sabato 30 marzo 2019

SOTTO IL SEGNO DELLO SCIMMIOTTO(3)

(3) 

Se non fossero così stanchi e distratti d’altro, forse continuerebbero a parlare anche di Yang Lian[8], della sua profonda coerenza stilistica, del suo considerare la “tradizione come eterno presente”[9] e la poesia come spazio costruito con la lingua[10]. Una poesia i cui temi ricorrenti sono la lacerazione della materia, la sfilacciatura del tempo destinato a sopravvivere senza memoria e la storia sincronica, per cui passato e presente si confondono o non esistono. Poesia difficile, perché unica e al tempo stesso universale.
       Yang Lian sente da una parte il peso della sua lingua permeata di cultura millenaria e la mette in dubbio, dall’altra riconosce le potenzialità creative del cinese che permette di sospendere il tempo convenzionale e di creare spazi attraverso il coinvolgimento del lettore. L’esilio è, dunque, strettamente collegato alle sue riflessioni sulla lingua: da poeta della Cina, è diventato poeta in lingua cinese e infine un poeta che scrive – potremmo dire- in Yang-cinese- inglese, un poeta cioè che inventa una lingua personale per ogni poesia che scrive. Si può superare la condizione dell’esule lontano dal proprio paese[11], ma l’esilio dalla lingua – ha detto- è un processo costante.
I poeti Menglong avevano voluto reinventare una lingua per esprimere il nuovo pensiero, ma a metà degli anni ‘80 quella lingua era già un ammasso di macerie e anche Yang Lian pensa che i potenti ideogrammi siano diventati ormai “giocattoli per menzogne”, ma crede che una lingua in rovina possa rigenerarsi. Sa che ogni lingua è pericolosa, cioè incerta, inaffidabile, soprattutto quella cinese[12] - pena il silenzio e che non basta più l’Io del poeta a ricrearla. È necessario qualcosa di meno semplice.
        Dopo gli anni ‘90, cominciano ad apparire nelle sue poesie spazi bianchi; sono vuoti che esprimono lo scarto, la discontinuità, come se la poesia dubitasse della capacità comunicativa della lingua e si generasse proprio nel vuoto delle parole, “negli interstizi dove la lingua inciampa tra significante e significato”[13]. La raccolta di quegli anni “Dove si ferma il mare”[14] contiene poesie scritte durante il suo girovagare da esule, ed è strutturata come in  cinque cerchi concentrici che corrispondono alle cinque parti in cui l’opera è divisa, pur essendo un lavoro unitario che parte dalle tenebre iniziali per giu\ngere alla luce finale.
         Come Bei Dao, anche lui pensa che il poeta debba essere freddo, abbandonare un’emotività visionaria per giungere ad un intreccio coerente, quello che Yang Lian  chiama spazio poetico, una forte strutturazione spaziale per tenere insieme - e svelare- la mutevolezza della vita e il senso di spaesamento dell’esilio, originato anche dai ritmi angosciosi degli spostamenti  tra luoghi lontanissimi l’uno dall’altro[15]
Secondo Yang Lian, " Il poeta deve cercare il luogo dove fermare il mare, perché lì nascerà la poesia. Questo luogo lo troverà nell’ultimo verso dell’ultima parte del suo poema:
“questa è la riva da dove mi guardo prendere il largo”
         La preposizione ‘dove,’[16]presente nelle sequenze finali di tutte le sezioni del poemetto, è uno degli echi ripetuti , uno dei tanti dispositivi usati  per la costruzione dell’opera, strutturata come una sinfonia musicale, che ruota tutta attorno all’idea della possibilità che il mare venga fermato. Per fermarlo è necessario distaccarsene, mettere da parte tutto ciò che il mare suggerisce alla nostra emozione e dimenticare tutte le sue valenze simboliche[17].  La riva è, dunque, il luogo, il dove,  e  rappresenta “la presa di distanza del poeta dal suo stesso testo”; il mare si ferma dove il poeta si assenta e si assenta proprio grazie alla sua esistenza di esule senza radici. Questa lo ha reso estraneo a sé stesso, ma tale straniamento[18]  ha reso possibile la poesia come pensiero, anzi è divenuto la condizione necessaria per la sua esistenza. Non c’è più  il poeta e non c’è più un prima o un dopo, un tempo specifico, ma una molteplicità di sincronie. È la poesia il vero soggetto, la voce non è quella dell’autore, ma del suo divenire, quando si assenta dalla sua identità di autore. È la poesia il luogo dove si incrociano molteplici situazioni al di là del tempo.  L’assenza del poeta (essere molti, essere nessuno) è generatrice di nuovi modi di parlare e solo questa impersonalità di linguaggio può rendere la poesia universale.

Sogno  o  la terza riva di ogni  fiume[19]  

Il verde è il più crudele dei pugnali
ma un sogno è abbarbicato come un crimine ai campi di ieri
abbarbicati alle sedie di legno di ogni albero di pino
i morti cominciano la scuola
colui  che sogna      deve
seguendo una primavera scorrere in questo fiume
seguendo il fiume      battere la terza riva fra bianche ossa

questo bianco amore né esistente né illusorio
eppure costringe al rischio la rosa quotidiana
ti fa tornare al passato in mezzo ad un incendio
una musica eseguita fin dall'infanzia è sempre più spaventosa all'ascolto
ferita tenuta fresca dell'oscurità         come la stanza della notte
anche una mano premuta sul cuore ha un'eco
sempre più vuota        assediata dal fondo del fiume
solo in sogno riconosce       la malasorte che i poeti non riescono a evitare

è la tua stessa malasorte
l'intera vita è una notte ad occhi sbarrati
la terra che vedi in sogno sprofonda incessantemente sotto i tuoi piedi
quando affonda nella carne         è profonda come la caduta nel
vizio           sulla terza riva nessuno che dorma o si stagli

            Per trovare se stesso il poeta deve, dunque, estraniarsi dalla lingua, liberarsi dallo spazio e dal tempo (e nella lingua cinese sappiamo che è possibile), e realizzare la poesia in un mondo atemporale.
 L’atemporalità dei versi di Yang Lian si riaggancia alla grande tradizione della poesia cinese, in cui è tipico ricreare l’effetto di cancellare il tempo attraverso il decentramento o l’assenza dell’Io (in questo caso, in esilio) e di tutti gli Io del mondo. D’altronde, suo obiettivo dichiarato[20] è la riscoperta della tradizione poetica cinese nell’uso di parallelismi, allegorie e tutto quello che dona alla poesia un senso musicale, il solo che può aiutarci, come lettori, a districare il significato di quei versi difficili che rappresentano il sovrapporsi di diversi stati d’animo[21].  “Esplorare la tradizione ed esprimere l’oggi” - afferma Yang Lian, ovvero la tradizione non va ignorata e collocarsi nella tradizione non vuol dire restaurarla. Vuol dire farla rivivere individualmente. Ricrearla, per l’appunto.
[...]

SOTTO IL SEGNO DELLO SCIMMIOTTO(2) da...

(2)
      " ... La lingua è molto colloquiale, ma mantiene la ricca musicalità[1] di tutte le sue opere . Ricordo che Gao[2], parlando con la mia amica, ha molto insistito sull'idea di scrivere poesia per se stesso-  dice Zoé. E a Gordon torna in mente di aver letto una conversazione tra Gao e Yang Lian, durante un loro incontro in Australia, in cui i due artisti discutevano di esilio, lingua cinese e letteratura[3].
      In quella conversazione, tutti e due erano d’accordo nel riconoscere che gli scrittori che vivono in esilio diventano molto più esigenti con la lingua, ma, in realtà, scrivono per sé stessi. La lingua nell'esilio è come più pulita di prima e lo scrittore ha un approccio più creativo; quando è in esilio, è anche lontano dai propri lettori, e non ha critici –almeno inizialmente-   vive in una situazione di separazione, senza scadenze, in cui può rivedere, riscrivere. Insomma, l’esilio viene percepito dallo scrittore come il solo modo per preservare “i propri valori, la propria integrità e indipendenza dello spirito”.
        Gao rappresenta il  “formidabile incontro fra il patrimonio classico cinese,[… ]e la cultura occidentale”[4] e, durante il suo periodo di eremitaggio coatto,  volle creare una letteratura della fuga,  “una letteratura  di sopravvivenza spirituale”. Attraverso la scrittura[5], e quindi attraverso la lingua che è il suo strumento essenziale,  intese  ricreare il Mondo e la Storia, cercando di captare i segnali, decrittare i simboli, scovare un segno di continuità nell’eterno silenzio di solitudine in cui è immersa l’umanità. L’Io è sempre in uno stato di caos, in un flusso costante, ma ciò che interessa è la materialità dell’esistenza, la capacità di vivere. Si deve continuare a parlare e scrivere perché attraverso le parole si può conoscere se stesso e ciò che non si sa. La sua sperimentazione continua ancora oggi, perché egli crede fermamente che la cultura cinese sia ancora viva e capace di rinnovamento.
         Rispetto alla società e alla politica, Gao confessa che l’unica Cina che a lui interessa è quella culturale e spirituale che porta dentro di sé e preferisce un impegno marginale al coinvolgimento diretto, continuare cioè ad osservare senza smettere di criticare. È soprattutto nella sperimentazione linguistica e nella potenza dell’immagine che lui vede il possibile successo per il passaggio dalla tradizione alla modernità. Anche politica.
        -Ti dovrebbe proprio piacere. Ricordo che disse qualcosa come: “Io cerco la trasparenza della lingua, [..]. Isolo gli elementi indispensabili della proposizione principale e li trasformo in piccole frasi corte[...] perché le relazioni fra le frasi restino nascoste […] Scoprire la lingua per me significa anche ascoltare con estrema attenzione la musica delle parole e delle frasi. Leggo ad alta voce e registro ciò che scrivo di getto[6][…]La natura stessa della lingua è fonetica: la scrittura non è che una sorta di registrazione dell’orale. La lingua che cerco di creare è quella che possa permettere al lettore di  errare in contemplazione tra le parole[7].
           Gao ha tentato di esprimere in Cinese i diversi livelli della vita moderna, presentandoli in un flusso di linguaggio che ricorda il flusso di coscienza modernista di James Joyce, Marcel Proust e Virginia Woolf, perché lui crede che la lingua cinese, con la sua flessibilità, ricordi il movimento della coscienza che non è lineare, ma discontinuo.  Non si può scrivere in Cinese di psicologia, ma si può trovare la psicologia tra le righe, in quello che i cinesi chiamano il sorriso seducente della lingua: nel non detto.
         Zoé gli lancia un veloce sguardo e tace. Poi torna a spizzicare la sua quiche, mentre Gordon, anche lui silenzioso e pensieroso, si affretta a riempire i due bicchieri.
[...]
        



[1] Cfr. Yang Lian: “La musicalità (che si perde in traduzione) della lingua cinese è nascosta dietro la percezione visiva dell’immagine”.
[2] Cfr. Maria Cristina Pisciotta, introduzione a Gao, op.cit. “La poesia della lingua non proviene solo dalla tensione che l’espressione dei sentimenti provoca; l’attenzione visiva  e quella uditiva creano insieme la tensione che fa nascere la poesia[…] si devono ascoltare le parole che escono dalla propria penna”.
[3] Cfr. La lingua dell’esilio, da una conversazione tra Gao e Yang Lian, poeta cinese contemporaneo, del 18/09/1993, a Sidney, da Ciò che abbiamo guadagnato dall’esilio.
[4] ’Gao X., uno scrittore in esilio interiore’ di Maria Cristina Pisciotta, introduzione a Gao, op.cit., pag.9. La poesia classica cinese della sua formazione si è amalgamata con la letteratura francese, studiata in Cina e poi in Francia; Gao predilige la poesia surrealista che lui stesso ha tradotto in modo eccezionale, grazie alla sua grande sensibilità.
[5] Cfr. Gao,  La Montagna dell’anima,Rizzoli editore, Milano, 2002.Trad di Mirella Fratanico.
[6] Quello che  anche Flaubert  faceva in Europa più d’un secolo fa e che chiamava ’l’épreuve du gueuloir’, sottomettendo cioè  alla prova della lettura ad alta voce ogni pagina dei suoi romanzi.
[7] Cfr. Maria Cristina Pisciotta,  introduzione a Gao, op. cit.        
[8]Yang Lian nasce nel 1955 a Berna, Svizzera, da genitori, funzionari cinesi statali dell’ambasciata svizzera.Torna a Pechino dove pratica una costante dissidenza tanto da essere sottoposto alla rieducazione col lavoro manuale.Fuggito dalla Cina nell’ ’83, in seguito al suo sostegno al movimento dell’’89, gli viene tolta la cittadinanza. Attualmente vive a Londra e insegna in Svizzera.
[9] Cfr. www.poemlife.net/ open chat room
[10] Vedi conversazione con Gao, già citata.
[11] Cfr. Sabrina Merolla, Toccare il limite e superarlo, intervista a Y.L. del 24/06/2004: essere al margine non vuol dire rimanere in equilibrio tra due mondi, ma ’esilio vuol dire toccare il limite e superarlo’.
[12] Cfr. Yang Lian, Masks and crocodiles (Maschere e coccodrilli), raccolta di poesie in cinese e loro traduzione in inglese,a cura di Mable Lee, Wild Peony Press, University of Sidney, Australia, 1990.
[13] Cfr.Claudia  Pozzana, La poesia pensante.Inchieste sulla poesia cinese contemporanea, Quodlibet studio,2010.
[14] Negli anni 1992-93.
[15] E’ vissuto in USA, Australia, Nuova Zelanda.
[16]  In posizione finale secondo la costruzione della frase cinese.
[17] In cinese ‘mare delle parole’ vuol dire ‘dizionario enciclopedico’.
[18] In tutto il poema, il pronome personale ‘io’ compare raramente e solo in funzione di complemento oggetto (cfr. Pozzana, op.cit.)
[19]  Yang Lian,  “Sogno  o  la terza riva di ogni fiume”, da Prima parte di TenebreDove si ferma il mare, a cura di Claudia Pozzana, Libri Scheiwiller  - Playon, 2004.



[20] Cfr. pag 302, “internazionale locale”, 11/10/2003, trad. Anna Secher, in Dove si ferma il mare, op.cit.

[21] “quando non capisci, ascolta”...

venerdì 22 marzo 2019

SOTTO IL SEGNO DELLE SCIMMIOTTO (1) da "326 poesie dal mondo..." di Bruni-Nicchiarelli


SOTTO IL SEGNO DELLO SCIMMIOTTO[1]


            -È di qualche tempo fa...- dice Gordon, guardando, imbarazzato da tanta attenzione, l’articolo che Zoé tiene ancora fra le mani.  Poi scende dalla scaletta appoggiata alla libreria e le si avvicina.
           -Sì, di qualche anno fa, ma è ancora molto buono - lo rassicura Zoé sorridendogli- l’ho letto per caso, una volta in Italia; mi aveva colpito il tuo nome e avevo anche pensato di rintracciarti, poi sai come vanno queste cose... Lo potresti ripubblicare, magari aggiungendoci Yang Lian e Gao …  - si interrompe per passargli le dita tra i capelli e poi subito aggiunge cambiando argomento: - Senti, che ne dici? Togliamoci un po’ di polvere di dosso e mangiamo qualcosa. Non ce la faccio proprio ad uscire e, poi, mi sembri stanco anche tu; vedrai riuscirò a stupirti con una ricca cena da trasloco!
             Non passa molto che dal PC di Zoé un sottofondo di musica comincia ad insinuarsi discretamente negli spazi dell’appartamento che già accennano forme e ordini futuri, sebbene ancora impietosamente illuminati da nude lampadine. Le pareti bianche in attesa di quadri e fotografie captano ombre e luci estranee che occhieggiano spavalde dalle finestre aperte.  Stanchi, ma felici di poter chiacchierare ancora un po’, si sono finalmente seduti sulle due tripoline, davanti a uno degli scatoloni ancora pieni, messo a mo’ di tavolino. Sopra, fa da prima attrice la provvidenziale quiche di Louise, accompagnata da un piccolo vassoio di formaggi, qualche piatto di carta, due bicchieri e una bottiglia di vino. Zoé ha mantenuto la promessa.
           Più tardi, mentre ancora mangiucchiano un po’ di formaggio,  Gordon riprende la conversazione letteraria là dove l’avevano interrotta poco prima:-Gao è un nome che conosco, ma non sono sicuro di aver mai letto i suoi testi di poesia.
          -Infatti, di solito si conosce il suo teatro[2] oppure...  Insomma, ha sempre ritenuto che la poesia fosse un’attività privata, intima, non materiale da pubblicare. Ecco, un attimo solo…- e Zoé si alza a cercare qualcosa. Poi, tornando con in mano un sottile libretto, gli dice: -Guarda, questa è una chicca: versi scritti poco prima che gli fosse assegnato il Nobel. Un regalo di amici italiani.
    -Ah! Vedo che tu Gao lo conosci bene. Allora, mi potresti aiutare. In fondo, lui ormai è più parigino che cinese, e  ….
    -No, che c’entra? Gao vive qui[3], ma ormai l’unica patria è  quella dentro la sua testa. Né Cina né Francia.
    -Certo, certo.
    -L’ ho incontrato un paio di volte, qui a Parigi, quando ho accompagnato un’amica giornalista italiana al suo atelier, un vero laboratorio dove lui dipinge, gira le scene dei suoi film e prova con gli attori. Uno spazio pieno di libri d’arte, specchi, maschere della Commedia dell’Arte italiana e pitture su carta di riso. Un luogo pieno di suggestioni. E lui è un uomo magro, minuto che parla con voce sommessa e che ascolta attentamente … Comunque, tieni, dai uno sguardo. – E così dicendo accosta la tripolina a quella di Gordon per poter meglio leggere insieme: -Anzi, no: ascolta. Ecco, il primo lavoro è “una ballata molto speciale”[4],  una “Ballata contemporanea” come dice il sottotitolo e capirai da solo perché.
        E insieme leggono quei versi brevi raccolti in strofe brevissime, piene di immagini visionarie che si scontrano con altre tratte dal quotidiano; un testo scabro, essenziale, apparentemente frammentario, vagamente narrativo e con un forte senso di spaesamento. Una ballata speciale, in cui possiamo trovare le teorie poetiche dell’artista, le sue idee sulla lingua, varie riflessioni filosofiche e personali. Ecco un assaggio dell’incipit del poemetto dove l’ Io Poetico  si perde tra la serie di immagini che si generano l’una dall’altra[5] (vv.1-22):

Di un riccio
io parlo
parlo di un verme
s’insinua
scivolando lento

diciassette anni
fa
nel Colorado
c’era

un fiume
senza sirene
nessun annuncio di sventura
[...]
il giorno all’imbrunire
prateria
vento verde di prateria

una vecchia scarpa
e
un bambino
dimenticati ...

        Una poesia ricca di metafore, in cui il riccio del verso iniziale sta per il letterato che sceglie l’emarginazione. I versi sono organizzati in quartine irregolari, come se queste fossero state spezzate o allungate per poi venir ricomposte fino ad adattarsi alle sensazioni del poeta, e per poter, in questo modo, parlare della fine dell’amore, della cultura e della lingua, in un mondo dominato dal caso e dalla noia di chi non sa più chi egli sia.  Poesia piena di immagini quella di Gao, che nella vita alterna la scrittura alla pittura, due attività inseparabili per gli intellettuali cinesi tradizionali. Ecco, allora, immagini di pioggia incessante, di vuoto, di vento e dita affilate, di cicale stridenti, per esprimere la fine di tutte le speranze, ma anche poesia carica di sapori e suoni, con un ritmo cadenzato reso attraverso l’uso ossessivo di connettori, avverbi e particelle di negazione. Oppure, poesia fatta di lunghi cataloghi[6] “con l’ effetto di una nenia incantatoria”[7] (vv 141-168):

Il tempo che è casualità
non può lasciare tracce
rimane solo la memoria
l’ultimo vagone del metrò
un lieve tremare dei vetri
attraversa la baia

il seno
una cicatrice

non poter parlare
non vuol dire non aver parlato

non c’è domani
non c’è
non c’è

[...]
  
eliminati i bottoni
eliminata pure l’ipocrisia
eliminati i fardelli
resta solo la voglia di dormire



il tempo dell’infanzia è come un vecchio gatto
che ronfa sul cuscino della sedia

ti metti a raccontare storie narrate mille volte ormai
le mille e una notte e solo quell’una ha qualche senso

il demone cavalca in cima al muro
sferza con la frusta
una giumenta
sei tu quel demone!

... o domande incalzanti fino alla loro vanificazione, evidenziata dalla chiusa finale (vv  207-226):

sesso a parte
a questo mondo cosa resta?

malvagi demoni
a parte
esistono ancora le fiabe?

a parte te
io esisto ancora?

a parte te che mi vieni incontro ed io che le vado incontro
una donna che
non distingue il vero dal falso inventa solo menzogne
sottrarsi alle menzogne
ma che smarrimento

allora tu inganni io inganno
collezioniamo menzogne
ci  abbiamo confezionato tanti rifugi
ci abbiamo fondato un mucchio di convinzioni
colla forza della ragione
in tutta tranquillità di spirito

tu fai
uno sbadiglio
                               Parigi, 30 agosto 1991

       La lingua è molto colloquiale, ma mantiene la ricca musicalità[8] di tutte le opere di Gao[9]. Ricordo che, in quell’incontro, parlando con la mia amica, ha molto insistito sull’idea di scrivere poesia per se stesso-  dice Zoé e anche Gordon ricorda di aver letto una conversazione tra Gao e Yang Lian, durante un loro incontro in Australia, in cui i due artisti discutevano di esilio, lingua cinese e letteratura[10].

[...]
       


[1] Lo scimmiotto è uno degli animali dell’universo letterario e mitologico cinese; è presente anche nella tradizione religiosa e popolare, ed è oggetto di culto ancora oggi. Rappresenta l’irrequietezza e l’instabilità della mente umana, la rischiosa genialità connessa a successi e a fallimenti. Ne Il sogno dello scimmiotto, racconto di un viaggio avventuroso di un monaco alla ricerca di testi antichi, scritto nel 1640 e ispirato ad una delle più famose opere della letteratura cinese, Il viaggio in Occidente di Wu Chen’en (1500-1582), lo Scimmiotto, un misto di animale, uomo, demone e dio, è  uno dei compagni in cammino verso l’illuminazione. Nell’opera, tra avventure, fantasie erotiche, frammenti di satira politica e altro, si respira un’inquietudine esistenziale vicina alla sensibilità moderna.
[2]Gao è romanziere, drammaturgo, critico letterario, traduttore, regista teatrale e pittore. La produzione poetica di Gao è consistente, ma era ancora praticamente quasi sconosciuta sia in Cina che in Occidente ai tempi del Premio Nobel a lui assegnato nel 2000. Gao ha sempre ritenuto la Poesia un’attività privata, intima, senza finalità di pubblicazione. Durante la Rivoluzione Culturale, fu mandato in un campo di rieducazione e lì preferì bruciare un’intera valigia dei suoi manoscritti. Le prime pubblicazioni risalgono alla fine degli anni Settanta, quando gli fu permesso di viaggiare in Europa.
[3]Gao Xingjian nasce a Ganzhou, Jiangxi, nel 1940. In esilio a Parigi dal 1987, cittadino naturalizzato francese dal 1998, fu insignito Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres dal governo francese nel 1992. Le sue opere pubblicate in Cina nei primi anni Ottanta, vennero poi vietate  e Gao fu dichiarato dalle autorità cinesi persona non grata. A Parigi,  riuscì a completare il romanzo La Montagna dell’Anima, la storia di un uomo alla ricerca della propria pace interiore e del recupero del sé. Nel 2000 è stato insignito del premio Nobel per la letteratura, per la prima volta attribuito a uno scrittore cinese.
[4]Cfr. Gao X., uno scrittore in esilio interiore di Maria Cristina Pisciotta, introduzione a Gao, Parlerò di ricci. Poesie (1991-1995), Fermenti Editrice, 2006; pag25.
[5] Gao, Parlerò di ricci (ballata contemporanea); in Gao, Parlerò di ricci. Poesie (1991-1995), op. cit.; cfr anche recensione di Raffaele Piazza, su www.vicoacitillo.it, 07/01/2007.
[6] Tecnica tipica dei testi taoisti.
[7] Gao, op.cit.
[8] Cfr. Yang Lian: “La musicalità (che si perde in traduzione) della lingua cinese è nascosta dietro la percezione visiva dell’immagine”.
[9] Cfr. Maria Cristina Pisciotta, introduzione a Gao, op.cit. “La poesia della lingua non proviene solo dalla tensione che l’espressione dei sentimenti provoca; l’attenzione visiva  e quella uditiva creano insieme la tensione che fa nascere la poesia[…] si devono ascoltare le parole che escono dalla propria penna”.
[10] Cfr. La lingua dell’esilio, da una conversazione tra Gao e Yang Lian, poeta cinese contemporaneo, del 18/09/1993, a Sidney, da Ciò che abbiamo guadagnato dall’esilio.




giovedì 21 marzo 2019

SOGNI AUSTRALIANI (4) da "326 poesie per una storia d'amore" di Bruni-Nicchiarelli

(4)
Quando riprende il seminario, Gordon è un po’ più sereno e partecipe.
          Intanto il nuovo relatore si sta interrogando su cosa sia oggi la poesia in Australia, un tempo consumata soltanto dai suoi stessi produttori e ancora oggi letta e comprata da una minoranza.  Ci si identifica ancora con il poeta? E perché, invece, un prodotto come il romanzo in versi può diventare un caso editoriale? C’è ancora bisogno di epica ai nostri giorni? Anche se il Sé e la Natura rimangono ancora le due tematiche principali della poesia australiana, si parla ultimamente di  nuovo lirismo, di una poesia più popolare all’estero che in patria, una poesia straniata, caratterizzata dalla presenza del Doppio, di déjà vu, di fatalismo, strane coincidenze e morte.
        Ecco di Les Murray[1]  una poesia su un’ossessione amorosa che sembra un pezzo di cronaca nera raccontata come un pettegolezzo tra conoscenti:

Morte per esposizione [2]

Quell’inverno. Ci mancava la sua faccia dura
al lavoro. Diversi giorni, prima che la trovassero, sotto
la veranda di lui. Anche gli studenti più crudeli
ne avevano soggezione. Conversazione zero.
Non aveva senso che lei avesse la chiave di lui.
Non aveva senso niente di quel che lei avrebbe potuto

fare. La depressione sfinisce la mente.
Telefona, nessuno risponde, allora guida
fin su, alla casa di lui in montagna,
per una strada secondaria, ghiaccio tutto il giorno.
Bussi. Poi cosa? Non puoi tenere sotto controllo
cosa poi. Lui, finalmente tornato, trova la sua auto.
Lei è strisciata dentro, sotto, tra la legna da ardere.
Quasi sempre il mondo non è tondo.

           Ma fu lo stile non convenzionale di Dorothy Porter[3] che ha decisamente contribuito a rendere meno di nicchia la poesia, grazie ai suoi romanzi in versi, dove la lirica e il racconto si fondono insieme per narrare  storie noir,  racconti di fantascienza o di ambientazione storica. Il romanzo in versi non era una novità, neanche in Australia, e molti altri poeti australiani contemporanei, tra cui Les Murray [4],  ne  hanno scritti. Il fatto nuovo è che, in questi anni, sono diventati  molto popolari e i più venduti.
         Del 1994 è il racconto poliziesco in versi, provocatore e fortunato, della Porter, intitolato  “La Maschera di Scimmia”[5], dove una sequenza di poesie delinea  la trama d’azione, “con un ritmo teso e veloce come quello di un testo rap[6]. Attraverso la voce narrante, quella della giovane investigatrice lesbica  Jill Fitzpatrick, il poema racconta il male e dimostra l’incapacità della poesia a redimerlo.  “La poesia è una droga, intossica i lettori”, ha detto la Porter in un’intervista. La letteratura, dunque, proprio nel suo essere ambigua, non vera, è pericolosa. Le parole, infatti,  non sono neutre, possono essere erotiche o crudeli oppure qualsiasi altra cosa, ma è la poesia che rende accettabili Macbeth e Medea, macchiati dei più orrendi crimini.  Forse è questo il senso del successo di questo noir in versi.

Quello che è  [7]

Guidando verso casa
Alba e luna piena

Su, verso
le Mountains

il cuore mi sguazza
nel petto

la luna bussa
al lunotto

amala e basta
dice la luna

smettila di contare il resto
nessuno vuole fregarti

amala e basta
amala

per quello che è.

          Jill, la protagonista, incaricata di indagare sulla scomparsa di una studentessa, poi trovata morta, entra in contatto, durante la sua indagine, con l’ambiente degli intellettuali della sua città e con una professoressa di letteratura, vera femme fatale, di cui si innamorerà. La ricerca della detective si intreccia con le varie fasi della sua infatuazione e ossessione sessuale.  Le ripetizioni e le strutture a catena dei brevi versi liberi delle poesie creano una claustrofobica atmosfera da thriller, ma ogni poesia è una cosa a sé:

Acqua e agenti chimici [8]

È un muro
O un vallo
O una ferita aperta
A crescere tra due amanti?

Ho letto troppa poesia
Forse è più semplice

Prendete due fiale di carne
Piena d’acqua e sostanze chimiche

Sfregatele forte
L’una contro l’altra

E  state a guardare le loro catene
Di strane molecole
Mutare e gemere.

            Alla fine del seminario, Gordon è troppo stanco per passare da Mark e Maddie, i suoi amici affettuosi e protettivi; preferisce una cena solitaria e spartana a casa. Un po’ di musica, le pantofole ai piedi, e il messaggio di Zoé, che è proprio quello che aveva desiderato: -Ti amo, Gordon! Vieni presto, Z.
          E allora la chiama per lasciarla parlare un po’ e farsi cullare così dalla sua voce. ‘Uff! Ma quanti giorni ancora, prima di venerdì?’
            
                                                                *******


[1] Les Murray, pseudonimo di Leslie Allan Murray, nasce  nel 1938  a Nabiac ,nella costa nord del New South Wales, Australia. Studia e vive a lungo a Sidney. Attualmente vive in una fattoria della regione.
[2] Les Murray,” Morte per esposizione”.  Pubblicata originariamente in ClanDestino, N°4,2006; Trad. Mariadonata Villa su www.lesmurray.org 
[3] Dorothy Featherstone Porter nasce nel 1954 a Sidney, New South Wales, Australia. Scrittrice poliedrica, ha scritto anche racconti, testi per canzoni e libretti d’opera. Muore a Melbourne, Victoria, Australia nel 2008.
[4] Cfr. il suo “Freddy Nettuno”, Giano, 2004.
[5] Fu un best seller  e pluripremiato, oltre ad avere un forte consenso dalla critica e vari adattamenti, tra cui un film diretto da Samantha Lang nel 2001. 
[6] Cfr. Carlo Lucarelli, risvolto di copertina, in Dorothy Porter, “La Maschera di Scimmia”, ed. Fandango, 1999.
[7] Dorothy Porter, “Quello che è”,  da La Maschera di Scimmia, op.cit.; trad. Sergio Claudio Perroni.
[8] Dorothy Porter, “Acqua e agenti chimici”,  ibidem.