SOTTO IL SEGNO DELLO SCIMMIOTTO[1]
-È di qualche tempo
fa...- dice Gordon, guardando, imbarazzato da tanta attenzione, l’articolo che
Zoé tiene ancora fra le mani. Poi scende
dalla scaletta appoggiata alla libreria e le si avvicina.
-Sì, di qualche anno fa,
ma è ancora molto buono - lo rassicura Zoé sorridendogli- l’ho letto per caso,
una volta in Italia; mi aveva colpito il tuo nome e avevo anche pensato di
rintracciarti, poi sai come vanno queste cose... Lo potresti ripubblicare,
magari aggiungendoci Yang Lian e Gao … -
si interrompe per passargli le dita tra i capelli e poi subito aggiunge cambiando
argomento: - Senti, che ne dici? Togliamoci un po’ di polvere di dosso e
mangiamo qualcosa. Non ce la faccio proprio ad uscire e, poi, mi sembri stanco
anche tu; vedrai riuscirò a stupirti con una ricca cena da trasloco!
Non passa molto che dal PC di Zoé
un sottofondo di musica comincia ad insinuarsi discretamente negli spazi
dell’appartamento che già accennano forme e ordini futuri, sebbene ancora
impietosamente illuminati da nude lampadine. Le pareti bianche in attesa di
quadri e fotografie captano ombre e luci estranee che occhieggiano spavalde
dalle finestre aperte. Stanchi, ma
felici di poter chiacchierare ancora un po’, si sono finalmente seduti sulle
due tripoline, davanti a uno degli scatoloni ancora pieni, messo a mo’ di
tavolino. Sopra, fa da prima attrice la provvidenziale quiche di Louise, accompagnata da un piccolo vassoio di formaggi,
qualche piatto di carta, due bicchieri e una bottiglia di vino. Zoé ha
mantenuto la promessa.
Più tardi, mentre ancora
mangiucchiano un po’ di formaggio, Gordon riprende la conversazione
letteraria là dove l’avevano interrotta poco prima:-Gao è un nome che conosco,
ma non sono sicuro di aver mai letto i suoi testi di poesia.
-Infatti, di solito si conosce il suo
teatro[2] oppure...
Insomma, ha sempre ritenuto che la poesia fosse un’attività privata,
intima, non materiale da pubblicare. Ecco, un attimo solo…- e Zoé si alza a
cercare qualcosa. Poi, tornando con in mano un sottile libretto, gli dice:
-Guarda, questa è una chicca: versi scritti poco prima che gli fosse assegnato
il Nobel. Un regalo di amici italiani.
-Ah! Vedo che tu Gao lo conosci bene. Allora,
mi potresti aiutare. In fondo, lui ormai è più parigino che cinese, e ….
-No, che c’entra? Gao vive qui[3], ma ormai l’unica patria è quella dentro la sua testa. Né Cina né
Francia.
-Certo, certo.
-L’ ho incontrato un paio di volte, qui a
Parigi, quando ho accompagnato un’amica giornalista italiana al suo atelier, un vero laboratorio dove lui
dipinge, gira le scene dei suoi film e prova con gli attori. Uno spazio pieno
di libri d’arte, specchi, maschere della Commedia dell’Arte italiana e pitture
su carta di riso. Un luogo pieno di suggestioni. E lui è un uomo magro, minuto
che parla con voce sommessa e che ascolta attentamente … Comunque, tieni, dai
uno sguardo. – E così dicendo accosta la tripolina a quella di Gordon per poter
meglio leggere insieme: -Anzi, no: ascolta. Ecco, il primo lavoro è “una
ballata molto speciale”[4], una
“Ballata contemporanea” come dice il sottotitolo e capirai da solo perché.
E insieme leggono quei versi brevi
raccolti in strofe brevissime, piene di immagini visionarie che si scontrano
con altre tratte dal quotidiano; un testo scabro, essenziale, apparentemente
frammentario, vagamente narrativo e con un forte senso di spaesamento. Una ballata
speciale, in cui possiamo trovare le teorie poetiche dell’artista, le sue
idee sulla lingua, varie riflessioni filosofiche e personali. Ecco un assaggio
dell’incipit del poemetto dove l’ Io Poetico si perde tra la serie di immagini che si
generano l’una dall’altra[5] (vv.1-22):
Di un riccio
io parlo
parlo di un verme
s’insinua
scivolando lento
diciassette anni
fa
nel Colorado
c’era
un fiume
senza sirene
nessun annuncio di
sventura
[...]
il giorno
all’imbrunire
prateria
vento verde di
prateria
una vecchia scarpa
e
un bambino
dimenticati ...
Una poesia ricca di metafore, in cui il
riccio del verso iniziale sta per il letterato che sceglie l’emarginazione. I
versi sono organizzati in quartine irregolari, come se queste fossero state
spezzate o allungate per poi venir ricomposte fino ad adattarsi alle sensazioni
del poeta, e per poter, in questo modo, parlare della fine dell’amore, della
cultura e della lingua, in un mondo dominato dal caso e dalla noia di chi non
sa più chi egli sia. Poesia piena di
immagini quella di Gao, che nella vita alterna la scrittura alla pittura, due
attività inseparabili per gli intellettuali cinesi tradizionali. Ecco, allora,
immagini di pioggia incessante, di vuoto, di vento e dita affilate, di cicale
stridenti, per esprimere la fine di tutte le speranze, ma anche poesia carica
di sapori e suoni, con un ritmo cadenzato reso attraverso l’uso ossessivo di
connettori, avverbi e particelle di negazione. Oppure, poesia fatta di lunghi
cataloghi[6] “con l’ effetto di una nenia incantatoria”[7] (vv 141-168):
Il tempo che è
casualità
non può lasciare tracce
rimane solo la memoria
l’ultimo vagone del
metrò
un lieve tremare dei
vetri
attraversa la baia
il seno
una cicatrice
non poter parlare
non vuol dire non aver
parlato
non c’è domani
non c’è
non c’è
[...]
eliminati i bottoni
eliminata pure
l’ipocrisia
eliminati i fardelli
resta solo la voglia
di dormire
il tempo dell’infanzia
è come un vecchio gatto
che ronfa sul cuscino
della sedia
ti metti a raccontare
storie narrate mille volte ormai
le mille e una notte e
solo quell’una ha qualche senso
il demone cavalca in
cima al muro
sferza con la frusta
una giumenta
sei tu quel demone!
... o domande
incalzanti fino alla loro vanificazione, evidenziata dalla chiusa finale
(vv 207-226):
sesso a parte
a questo mondo cosa
resta?
malvagi demoni
a parte
esistono ancora le
fiabe?
a parte te
io esisto ancora?
a parte te che mi
vieni incontro ed io che le vado incontro
una donna che
non distingue il vero
dal falso inventa solo menzogne
sottrarsi alle
menzogne
ma che smarrimento
allora tu inganni io
inganno
collezioniamo menzogne
ci abbiamo confezionato tanti rifugi
ci abbiamo fondato un
mucchio di convinzioni
colla forza della
ragione
in tutta tranquillità
di spirito
tu fai
uno sbadiglio
Parigi, 30 agosto 1991
La lingua è molto colloquiale, ma
mantiene la ricca musicalità[8] di
tutte le opere di Gao[9]. Ricordo che, in quell’incontro, parlando con la
mia amica, ha molto insistito sull’idea di scrivere poesia per se stesso- dice Zoé e anche Gordon ricorda di aver letto
una conversazione tra Gao e Yang Lian, durante un loro incontro in Australia,
in cui i due artisti discutevano di esilio, lingua cinese e letteratura[10].
[...]
[1] Lo scimmiotto è uno degli animali
dell’universo letterario e mitologico cinese; è presente anche nella tradizione
religiosa e popolare, ed è oggetto di culto ancora oggi. Rappresenta l’irrequietezza
e l’instabilità della mente umana, la rischiosa genialità connessa a successi e
a fallimenti. Ne Il sogno dello
scimmiotto, racconto di un viaggio avventuroso di un monaco alla ricerca di
testi antichi, scritto nel 1640 e ispirato ad una delle più famose opere della
letteratura cinese, Il viaggio in
Occidente di Wu Chen’en (1500-1582), lo Scimmiotto, un misto di animale,
uomo, demone e dio, è uno dei compagni
in cammino verso l’illuminazione. Nell’opera, tra avventure, fantasie erotiche,
frammenti di satira politica e altro, si respira un’inquietudine esistenziale
vicina alla sensibilità moderna.
[2]Gao è romanziere, drammaturgo,
critico letterario, traduttore, regista teatrale e pittore. La produzione
poetica di Gao è consistente, ma era ancora praticamente quasi sconosciuta sia
in Cina che in Occidente ai tempi del Premio Nobel a lui assegnato nel 2000.
Gao ha sempre ritenuto la Poesia un’attività privata, intima, senza finalità di
pubblicazione. Durante la Rivoluzione Culturale, fu mandato in un campo di
rieducazione e lì preferì bruciare un’intera valigia dei suoi manoscritti. Le
prime pubblicazioni risalgono alla fine degli anni Settanta, quando gli fu
permesso di viaggiare in Europa.
[3]Gao Xingjian nasce a Ganzhou, Jiangxi,
nel 1940. In esilio a Parigi dal 1987, cittadino naturalizzato francese dal
1998, fu insignito Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres dal
governo francese nel 1992. Le sue opere pubblicate in Cina nei primi anni
Ottanta, vennero poi vietate e Gao fu
dichiarato dalle autorità cinesi persona non grata. A Parigi, riuscì a completare il romanzo La Montagna dell’Anima, la storia di un
uomo alla ricerca della propria pace interiore e del recupero del sé. Nel 2000
è stato insignito del premio Nobel per la letteratura, per la prima volta
attribuito a uno scrittore cinese.
[4]Cfr. Gao X., uno scrittore in esilio interiore di Maria Cristina
Pisciotta, introduzione a Gao, Parlerò di
ricci. Poesie (1991-1995), Fermenti Editrice, 2006; pag25.
[5] Gao, Parlerò di ricci (ballata contemporanea);
in Gao, Parlerò di ricci. Poesie (1991-1995), op. cit.; cfr anche recensione di
Raffaele Piazza, su www.vicoacitillo.it, 07/01/2007.
[6] Tecnica tipica dei testi taoisti.
[7] Gao, op.cit.
[8] Cfr. Yang Lian: “La musicalità
(che si perde in traduzione) della lingua cinese è nascosta dietro la
percezione visiva dell’immagine”.
[9] Cfr. Maria Cristina Pisciotta,
introduzione a Gao, op.cit. “La poesia della lingua non proviene solo dalla
tensione che l’espressione dei sentimenti provoca; l’attenzione visiva e quella uditiva creano insieme la tensione
che fa nascere la poesia[…] si devono ascoltare le parole che escono dalla
propria penna”.
[10] Cfr. La lingua dell’esilio, da una conversazione tra Gao e Yang Lian, poeta
cinese contemporaneo, del 18/09/1993, a Sidney, da Ciò che abbiamo guadagnato dall’esilio.
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