Se non fossero così stanchi e distratti d’altro, forse continuerebbero a parlare anche di Yang Lian[8], della sua profonda coerenza stilistica, del suo considerare la “tradizione come eterno presente”[9] e la poesia come spazio costruito con la lingua[10]. Una poesia i cui temi ricorrenti sono la lacerazione della materia, la sfilacciatura del tempo destinato a sopravvivere senza memoria e la storia sincronica, per cui passato e presente si confondono o non esistono. Poesia difficile, perché unica e al tempo stesso universale.
Yang Lian sente da una parte il peso della sua lingua permeata di cultura millenaria e la mette in dubbio, dall’altra riconosce le potenzialità creative del cinese che permette di sospendere il tempo convenzionale e di creare spazi attraverso il coinvolgimento del lettore. L’esilio è, dunque, strettamente collegato alle sue riflessioni sulla lingua: da poeta della Cina, è diventato poeta in lingua cinese e infine un poeta che scrive – potremmo dire- in Yang-cinese- inglese, un poeta cioè che inventa una lingua personale per ogni poesia che scrive. Si può superare la condizione dell’esule lontano dal proprio paese[11], ma l’esilio dalla lingua – ha detto- è un processo costante.
I poeti Menglong avevano voluto reinventare una lingua per esprimere il nuovo pensiero, ma a metà degli anni ‘80 quella lingua era già un ammasso di macerie e anche Yang Lian pensa che i potenti ideogrammi siano diventati ormai “giocattoli per menzogne”, ma crede che una lingua in rovina possa rigenerarsi. Sa che ogni lingua è pericolosa, cioè incerta, inaffidabile, soprattutto quella cinese[12] - pena il silenzio e che non basta più l’Io del poeta a ricrearla. È necessario qualcosa di meno semplice.
Dopo gli anni ‘90, cominciano ad apparire nelle sue poesie spazi bianchi; sono vuoti che esprimono lo scarto, la discontinuità, come se la poesia dubitasse della capacità comunicativa della lingua e si generasse proprio nel vuoto delle parole, “negli interstizi dove la lingua inciampa tra significante e significato”[13]. La raccolta di quegli anni “Dove si ferma il mare”[14] contiene poesie scritte durante il suo girovagare da esule, ed è strutturata come in cinque cerchi concentrici che corrispondono alle cinque parti in cui l’opera è divisa, pur essendo un lavoro unitario che parte dalle tenebre iniziali per giu\ngere alla luce finale.
Come Bei Dao, anche lui pensa che il poeta debba essere freddo, abbandonare un’emotività visionaria per giungere ad un intreccio coerente, quello che Yang Lian chiama spazio poetico, una forte strutturazione spaziale per tenere insieme - e svelare- la mutevolezza della vita e il senso di spaesamento dell’esilio, originato anche dai ritmi angosciosi degli spostamenti tra luoghi lontanissimi l’uno dall’altro[15].
Secondo Yang Lian, " Il poeta deve cercare il luogo dove fermare il mare, perché lì nascerà la poesia. Questo luogo lo troverà nell’ultimo verso dell’ultima parte del suo poema:
“questa è la riva da dove mi guardo prendere il largo”
La preposizione ‘dove,’[16]presente nelle sequenze finali di tutte le sezioni del poemetto, è uno degli echi ripetuti , uno dei tanti dispositivi usati per la costruzione dell’opera, strutturata come una sinfonia musicale, che ruota tutta attorno all’idea della possibilità che il mare venga fermato. Per fermarlo è necessario distaccarsene, mettere da parte tutto ciò che il mare suggerisce alla nostra emozione e dimenticare tutte le sue valenze simboliche[17]. La riva è, dunque, il luogo, il dove, e rappresenta “la presa di distanza del poeta dal suo stesso testo”; il mare si ferma dove il poeta si assenta e si assenta proprio grazie alla sua esistenza di esule senza radici. Questa lo ha reso estraneo a sé stesso, ma tale straniamento[18] ha reso possibile la poesia come pensiero, anzi è divenuto la condizione necessaria per la sua esistenza. Non c’è più il poeta e non c’è più un prima o un dopo, un tempo specifico, ma una molteplicità di sincronie. È la poesia il vero soggetto, la voce non è quella dell’autore, ma del suo divenire, quando si assenta dalla sua identità di autore. È la poesia il luogo dove si incrociano molteplici situazioni al di là del tempo. L’assenza del poeta (essere molti, essere nessuno) è generatrice di nuovi modi di parlare e solo questa impersonalità di linguaggio può rendere la poesia universale.
Sogno o la terza riva di ogni fiume[19]
Il verde è il più crudele dei pugnali
ma un sogno è abbarbicato come un crimine ai campi di ieri
abbarbicati alle sedie di legno di ogni albero di pino
i morti cominciano la scuola
colui che sogna deve
seguendo una primavera scorrere in questo fiume
seguendo il fiume battere la terza riva fra bianche ossa
questo bianco amore né esistente né illusorio
eppure costringe al rischio la rosa quotidiana
ti fa tornare al passato in mezzo ad un incendio
una musica eseguita fin dall'infanzia è sempre più spaventosa all'ascolto
ferita tenuta fresca dell'oscurità come la stanza della notte
anche una mano premuta sul cuore ha un'eco
sempre più vuota assediata dal fondo del fiume
solo in sogno riconosce la malasorte che i poeti non riescono a evitare
è la tua stessa malasorte
l'intera vita è una notte ad occhi sbarrati
la terra che vedi in sogno sprofonda incessantemente sotto i tuoi piedi
quando affonda nella carne è profonda come la caduta nel
vizio sulla terza riva nessuno che dorma o si stagli
Per trovare se stesso il poeta deve, dunque, estraniarsi dalla lingua, liberarsi dallo spazio e dal tempo (e nella lingua cinese sappiamo che è possibile), e realizzare la poesia in un mondo atemporale.
L’atemporalità dei versi di Yang Lian si riaggancia alla grande tradizione della poesia cinese, in cui è tipico ricreare l’effetto di cancellare il tempo attraverso il decentramento o l’assenza dell’Io (in questo caso, in esilio) e di tutti gli Io del mondo. D’altronde, suo obiettivo dichiarato[20] è la riscoperta della tradizione poetica cinese nell’uso di parallelismi, allegorie e tutto quello che dona alla poesia un senso musicale, il solo che può aiutarci, come lettori, a districare il significato di quei versi difficili che rappresentano il sovrapporsi di diversi stati d’animo[21]. “Esplorare la tradizione ed esprimere l’oggi” - afferma Yang Lian, ovvero la tradizione non va ignorata e collocarsi nella tradizione non vuol dire restaurarla. Vuol dire farla rivivere individualmente. Ricrearla, per l’appunto.
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