venerdì 22 marzo 2019

SOTTO IL SEGNO DELLE SCIMMIOTTO (1) da "326 poesie dal mondo..." di Bruni-Nicchiarelli


SOTTO IL SEGNO DELLO SCIMMIOTTO[1]


            -È di qualche tempo fa...- dice Gordon, guardando, imbarazzato da tanta attenzione, l’articolo che Zoé tiene ancora fra le mani.  Poi scende dalla scaletta appoggiata alla libreria e le si avvicina.
           -Sì, di qualche anno fa, ma è ancora molto buono - lo rassicura Zoé sorridendogli- l’ho letto per caso, una volta in Italia; mi aveva colpito il tuo nome e avevo anche pensato di rintracciarti, poi sai come vanno queste cose... Lo potresti ripubblicare, magari aggiungendoci Yang Lian e Gao …  - si interrompe per passargli le dita tra i capelli e poi subito aggiunge cambiando argomento: - Senti, che ne dici? Togliamoci un po’ di polvere di dosso e mangiamo qualcosa. Non ce la faccio proprio ad uscire e, poi, mi sembri stanco anche tu; vedrai riuscirò a stupirti con una ricca cena da trasloco!
             Non passa molto che dal PC di Zoé un sottofondo di musica comincia ad insinuarsi discretamente negli spazi dell’appartamento che già accennano forme e ordini futuri, sebbene ancora impietosamente illuminati da nude lampadine. Le pareti bianche in attesa di quadri e fotografie captano ombre e luci estranee che occhieggiano spavalde dalle finestre aperte.  Stanchi, ma felici di poter chiacchierare ancora un po’, si sono finalmente seduti sulle due tripoline, davanti a uno degli scatoloni ancora pieni, messo a mo’ di tavolino. Sopra, fa da prima attrice la provvidenziale quiche di Louise, accompagnata da un piccolo vassoio di formaggi, qualche piatto di carta, due bicchieri e una bottiglia di vino. Zoé ha mantenuto la promessa.
           Più tardi, mentre ancora mangiucchiano un po’ di formaggio,  Gordon riprende la conversazione letteraria là dove l’avevano interrotta poco prima:-Gao è un nome che conosco, ma non sono sicuro di aver mai letto i suoi testi di poesia.
          -Infatti, di solito si conosce il suo teatro[2] oppure...  Insomma, ha sempre ritenuto che la poesia fosse un’attività privata, intima, non materiale da pubblicare. Ecco, un attimo solo…- e Zoé si alza a cercare qualcosa. Poi, tornando con in mano un sottile libretto, gli dice: -Guarda, questa è una chicca: versi scritti poco prima che gli fosse assegnato il Nobel. Un regalo di amici italiani.
    -Ah! Vedo che tu Gao lo conosci bene. Allora, mi potresti aiutare. In fondo, lui ormai è più parigino che cinese, e  ….
    -No, che c’entra? Gao vive qui[3], ma ormai l’unica patria è  quella dentro la sua testa. Né Cina né Francia.
    -Certo, certo.
    -L’ ho incontrato un paio di volte, qui a Parigi, quando ho accompagnato un’amica giornalista italiana al suo atelier, un vero laboratorio dove lui dipinge, gira le scene dei suoi film e prova con gli attori. Uno spazio pieno di libri d’arte, specchi, maschere della Commedia dell’Arte italiana e pitture su carta di riso. Un luogo pieno di suggestioni. E lui è un uomo magro, minuto che parla con voce sommessa e che ascolta attentamente … Comunque, tieni, dai uno sguardo. – E così dicendo accosta la tripolina a quella di Gordon per poter meglio leggere insieme: -Anzi, no: ascolta. Ecco, il primo lavoro è “una ballata molto speciale”[4],  una “Ballata contemporanea” come dice il sottotitolo e capirai da solo perché.
        E insieme leggono quei versi brevi raccolti in strofe brevissime, piene di immagini visionarie che si scontrano con altre tratte dal quotidiano; un testo scabro, essenziale, apparentemente frammentario, vagamente narrativo e con un forte senso di spaesamento. Una ballata speciale, in cui possiamo trovare le teorie poetiche dell’artista, le sue idee sulla lingua, varie riflessioni filosofiche e personali. Ecco un assaggio dell’incipit del poemetto dove l’ Io Poetico  si perde tra la serie di immagini che si generano l’una dall’altra[5] (vv.1-22):

Di un riccio
io parlo
parlo di un verme
s’insinua
scivolando lento

diciassette anni
fa
nel Colorado
c’era

un fiume
senza sirene
nessun annuncio di sventura
[...]
il giorno all’imbrunire
prateria
vento verde di prateria

una vecchia scarpa
e
un bambino
dimenticati ...

        Una poesia ricca di metafore, in cui il riccio del verso iniziale sta per il letterato che sceglie l’emarginazione. I versi sono organizzati in quartine irregolari, come se queste fossero state spezzate o allungate per poi venir ricomposte fino ad adattarsi alle sensazioni del poeta, e per poter, in questo modo, parlare della fine dell’amore, della cultura e della lingua, in un mondo dominato dal caso e dalla noia di chi non sa più chi egli sia.  Poesia piena di immagini quella di Gao, che nella vita alterna la scrittura alla pittura, due attività inseparabili per gli intellettuali cinesi tradizionali. Ecco, allora, immagini di pioggia incessante, di vuoto, di vento e dita affilate, di cicale stridenti, per esprimere la fine di tutte le speranze, ma anche poesia carica di sapori e suoni, con un ritmo cadenzato reso attraverso l’uso ossessivo di connettori, avverbi e particelle di negazione. Oppure, poesia fatta di lunghi cataloghi[6] “con l’ effetto di una nenia incantatoria”[7] (vv 141-168):

Il tempo che è casualità
non può lasciare tracce
rimane solo la memoria
l’ultimo vagone del metrò
un lieve tremare dei vetri
attraversa la baia

il seno
una cicatrice

non poter parlare
non vuol dire non aver parlato

non c’è domani
non c’è
non c’è

[...]
  
eliminati i bottoni
eliminata pure l’ipocrisia
eliminati i fardelli
resta solo la voglia di dormire



il tempo dell’infanzia è come un vecchio gatto
che ronfa sul cuscino della sedia

ti metti a raccontare storie narrate mille volte ormai
le mille e una notte e solo quell’una ha qualche senso

il demone cavalca in cima al muro
sferza con la frusta
una giumenta
sei tu quel demone!

... o domande incalzanti fino alla loro vanificazione, evidenziata dalla chiusa finale (vv  207-226):

sesso a parte
a questo mondo cosa resta?

malvagi demoni
a parte
esistono ancora le fiabe?

a parte te
io esisto ancora?

a parte te che mi vieni incontro ed io che le vado incontro
una donna che
non distingue il vero dal falso inventa solo menzogne
sottrarsi alle menzogne
ma che smarrimento

allora tu inganni io inganno
collezioniamo menzogne
ci  abbiamo confezionato tanti rifugi
ci abbiamo fondato un mucchio di convinzioni
colla forza della ragione
in tutta tranquillità di spirito

tu fai
uno sbadiglio
                               Parigi, 30 agosto 1991

       La lingua è molto colloquiale, ma mantiene la ricca musicalità[8] di tutte le opere di Gao[9]. Ricordo che, in quell’incontro, parlando con la mia amica, ha molto insistito sull’idea di scrivere poesia per se stesso-  dice Zoé e anche Gordon ricorda di aver letto una conversazione tra Gao e Yang Lian, durante un loro incontro in Australia, in cui i due artisti discutevano di esilio, lingua cinese e letteratura[10].

[...]
       


[1] Lo scimmiotto è uno degli animali dell’universo letterario e mitologico cinese; è presente anche nella tradizione religiosa e popolare, ed è oggetto di culto ancora oggi. Rappresenta l’irrequietezza e l’instabilità della mente umana, la rischiosa genialità connessa a successi e a fallimenti. Ne Il sogno dello scimmiotto, racconto di un viaggio avventuroso di un monaco alla ricerca di testi antichi, scritto nel 1640 e ispirato ad una delle più famose opere della letteratura cinese, Il viaggio in Occidente di Wu Chen’en (1500-1582), lo Scimmiotto, un misto di animale, uomo, demone e dio, è  uno dei compagni in cammino verso l’illuminazione. Nell’opera, tra avventure, fantasie erotiche, frammenti di satira politica e altro, si respira un’inquietudine esistenziale vicina alla sensibilità moderna.
[2]Gao è romanziere, drammaturgo, critico letterario, traduttore, regista teatrale e pittore. La produzione poetica di Gao è consistente, ma era ancora praticamente quasi sconosciuta sia in Cina che in Occidente ai tempi del Premio Nobel a lui assegnato nel 2000. Gao ha sempre ritenuto la Poesia un’attività privata, intima, senza finalità di pubblicazione. Durante la Rivoluzione Culturale, fu mandato in un campo di rieducazione e lì preferì bruciare un’intera valigia dei suoi manoscritti. Le prime pubblicazioni risalgono alla fine degli anni Settanta, quando gli fu permesso di viaggiare in Europa.
[3]Gao Xingjian nasce a Ganzhou, Jiangxi, nel 1940. In esilio a Parigi dal 1987, cittadino naturalizzato francese dal 1998, fu insignito Chevalier de l’Ordre des Arts et des Lettres dal governo francese nel 1992. Le sue opere pubblicate in Cina nei primi anni Ottanta, vennero poi vietate  e Gao fu dichiarato dalle autorità cinesi persona non grata. A Parigi,  riuscì a completare il romanzo La Montagna dell’Anima, la storia di un uomo alla ricerca della propria pace interiore e del recupero del sé. Nel 2000 è stato insignito del premio Nobel per la letteratura, per la prima volta attribuito a uno scrittore cinese.
[4]Cfr. Gao X., uno scrittore in esilio interiore di Maria Cristina Pisciotta, introduzione a Gao, Parlerò di ricci. Poesie (1991-1995), Fermenti Editrice, 2006; pag25.
[5] Gao, Parlerò di ricci (ballata contemporanea); in Gao, Parlerò di ricci. Poesie (1991-1995), op. cit.; cfr anche recensione di Raffaele Piazza, su www.vicoacitillo.it, 07/01/2007.
[6] Tecnica tipica dei testi taoisti.
[7] Gao, op.cit.
[8] Cfr. Yang Lian: “La musicalità (che si perde in traduzione) della lingua cinese è nascosta dietro la percezione visiva dell’immagine”.
[9] Cfr. Maria Cristina Pisciotta, introduzione a Gao, op.cit. “La poesia della lingua non proviene solo dalla tensione che l’espressione dei sentimenti provoca; l’attenzione visiva  e quella uditiva creano insieme la tensione che fa nascere la poesia[…] si devono ascoltare le parole che escono dalla propria penna”.
[10] Cfr. La lingua dell’esilio, da una conversazione tra Gao e Yang Lian, poeta cinese contemporaneo, del 18/09/1993, a Sidney, da Ciò che abbiamo guadagnato dall’esilio.




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