Se si fosse ricordato il mio nome, quello vero, intendo, avrebbe potuto denunciarmi o ricattarmi per sempre in cambio del suo silenzio.
 ‘Devo evitare di incontrarlo. Mancano solo tre mesi alla pensione, mancano solo tre mesi. Tre mesi e potrei sentirmi finalmente libero, libero da tutto’, continuavo a ripetermi. Poi tolsi il collegamento Internet, spensi il pc, controllai doverosamente le finestre e, prima di coprirlo per la notte, cercai di trovare un po’ di conforto con Guaco che nervosamente si muoveva su e giù per il trespolo sul quale era poggiato, e da cui aveva continuato a osservarmi per tutta la sera.   
- Vero, Guaco?- mi volsi verso di lui- Y tu también vuoi tornare a casa? Con migo y mi mujer. Y Juan… 
- JUAAN…Acooo! Yo soy yooooo
- Ssst! Silencio! Sì, anche tu Guaco. Buenas noches, amigo! Hasta mañana!
[...]

(isabnic2013)                                        

lunedì 4 novembre 2013

3 ottobre Giornata della Memoria e dell'Accoglienza

 Ho appena firmato la petizione "Riconoscere la data del 3 ottobre quale “Giornata della Memoria e dell'Accoglienza”" su Change.org.

È importante. Puoi firmarla anche tu? Qui c'è il link:

http://www.change.org/it/petizioni/riconoscere-la-data-del-3-ottobre-quale-giornata-della-memoria-e-dell-accoglienza?share_id=eTXjiKzPPC&utm_campaign=signature_receipt&utm_medium=email&utm_source=share_petition

Grazie!
Change.org
Chiedi che il 3 ottobre, data del tragico naufragio, diventi la Giornata della Memoria e dell'Accoglienza.


L’UNHCR stima che dal 2011 ad oggi oltre 2.600 persone hanno perso la vita in mare nel tentativo di raggiungere le coste italiane, un numero impressionante e non esaustivo della tragedia che si consuma nei nostri mari, non un'emergenza ma un fenomeno prevedibile e prevenibile, da affrontare non esclusivamente con misure di Polizia di frontiera.
Mi chiamo Tareke, sono eritreo e sono arrivato in Sicilia nel 2005, anche io attraversando il mare dopo aver affrontato prigione libica, viaggi rischiosi ed estenuanti e respingimenti. Ho poi lavorato come mediatore culturale per "Save the children" e "Medici senza Frontiere". 
Abbiamo già elaborato una bozza di legge e contiamo sull'appoggio di tantissime persone e organizzazioni: il Sindaco del Comune di Lampedusa Giusi Nicolini, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), il Consiglio Italiano per i Rifugiati (CIR), Save the Children, Emergency, Terres des Hommes Italia ONLUS, Legambiente, Centro Astalli, Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI), ARCI, UsigRai, MeltingPot., LIBERA!, Croce Rossa Italiana, Rete Comuni, Medici senza Frontiere.
Un percorso che ci consentirà di mantenere aperto un tema fondamentale per la convivenza e la pace: quello dei “diritti umani”.
Grazie,
Tareke Brhane via Change.org