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domenica 21 marzo 2021
giovedì 4 aprile 2019
SOTTO IL SEGNO DELLO SCIMMIOTTO(4)
(4)
E, dentro i confini
cinesi, in che rapporto con la potente tradizione culturale del paese si muove
la ricerca della nuova poesia?
I poeti degli anni
Novanta e quelli della nuova ondata di poesia d’inizio millennio sono autori
che cercano indipendenza artistica e spirituale nel mondo finora sconosciuto
della nuova economia di mercato Dopo il 1989, il legame tra creazione e
coscienza sociale, ancora presente nei Menglong, scompare. Al boom economico del paese si
accompagna una grande offerta di possibilità editoriali e, nello stesso tempo,
la scomparsa dei sussidi statali spinge molti artisti a produrre letteratura
commerciale o a lavorare nella pubblicità. La modernizzazione sollecita, dunque,
la formazione di una cultura di consumo che rende, però, marginale l’influenza
e la posizione degli intellettuali nella nuova società cinese. Non ci sono
movimenti generazionali di artisti in rivolta, ma personalità individuali i cui
versi esprimono l’incertezza,
l’esitazione, la confusione, il rigetto degli ideali comunisti e
contemporaneamente il disgusto per la cultura di massa. I nuovi poeti sentono
la necessità di raffinare i propri atteggiamenti teorici e cercano un
rinnovamento linguistico che superi sia l’oscurità e il formalismo dei
Menglong, sia la lingua semplificata dei poeti degli anni ‘80. Sperimentano,
così, una poesia caratterizzata talvolta da segni linguistici complessi, frammenti e da uno stile narrativo, che
ingloba e sintetizza nuovi ambiti
lessicali e inflessioni dialettali.
Oggi, il poeta cinese globalizzato non
si identifica più con la propria terra, ma neanche instaura più un rapporto di
dipendenza con la cultura occidentale. I suoi legami con il contemporaneo sono
stretti, e qualcuno di loro propone addirittura di “scrivere con il corpo”.
Eppure non mancano riferimenti inconsci e agganci alla tradizione.
La poesia della raffinata poeta-donna[1] Zhai
Yongming[2], il cui nome significa luce eterna, ruota attorno alla ricerca di un archetipo femminile
–pur non essendo poesia di genere- e al disvelamento di oscurità interiori.
Cerca l’ universale in storie individuali, quotidiane, rappresentate come messe in scena poetiche in
cui raccontare “l’andamento non lineare
delle vicende umane”. È nota per le sue lunghe poesie o poemetti, in cui dà
grande importanza al ritmo, attraverso l’uso di rime interne e interruzioni che
simulano il parlato. Uno stile, dunque, dalle caratteristiche narrative e
teatrali, che ricorda quello dei canovacci degli antichi cantastorie, ma
caratterizzato da una lingua ricca e piena di invenzioni, da immagini insolite
e connessioni imprevedibili[3].
Io nella cabina
telefonica continuo a comporre il numero[5]
Quali cose voglio
dire? A chi?
La mia voce attraversa
un enorme spazio
“Mille, diecimila
chilometri così insensato
Un gocciare di saluti
Mette a dura prova la
pazienza –tu e io
Siamo in una cabina
telefonica ad un incrocio di strade
Penso all’amore ridicolo
di un altro
Il mio viso sulla
vetrina di spaventapasseri
Si confronta con i bei
manichini agghindati
Apprezziamo la freddezza
che c’è tra noi
I bassi salari parlano
dopo la morte
Di nuove svendite
E di notizie di guerre
La tenera Lily sta
ricamando draghi e fenici
Disegna una coppia di
anatre mandarine
Pensa al suo innamorato
Venuto d’Oriente col cuore
pieno di disegni politici.
Il non-luogo
di Xue Di[6], altro poeta cinese della Diaspora, diventa,
invece, spazio delirante da incubo. Per lui, la poesia d’amore è follia
trasformata in versi, è testimonianza di ferocia primordiale; serve a “ingessare le membra sconquassate del mondo”,
a tenere insieme un mondo in pezzi. Questa la prima parte di lunghi versi,
formati da immagini intense e compresse, immagini notturne di incubi e veglie
di insonne, che si susseguono secondo libera associazione e analogia aperta. È
un grido di rivolta contro la violenza di una lingua piegata a stabilire ordine
e stabilità:
Lasciami volgere in
versi per te queste follie. Quando tu per prima hai visto la sua ombra oscura:
i globi dei tuoi occhi a briglia sciolta, colpi di zoccoli risuonavano nel canyon del cranio.
Lasciami usare parole
per distruggere la bestia selvaggia che si nasconde sulle rive del mio sangue che scorre, poi gettare i versi ai
tuoi piedi. Sii testimone della loro primordiale ferocia.
Lasciami usare la mia
penna per infilzare sulla carta desideri primordiali che strisciano dietro i
tuoi grandi occhi. Queste carte si aprono verso te come una strada. Tu lasci dietro
un profumo animalesco quando corri.
Lasciami affondare i
miei incisivi sulla tua collottola.
[…]
***********************
[1] Preferisce essere chiamata così,
invece di poetessa.
[2]Zhai Yongming è nata nel 1955, in
Chengdu, vive nel Sichuan. Ha pubblicato numerose raccolte di poesia e vinto
premi. Profonda conoscitrice della tradizione letteraria cinese, di temi
filosofici e poetici contemporanei. Crede nel dialogo e nello scambio della
poesia con altre forme d’arte. Apprezzata critica d’arte, è anche conosciuta
per le sue istallazioni artistiche. Ha vissuto negli Stati Uniti e in Germania,
ha viaggiato in Italia e in Europa.
[3] Ricorda Sylvia Plath, poetessa
statunitense (1932-1963), che insieme ad Anne Sexton e Robert Lowell, ha dato
grandi contributi alla poesia
confessionale, che si ispirava al vissuto personale e si sviluppò negli
anni ‘50 e ‘60 negli USA.
[4] In Claudia Pozzana, La
poesia pensante, op. cit. pag.167
[5] Zhai Yongming ,“Io nella cabina telefonica continuo a comporre il numero”, da Lily e Qiong, in Claudia
Pozzana, La poesia pensante,
op. cit.
[6] Xue Di nasce a Bejing nel 1957,
poeta e critico. Ha pubblicato in Inglese raccolte e singoli lavori su riviste
letterarie europee e nordamericane. Ricercatore all Brown University del Rhode
Island (USA), ha ricevuto due volte dopo il 1989 il Premio Hellman/Hammett,
sponsorizzato dalla Human Rights Watch. Nel 1999 è stata fermata dalla
censura la pubblicazione delle sue raccolte in lingua originale.
[7] Xue Di,
“Smania d’amore“, da Flames,
trad. in Inglese di Alison Friedman,
www.thedrunkenboat.com2006.Trad. di Isabella
Nicchiarelli. Per gentile concessione dell’Autore e della Traduttrice, Alison
Friedman.
sabato 30 marzo 2019
SOTTO IL SEGNO DELLO SCIMMIOTTO(3)
(3)
Se non fossero così stanchi e distratti d’altro, forse continuerebbero a parlare anche di Yang Lian[8], della sua profonda coerenza stilistica, del suo considerare la “tradizione come eterno presente”[9] e la poesia come spazio costruito con la lingua[10]. Una poesia i cui temi ricorrenti sono la lacerazione della materia, la sfilacciatura del tempo destinato a sopravvivere senza memoria e la storia sincronica, per cui passato e presente si confondono o non esistono. Poesia difficile, perché unica e al tempo stesso universale.
Se non fossero così stanchi e distratti d’altro, forse continuerebbero a parlare anche di Yang Lian[8], della sua profonda coerenza stilistica, del suo considerare la “tradizione come eterno presente”[9] e la poesia come spazio costruito con la lingua[10]. Una poesia i cui temi ricorrenti sono la lacerazione della materia, la sfilacciatura del tempo destinato a sopravvivere senza memoria e la storia sincronica, per cui passato e presente si confondono o non esistono. Poesia difficile, perché unica e al tempo stesso universale.
Yang Lian sente da una parte il peso della sua lingua permeata di cultura millenaria e la mette in dubbio, dall’altra riconosce le potenzialità creative del cinese che permette di sospendere il tempo convenzionale e di creare spazi attraverso il coinvolgimento del lettore. L’esilio è, dunque, strettamente collegato alle sue riflessioni sulla lingua: da poeta della Cina, è diventato poeta in lingua cinese e infine un poeta che scrive – potremmo dire- in Yang-cinese- inglese, un poeta cioè che inventa una lingua personale per ogni poesia che scrive. Si può superare la condizione dell’esule lontano dal proprio paese[11], ma l’esilio dalla lingua – ha detto- è un processo costante.
I poeti Menglong avevano voluto reinventare una lingua per esprimere il nuovo pensiero, ma a metà degli anni ‘80 quella lingua era già un ammasso di macerie e anche Yang Lian pensa che i potenti ideogrammi siano diventati ormai “giocattoli per menzogne”, ma crede che una lingua in rovina possa rigenerarsi. Sa che ogni lingua è pericolosa, cioè incerta, inaffidabile, soprattutto quella cinese[12] - pena il silenzio e che non basta più l’Io del poeta a ricrearla. È necessario qualcosa di meno semplice.
Dopo gli anni ‘90, cominciano ad apparire nelle sue poesie spazi bianchi; sono vuoti che esprimono lo scarto, la discontinuità, come se la poesia dubitasse della capacità comunicativa della lingua e si generasse proprio nel vuoto delle parole, “negli interstizi dove la lingua inciampa tra significante e significato”[13]. La raccolta di quegli anni “Dove si ferma il mare”[14] contiene poesie scritte durante il suo girovagare da esule, ed è strutturata come in cinque cerchi concentrici che corrispondono alle cinque parti in cui l’opera è divisa, pur essendo un lavoro unitario che parte dalle tenebre iniziali per giu\ngere alla luce finale.
Come Bei Dao, anche lui pensa che il poeta debba essere freddo, abbandonare un’emotività visionaria per giungere ad un intreccio coerente, quello che Yang Lian chiama spazio poetico, una forte strutturazione spaziale per tenere insieme - e svelare- la mutevolezza della vita e il senso di spaesamento dell’esilio, originato anche dai ritmi angosciosi degli spostamenti tra luoghi lontanissimi l’uno dall’altro[15].
Secondo Yang Lian, " Il poeta deve cercare il luogo dove fermare il mare, perché lì nascerà la poesia. Questo luogo lo troverà nell’ultimo verso dell’ultima parte del suo poema:
“questa è la riva da dove mi guardo prendere il largo”
La preposizione ‘dove,’[16]presente nelle sequenze finali di tutte le sezioni del poemetto, è uno degli echi ripetuti , uno dei tanti dispositivi usati per la costruzione dell’opera, strutturata come una sinfonia musicale, che ruota tutta attorno all’idea della possibilità che il mare venga fermato. Per fermarlo è necessario distaccarsene, mettere da parte tutto ciò che il mare suggerisce alla nostra emozione e dimenticare tutte le sue valenze simboliche[17]. La riva è, dunque, il luogo, il dove, e rappresenta “la presa di distanza del poeta dal suo stesso testo”; il mare si ferma dove il poeta si assenta e si assenta proprio grazie alla sua esistenza di esule senza radici. Questa lo ha reso estraneo a sé stesso, ma tale straniamento[18] ha reso possibile la poesia come pensiero, anzi è divenuto la condizione necessaria per la sua esistenza. Non c’è più il poeta e non c’è più un prima o un dopo, un tempo specifico, ma una molteplicità di sincronie. È la poesia il vero soggetto, la voce non è quella dell’autore, ma del suo divenire, quando si assenta dalla sua identità di autore. È la poesia il luogo dove si incrociano molteplici situazioni al di là del tempo. L’assenza del poeta (essere molti, essere nessuno) è generatrice di nuovi modi di parlare e solo questa impersonalità di linguaggio può rendere la poesia universale.
Sogno o la terza riva di ogni fiume[19]
Il verde è il più crudele dei pugnali
ma un sogno è abbarbicato come un crimine ai campi di ieri
abbarbicati alle sedie di legno di ogni albero di pino
i morti cominciano la scuola
colui che sogna deve
seguendo una primavera scorrere in questo fiume
seguendo il fiume battere la terza riva fra bianche ossa
questo bianco amore né esistente né illusorio
eppure costringe al rischio la rosa quotidiana
ti fa tornare al passato in mezzo ad un incendio
una musica eseguita fin dall'infanzia è sempre più spaventosa all'ascolto
ferita tenuta fresca dell'oscurità come la stanza della notte
anche una mano premuta sul cuore ha un'eco
sempre più vuota assediata dal fondo del fiume
solo in sogno riconosce la malasorte che i poeti non riescono a evitare
è la tua stessa malasorte
l'intera vita è una notte ad occhi sbarrati
la terra che vedi in sogno sprofonda incessantemente sotto i tuoi piedi
quando affonda nella carne è profonda come la caduta nel
vizio sulla terza riva nessuno che dorma o si stagli
Per trovare se stesso il poeta deve, dunque, estraniarsi dalla lingua, liberarsi dallo spazio e dal tempo (e nella lingua cinese sappiamo che è possibile), e realizzare la poesia in un mondo atemporale.
L’atemporalità dei versi di Yang Lian si riaggancia alla grande tradizione della poesia cinese, in cui è tipico ricreare l’effetto di cancellare il tempo attraverso il decentramento o l’assenza dell’Io (in questo caso, in esilio) e di tutti gli Io del mondo. D’altronde, suo obiettivo dichiarato[20] è la riscoperta della tradizione poetica cinese nell’uso di parallelismi, allegorie e tutto quello che dona alla poesia un senso musicale, il solo che può aiutarci, come lettori, a districare il significato di quei versi difficili che rappresentano il sovrapporsi di diversi stati d’animo[21]. “Esplorare la tradizione ed esprimere l’oggi” - afferma Yang Lian, ovvero la tradizione non va ignorata e collocarsi nella tradizione non vuol dire restaurarla. Vuol dire farla rivivere individualmente. Ricrearla, per l’appunto.
[...]
SOTTO IL SEGNO DELLO SCIMMIOTTO(2) da...
(2)
[21] “quando non capisci, ascolta”...
" ... La lingua è molto colloquiale, ma
mantiene la ricca musicalità[1] di
tutte le sue opere . Ricordo che Gao[2], parlando con la
mia amica, ha molto insistito sull'idea di scrivere poesia per se stesso- dice Zoé. E a Gordon torna in mente di aver letto
una conversazione tra Gao e Yang Lian, durante un loro incontro in Australia,
in cui i due artisti discutevano di esilio, lingua cinese e letteratura[3].
In quella conversazione, tutti e due erano d’accordo nel riconoscere che
gli scrittori che vivono in esilio diventano molto più esigenti con la lingua,
ma, in realtà, scrivono per sé stessi. La lingua nell'esilio è come più pulita di
prima e lo scrittore ha un approccio più creativo; quando è in esilio, è anche
lontano dai propri lettori, e non ha critici –almeno inizialmente- vive in una situazione di separazione, senza
scadenze, in cui può rivedere, riscrivere. Insomma, l’esilio viene percepito
dallo scrittore come il solo modo per preservare “i propri valori, la propria
integrità e indipendenza dello spirito”.
Gao rappresenta il “formidabile incontro fra il patrimonio
classico cinese,[… ]e la cultura occidentale”[4] e, durante il suo periodo di eremitaggio
coatto, volle creare una letteratura
della fuga, “una letteratura di sopravvivenza spirituale”. Attraverso la
scrittura[5], e quindi attraverso la lingua che è il suo
strumento essenziale, intese ricreare il Mondo e la Storia, cercando di
captare i segnali, decrittare i simboli, scovare un segno di continuità
nell’eterno silenzio di solitudine in cui è immersa l’umanità. L’Io è sempre in
uno stato di caos, in un flusso costante, ma ciò che interessa è la materialità
dell’esistenza, la capacità di vivere. Si deve continuare a parlare e scrivere
perché attraverso le parole si può conoscere se stesso e ciò che non si sa. La
sua sperimentazione continua ancora oggi, perché egli crede fermamente che la
cultura cinese sia ancora viva e capace di rinnovamento.
Rispetto alla società e alla politica,
Gao confessa che l’unica Cina che a lui interessa è quella culturale e
spirituale che porta dentro di sé e preferisce un impegno marginale al coinvolgimento diretto, continuare cioè ad osservare
senza smettere di criticare. È soprattutto nella sperimentazione linguistica e
nella potenza dell’immagine che lui vede il possibile successo per il passaggio
dalla tradizione alla modernità. Anche politica.
-Ti dovrebbe proprio piacere. Ricordo
che disse qualcosa come: “Io cerco la trasparenza della lingua, [..]. Isolo gli
elementi indispensabili della proposizione principale e li trasformo in piccole
frasi corte[...] perché le relazioni fra le frasi restino nascoste […] Scoprire
la lingua per me significa anche ascoltare con estrema attenzione la musica
delle parole e delle frasi. Leggo ad alta voce e registro ciò che scrivo di
getto[6][…]La natura stessa della lingua è fonetica: la
scrittura non è che una sorta di registrazione dell’orale. La lingua che cerco
di creare è quella che possa permettere al lettore di errare
in contemplazione tra le parole” [7].
Gao ha tentato di esprimere in Cinese i
diversi livelli della vita moderna, presentandoli in un flusso di linguaggio
che ricorda il flusso di coscienza modernista di James Joyce, Marcel Proust e
Virginia Woolf, perché lui crede che la lingua cinese, con la sua flessibilità,
ricordi il movimento della coscienza che
non è lineare, ma discontinuo. Non si
può scrivere in Cinese di psicologia, ma si può trovare la psicologia tra le
righe, in quello che i cinesi chiamano il
sorriso seducente della lingua: nel non detto.
Zoé gli lancia un veloce sguardo e
tace. Poi torna a spizzicare la sua quiche,
mentre Gordon, anche lui silenzioso e pensieroso, si affretta a riempire i due
bicchieri.
[...]
[1] Cfr. Yang Lian: “La musicalità
(che si perde in traduzione) della lingua cinese è nascosta dietro la
percezione visiva dell’immagine”.
[2] Cfr. Maria Cristina Pisciotta,
introduzione a Gao, op.cit. “La poesia della lingua non proviene solo dalla
tensione che l’espressione dei sentimenti provoca; l’attenzione visiva e quella uditiva creano insieme la tensione
che fa nascere la poesia[…] si devono ascoltare le parole che escono dalla
propria penna”.
[3] Cfr. La lingua dell’esilio, da una conversazione tra Gao e Yang Lian, poeta
cinese contemporaneo, del 18/09/1993, a Sidney, da Ciò che abbiamo guadagnato dall’esilio.
[4] ’Gao X., uno scrittore in esilio
interiore’ di Maria Cristina Pisciotta, introduzione a Gao, op.cit., pag.9. La
poesia classica cinese della sua formazione si è amalgamata con la letteratura
francese, studiata in Cina e poi in Francia; Gao predilige la poesia
surrealista che lui stesso ha tradotto in modo eccezionale, grazie alla sua
grande sensibilità.
[5] Cfr. Gao, La
Montagna dell’anima,Rizzoli editore, Milano, 2002.Trad di Mirella
Fratanico.
[6] Quello che anche Flaubert faceva in Europa più d’un secolo fa e che
chiamava ’l’épreuve du gueuloir’, sottomettendo cioè alla prova della lettura ad alta voce ogni
pagina dei suoi romanzi.
[7] Cfr. Maria Cristina
Pisciotta, introduzione a Gao, op.
cit.
[8]Yang Lian nasce nel 1955 a Berna, Svizzera,
da genitori, funzionari cinesi statali dell’ambasciata svizzera.Torna a Pechino
dove pratica una costante dissidenza tanto da essere sottoposto alla
rieducazione col lavoro manuale.Fuggito dalla Cina nell’ ’83, in seguito al suo
sostegno al movimento dell’’89, gli viene tolta la cittadinanza. Attualmente
vive a Londra e insegna in Svizzera.
[10] Vedi conversazione con Gao, già
citata.
[11] Cfr. Sabrina Merolla, Toccare il limite e superarlo,
intervista a Y.L. del 24/06/2004: essere al margine non vuol dire rimanere in
equilibrio tra due mondi, ma ’esilio vuol
dire toccare il limite e superarlo’.
[12] Cfr. Yang Lian, Masks and
crocodiles (Maschere e coccodrilli), raccolta di poesie in cinese e loro
traduzione in inglese,a cura di Mable Lee, Wild Peony Press, University of
Sidney, Australia, 1990.
[13] Cfr.Claudia Pozzana, La
poesia pensante.Inchieste sulla poesia cinese contemporanea, Quodlibet
studio,2010.
[14] Negli anni 1992-93.
[15] E’ vissuto in USA, Australia,
Nuova Zelanda.
[16]
In posizione finale secondo la costruzione della frase cinese.
[17] In cinese ‘mare delle parole’
vuol dire ‘dizionario enciclopedico’.
[18] In tutto il poema, il pronome
personale ‘io’ compare raramente e solo in funzione di complemento oggetto (cfr.
Pozzana, op.cit.)
[19] Yang Lian,
“Sogno o la
terza riva di ogni fiume”, da Prima parte di Tenebre, Dove si ferma il mare, a cura di Claudia
Pozzana, Libri Scheiwiller - Playon,
2004.
[20] Cfr. pag 302, “internazionale
locale”, 11/10/2003, trad. Anna Secher, in Dove
si ferma il mare, op.cit.
[21] “quando non capisci, ascolta”...
venerdì 22 marzo 2019
SOTTO IL SEGNO DELLE SCIMMIOTTO (1) da "326 poesie dal mondo..." di Bruni-Nicchiarelli
SOTTO IL SEGNO DELLO SCIMMIOTTO[1]
-È di qualche tempo
fa...- dice Gordon, guardando, imbarazzato da tanta attenzione, l’articolo che
Zoé tiene ancora fra le mani. Poi scende
dalla scaletta appoggiata alla libreria e le si avvicina.
-Sì, di qualche anno fa,
ma è ancora molto buono - lo rassicura Zoé sorridendogli- l’ho letto per caso,
una volta in Italia; mi aveva colpito il tuo nome e avevo anche pensato di
rintracciarti, poi sai come vanno queste cose... Lo potresti ripubblicare,
magari aggiungendoci Yang Lian e Gao … -
si interrompe per passargli le dita tra i capelli e poi subito aggiunge cambiando
argomento: - Senti, che ne dici? Togliamoci un po’ di polvere di dosso e
mangiamo qualcosa. Non ce la faccio proprio ad uscire e, poi, mi sembri stanco
anche tu; vedrai riuscirò a stupirti con una ricca cena da trasloco!
Non passa molto che dal PC di Zoé
un sottofondo di musica comincia ad insinuarsi discretamente negli spazi
dell’appartamento che già accennano forme e ordini futuri, sebbene ancora
impietosamente illuminati da nude lampadine. Le pareti bianche in attesa di
quadri e fotografie captano ombre e luci estranee che occhieggiano spavalde
dalle finestre aperte. Stanchi, ma
felici di poter chiacchierare ancora un po’, si sono finalmente seduti sulle
due tripoline, davanti a uno degli scatoloni ancora pieni, messo a mo’ di
tavolino. Sopra, fa da prima attrice la provvidenziale quiche di Louise, accompagnata da un piccolo vassoio di formaggi,
qualche piatto di carta, due bicchieri e una bottiglia di vino. Zoé ha
mantenuto la promessa.
Più tardi, mentre ancora
mangiucchiano un po’ di formaggio, Gordon riprende la conversazione
letteraria là dove l’avevano interrotta poco prima:-Gao è un nome che conosco,
ma non sono sicuro di aver mai letto i suoi testi di poesia.
-Infatti, di solito si conosce il suo
teatro[2] oppure...
Insomma, ha sempre ritenuto che la poesia fosse un’attività privata,
intima, non materiale da pubblicare. Ecco, un attimo solo…- e Zoé si alza a
cercare qualcosa. Poi, tornando con in mano un sottile libretto, gli dice:
-Guarda, questa è una chicca: versi scritti poco prima che gli fosse assegnato
il Nobel. Un regalo di amici italiani.
-Ah! Vedo che tu Gao lo conosci bene. Allora,
mi potresti aiutare. In fondo, lui ormai è più parigino che cinese, e ….
-No, che c’entra? Gao vive qui[3], ma ormai l’unica patria è quella dentro la sua testa. Né Cina né
Francia.
-Certo, certo.
-L’ ho incontrato un paio di volte, qui a
Parigi, quando ho accompagnato un’amica giornalista italiana al suo atelier, un vero laboratorio dove lui
dipinge, gira le scene dei suoi film e prova con gli attori. Uno spazio pieno
di libri d’arte, specchi, maschere della Commedia dell’Arte italiana e pitture
su carta di riso. Un luogo pieno di suggestioni. E lui è un uomo magro, minuto
che parla con voce sommessa e che ascolta attentamente … Comunque, tieni, dai
uno sguardo. – E così dicendo accosta la tripolina a quella di Gordon per poter
meglio leggere insieme: -Anzi, no: ascolta. Ecco, il primo lavoro è “una
ballata molto speciale”[4], una
“Ballata contemporanea” come dice il sottotitolo e capirai da solo perché.
E insieme leggono quei versi brevi
raccolti in strofe brevissime, piene di immagini visionarie che si scontrano
con altre tratte dal quotidiano; un testo scabro, essenziale, apparentemente
frammentario, vagamente narrativo e con un forte senso di spaesamento. Una ballata
speciale, in cui possiamo trovare le teorie poetiche dell’artista, le sue
idee sulla lingua, varie riflessioni filosofiche e personali. Ecco un assaggio
dell’incipit del poemetto dove l’ Io Poetico si perde tra la serie di immagini che si
generano l’una dall’altra[5] (vv.1-22):
Di un riccio
io parlo
parlo di un verme
s’insinua
scivolando lento
diciassette anni
fa
nel Colorado
c’era
un fiume
senza sirene
nessun annuncio di
sventura
[...]
il giorno
all’imbrunire
prateria
vento verde di
prateria
una vecchia scarpa
e
un bambino
dimenticati ...
Una poesia ricca di metafore, in cui il
riccio del verso iniziale sta per il letterato che sceglie l’emarginazione. I
versi sono organizzati in quartine irregolari, come se queste fossero state
spezzate o allungate per poi venir ricomposte fino ad adattarsi alle sensazioni
del poeta, e per poter, in questo modo, parlare della fine dell’amore, della
cultura e della lingua, in un mondo dominato dal caso e dalla noia di chi non
sa più chi egli sia. Poesia piena di
immagini quella di Gao, che nella vita alterna la scrittura alla pittura, due
attività inseparabili per gli intellettuali cinesi tradizionali. Ecco, allora,
immagini di pioggia incessante, di vuoto, di vento e dita affilate, di cicale
stridenti, per esprimere la fine di tutte le speranze, ma anche poesia carica
di sapori e suoni, con un ritmo cadenzato reso attraverso l’uso ossessivo di
connettori, avverbi e particelle di negazione. Oppure, poesia fatta di lunghi
cataloghi[6] “con l’ effetto di una nenia incantatoria”[7] (vv 141-168):
Il tempo che è
casualità
non può lasciare tracce
rimane solo la memoria
l’ultimo vagone del
metrò
un lieve tremare dei
vetri
attraversa la baia
il seno
una cicatrice
non poter parlare
non vuol dire non aver
parlato
non c’è domani
non c’è
non c’è
[...]
eliminati i bottoni
eliminata pure
l’ipocrisia
eliminati i fardelli
resta solo la voglia
di dormire
il tempo dell’infanzia
è come un vecchio gatto
che ronfa sul cuscino
della sedia
ti metti a raccontare
storie narrate mille volte ormai
le mille e una notte e
solo quell’una ha qualche senso
il demone cavalca in
cima al muro
sferza con la frusta
una giumenta
sei tu quel demone!
... o domande
incalzanti fino alla loro vanificazione, evidenziata dalla chiusa finale
(vv 207-226):
sesso a parte
a questo mondo cosa
resta?
malvagi demoni
a parte
esistono ancora le
fiabe?
a parte te
io esisto ancora?
a parte te che mi
vieni incontro ed io che le vado incontro
una donna che
non distingue il vero
dal falso inventa solo menzogne
sottrarsi alle
menzogne
ma che smarrimento
allora tu inganni io
inganno
collezioniamo menzogne
ci abbiamo confezionato tanti rifugi
ci abbiamo fondato un
mucchio di convinzioni
colla forza della
ragione
in tutta tranquillità
di spirito
tu fai
uno sbadiglio
Parigi, 30 agosto 1991
La lingua è molto colloquiale, ma
mantiene la ricca musicalità[8] di
tutte le opere di Gao[9]. Ricordo che, in quell’incontro, parlando con la
mia amica, ha molto insistito sull’idea di scrivere poesia per se stesso- dice Zoé e anche Gordon ricorda di aver letto
una conversazione tra Gao e Yang Lian, durante un loro incontro in Australia,
in cui i due artisti discutevano di esilio, lingua cinese e letteratura[10].
[...]
[1] Lo scimmiotto è uno degli animali
dell’universo letterario e mitologico cinese; è presente anche nella tradizione
religiosa e popolare, ed è oggetto di culto ancora oggi. Rappresenta l’irrequietezza
e l’instabilità della mente umana, la rischiosa genialità connessa a successi e
a fallimenti. Ne Il sogno dello
scimmiotto, racconto di un viaggio avventuroso di un monaco alla ricerca di
testi antichi, scritto nel 1640 e ispirato ad una delle più famose opere della
letteratura cinese, Il viaggio in
Occidente di Wu Chen’en (1500-1582), lo Scimmiotto, un misto di animale,
uomo, demone e dio, è uno dei compagni
in cammino verso l’illuminazione. Nell’opera, tra avventure, fantasie erotiche,
frammenti di satira politica e altro, si respira un’inquietudine esistenziale
vicina alla sensibilità moderna.
[2]Gao è romanziere, drammaturgo,
critico letterario, traduttore, regista teatrale e pittore. La produzione
poetica di Gao è consistente, ma era ancora praticamente quasi sconosciuta sia
in Cina che in Occidente ai tempi del Premio Nobel a lui assegnato nel 2000.
Gao ha sempre ritenuto la Poesia un’attività privata, intima, senza finalità di
pubblicazione. Durante la Rivoluzione Culturale, fu mandato in un campo di
rieducazione e lì preferì bruciare un’intera valigia dei suoi manoscritti. Le
prime pubblicazioni risalgono alla fine degli anni Settanta, quando gli fu
permesso di viaggiare in Europa.
[3]Gao Xingjian nasce a Ganzhou, Jiangxi,
nel 1940. In esilio a Parigi dal 1987, cittadino naturalizzato francese dal
1998, fu insignito Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres dal
governo francese nel 1992. Le sue opere pubblicate in Cina nei primi anni
Ottanta, vennero poi vietate e Gao fu
dichiarato dalle autorità cinesi persona non grata. A Parigi, riuscì a completare il romanzo La Montagna dell’Anima, la storia di un
uomo alla ricerca della propria pace interiore e del recupero del sé. Nel 2000
è stato insignito del premio Nobel per la letteratura, per la prima volta
attribuito a uno scrittore cinese.
[4]Cfr. Gao X., uno scrittore in esilio interiore di Maria Cristina
Pisciotta, introduzione a Gao, Parlerò di
ricci. Poesie (1991-1995), Fermenti Editrice, 2006; pag25.
[5] Gao, Parlerò di ricci (ballata contemporanea);
in Gao, Parlerò di ricci. Poesie (1991-1995), op. cit.; cfr anche recensione di
Raffaele Piazza, su www.vicoacitillo.it, 07/01/2007.
[6] Tecnica tipica dei testi taoisti.
[7] Gao, op.cit.
[8] Cfr. Yang Lian: “La musicalità
(che si perde in traduzione) della lingua cinese è nascosta dietro la
percezione visiva dell’immagine”.
[9] Cfr. Maria Cristina Pisciotta,
introduzione a Gao, op.cit. “La poesia della lingua non proviene solo dalla
tensione che l’espressione dei sentimenti provoca; l’attenzione visiva e quella uditiva creano insieme la tensione
che fa nascere la poesia[…] si devono ascoltare le parole che escono dalla
propria penna”.
[10] Cfr. La lingua dell’esilio, da una conversazione tra Gao e Yang Lian, poeta
cinese contemporaneo, del 18/09/1993, a Sidney, da Ciò che abbiamo guadagnato dall’esilio.
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