Al coffee-break Gordon finalmente riesce a sgranchirsi le gambe e a
mandare un sms a Zoé, ma spegne
subito dopo il cellulare, scambia poche parole inevitabili e torna, appena può,
in sala senza aspettare la risposta al suo messaggio, come per rimandarne il
piacere a quando, più tardi, da solo, se ne riandrà a casa. Poi, torna in sala, ma cambia posto, si sente irrequieto, come un viaggiatore australiano
incallito … Meno male che, poco dopo, grazie alla presentazione del ciclo dei
“Canti d’amore del Rose River” -primo
intervento della seconda parte della mattinata-
la sua irrequietezza miracolosamente si placa.
-Sono una “magnifica
testimonianza di letteratura orale” [1] questi
canti rituali maschili [2], cantati dallo sciamano-cantore negli incontri sacri dei diversi clan, durante i loro viaggi stagionali
per la caccia. Solo recentemente furono tradotti e trascritti come testi
letterari[3], ad uso e
consumo dei lettori bianchi. Molti canti di altri cicli andarono perduti o
furono dimenticati, altri rielaborati o riadattati nel corso del tempo, ma
fondamentalmente la loro struttura vocale, l’intonazione, l’accompagnamento[4], le sequenze delle strofe dipendono dal
territorio di appartenenza dei clan.
I “Canti d’Amore del Rose River”
celebrano il rito in onore di Kunapipi,
la dea madre della fertilità; sono un meraviglioso canto alla vita, all’amore
come attività sessuale, essenziale per il rinnovamento della specie e per il
rafforzamento della tribù, e hanno oggi
tutto il fascino delle cose perdute nel tempo.
Dai Canti d’Amore del Rose River[5]:
Canto 1
Stanno sempre là, gli uomini mentre scheggiano i boomerang di legno:
uomini del clan del Rose River, del
barramundi[6]
e del pesce gatto …
scaglie di legno schizzano via, modellando i boomerang …
stanno sempre là, donne con le natiche ondeggianti …
uomini che scheggiano e modellano i boomerang, spianandone i lati …
pensano al nonggaru[7],
al rito sacro …
stanno sempre là, gli uomini della tribù del sud;
clan del territorio lungo il Rose River, uomini con il pene sub inciso …
clan del bush[8]
interno …
preparano i boomerang, scheggiando e spianando i lati e la punta della deflorazione …
pensano alla danza e ai riti del Kunapipi[9]…
uomini del clan del Rose River e del dialetto Dalwongu …
pensando alla mandiela, la danza
sacra,
poiché i boomerang sono quasi pronti:
spiriti e gente, uomini subincisi
del clan del Rose River …
pensano, mentre scheggiano i boomerang …
spianando i lati, preparando la punta per le ragazze da deflorare …
clan del territorio lungo il Rose River, tutti riuniti insieme …
in quel rito sacro, al centro del nonggaru.
L’iterazione di parole e suoni è frequente nei
Canti e, quasi ipnotica, ne sottolinea l’atmosfera rituale: i fenomeni
naturali, gli oggetti, gli animali si caricano di prodigiosa forza magica
nell’essere nominati più volte. Anche la storia è raccontata attraverso la
ripetizione di un verso o di una strofa
con piccole, ma significative, aggiunte di contenuto[10] per aumentare l’attesa e la partecipazione
emotiva.
Nei Canti successivi, la storia procede con l’incontro
delle tribù e l’ intreccio delle loro diverse lingue, i preparativi rituali e
l’accoppiamento, in cui l’amore viene cantato nei suoi tre aspetti erotico,
sociale e religioso, il sangue delle ragazze e il seme degli uomini che bagnano
la terra e, infine, le nubi mosse dai monsoni
e squarciate dai lampi che si sciolgono in pioggia per intridere il suolo dei
siti sacri e ricreare la vita.
Canto 16[11]
Nubi rosso sangue sovrastano quei posti all’interno …
Nubi rosse corrusche, nubi tinte di giallo: col sangue e col seme, si spargono
nel cielo …
Nubi rosse si levano quando le ragazze dei clan del barramundi vengono spalmate e dipinte …
Nubi rosse delle ragazze “sub incise”, sopra il posto dei cespugli a
bracciale.
Nubi rosse sopra il riparo dei rami, sopra il sito dell’Oca, il sito
dell’acqua corrente …
Nubi splendono in cielo, sangue che scorre dalle giovani ragazze dei clan
del barramundi …
Che si diffondono nel cielo, nubi rosse e tinte di giallo …
Che splendono sulla campagna, nel sito dei Serpenti, nel sito del Granchio
o del Pesce Gatto …
Sempre là, sangue che sovrasta i clan del barramundi:
sempre là, gente con le natiche ondeggianti.
Nubi rosse provenienti da quel posto, che sovrastano i clan del barramundi:
nel campo sacro, tra i boschetti di bambù: in mezzo al nonggaru all’ombra della Vagina …
splendono su tutto il cielo.
Sangue e cera risplendenti dalle giovani ragazze dei clan del barramundi, del sito dei cespugli a
bracciale.
Canto 21[12]
La lingua del lampo saetta in alto tra le nubi …
Facendole risplendere come ocra rossa, saettando tra le nubi gialle …
Il Lampo Serpente[13] muove la coda, rizzando veloce la testa dalla sua
tana …
Grande Serpente Lampo, che lampeggia tra le nubi:
che esce dal suo campo, percuotendo le nubi
il Serpente, creatura di acqua salata, che genera strisce sottili di lampo».
… e che brucerà tutto, per
permettere al giovane germoglio di svilupparsi.
Dopo l’assaggio dei
magnifici Canti del Rose River,
qualcuno comincia a parlare della produzione aborigena attuale. Con la
rivendicazione della propria identità come appartenenza, le generazioni
metropolitane di origine indigena esprimono il desiderio di riappropriazione
della cultura tradizionale con un gesto di scelta. Prendere la parola, per loro, vuol dire parlare secondo questa prospettiva[14] e, pur essendo una piccola minoranza, infatti,
gli Aborigeni oggi scrivono molto e molto viene pubblicato nei periodici a
grande tiratura o nelle loro pubblicazioni. La poesia, spesso politicamente
orientata, è la forma letteraria più popolare tra loro. È, forse,
il tentativo di esprimere con parole scritte ciò che è essenzialmente
orale e con caratteristiche fonetiche particolari?
In generale, comunque, le
caratteristiche dominanti sono la riscrittura della Storia da un’ottica aborigena,
oppure il riuso di topoi della
letteratura occidentale come ritagli estrapolati dal loro contesto, modificati
o combinati con altri, oppure l’uso di tecniche decostruzioniste per smontare
la rappresentazione tradizionale degli indigeni come rozzi, ingenui,
primitivi.
Fu Oodgeroo (della tribù
dei) Noonnuccal[15] ad introdurre la prospettiva aborigena nella
poesia australiana e ne mostrò per la
prima volta la potenzialità[16]. Alcuni poeti bianchi, come lo stesso Dawe, si
rivelarono curiosi e sensibili al tema, ma furono gli scrittori aborigeni in
lingua inglese a produrre quella poesia amara, contraddittoria, in cui lo
sfruttamento, l’impegno politico, il tema dell’ambiente e il senso di perdita
continuano ad essere i nodi principali, oltre alle caratteristiche comuni ad
altre letterature post-coloniali, quali l’ibridismo (riscrittura),
l’interculturalità e l’intertestualità. Quella che ne risulta non è poesia
della tradizione aborigena né di tradizione europea, ma una simbiosi.
Quando per alcuni la
poesia diventò uno strumento politico di riaffermazione della propria identità
e una forma di consolazione dalle
tristezze della vita, alcuni critici ne negarono il valore letterario. La
stessa Oodgeroo fu accusata di scrivere versi non scorrevoli, con rime talvolta
forzate. D’altronde, tutti gli scrittori di madrelingua diversa dall’Inglese,
scrivono con una profonda ansia linguistica, sottolineata dal fatto che la loro
lingua adottiva è strettamente collegata alla tradizione letteraria dei
colonizzatori. L’ispirazione, le tematiche e la visione del mondo sono
aborigene, ma non la loro tecnica poetica.
Doni [17]
‘Ti porterò l’amore’,
disse il giovane amante,
‘una luce allegra che balli nel tuo occhio scuro.
Porterò orecchini di osso bianco,
e allegre piume di pappagallo per ornare i tuoi capelli ‘
Ma lei scosse semplicemente la testa.
‘Ti metterò un bimbo fra le braccia’, lui disse,
‘ sarà un grande capo, un grande sciamano.
Farò sì che tutti ricordino le canzoni che parlano di te
che tutte le tribù in tutti I campi nomadi
li cantino per sempre.’
Ma lei non fu colpita
‘Ti porterò la luce della luna ferma sulla laguna,
e ruberò per te il canto di tutti gli uccelli,
ti porterò le stelle del cielo,
e ti metterò in mano l’arcobaleno lucente.’
‘No’, disse lei, ‘portami delle larve da mangiare.’
‘una luce allegra che balli nel tuo occhio scuro.
Porterò orecchini di osso bianco,
e allegre piume di pappagallo per ornare i tuoi capelli ‘
Ma lei scosse semplicemente la testa.
‘Ti metterò un bimbo fra le braccia’, lui disse,
‘ sarà un grande capo, un grande sciamano.
Farò sì che tutti ricordino le canzoni che parlano di te
che tutte le tribù in tutti I campi nomadi
li cantino per sempre.’
Ma lei non fu colpita
‘Ti porterò la luce della luna ferma sulla laguna,
e ruberò per te il canto di tutti gli uccelli,
ti porterò le stelle del cielo,
e ti metterò in mano l’arcobaleno lucente.’
‘No’, disse lei, ‘portami delle larve da mangiare.’
Naturalmente, la lettura di
questi lavori deve essere dinamica
perché non solo entra in gioco la relazione fra una molteplicità di sensibilità
soggettive e l’oggetto dei testi, ma anche la diversità dei sistemi culturali.
Non possiamo applicare strutture, criteri e giudizi esterni o avvicinarci a
questi testi con la curiosità del colonialista. Per limitare le storture della
nostra lettura dobbiamo tener conto
della funzione scrittura, perché le
due funzioni sono transculturali. Nei primi scritti aborigeni moderni[18], ci si riferisce alla cultura aborigena come a
qualcosa di passato, cancellato e da salvare per la propria emancipazione
all’interno della società australiana. Oggi, gli autori aborigeni, nel loro uso
estremo del parlato e nella proposta di un vocabolario urbano, nella
predominanza di sonorità tribali intrecciate a slogan pubblicitari e canzoni di
successo, tendono ad essere sempre più
oscuri, in una sorta di colonizzazione al contrario, in cui il lettore bianco è
esterno alla comprensione del testo.
- Gordon Fisher! Sono Susan Kinsella, ci siamo
incontrati al Writers’ week di Adelaide, l’anno scorso a Marzo … - dice
avvicinandosi a lui la bionda del palco. Accanto a lei un’altra bella stanga
bruna con uno sguardo molto volitivo.
Gordon raddrizza un po’ la schiena e tira subito fuori il suo
sorriso accattivante, ma, prima che possa dire qualcosa, l’altra continua a far
lampeggiare i suoi splendidi denti e aggiunge: -Ehr, ti presento la mia compagna: Laura Brentan. Anche lei si
occupa di letteratura … Insegna all’Università di Melbourne … - e poi continua
a raccontargli di qualche conoscenza in comune e della sua rivista letteraria on-line.
È inevitabile continuare a
stare insieme durante la pausa pranzo; a loro si aggiunge qualche altra persona
del giro e la cosa non è poi così male anche per Gordon, che comincia a
sentirsi un po’ meglio e meno abbandonato.
[...]
[1] Cfr. Prefazione di Graziella
Englaro a I sogni cantano l’alba,
op.cit.
[2] Cantati durante cerimonie
pubbliche e condivise dai diversi clan che vi partecipavano, mentre quelli
femminili sono meno conosciuti o addirittura si ignorano perché cantati durante cerimonie segrete e riservate.
[3]“ Il ciclo dei Canti d’Amore del
Rose River, per secoli affidato all’oralità delle tribù del territorio, è
entrato a far parte della storia dei bianchi australiani nel 1946». Perché l’antropologo Ronald Bernett lo vide rappresentare “nella
primitiva, quasi inviolata, terra di Arnhem, nell’estremo nord dell’Australia,
precisamente a Yirrkalla e ne fece la trascrizione». Nel 1960, la vita in quei luoghi cambiò
perché il governo concesse ai bianchi lo sfruttamento dei giacimenti di bauxite
e di uranio lì presenti. Da qui lo sgretolamento della cultura aborigena. (cfr
Graziella Englaro, op.cit.)Per gli aborigeni la celebrazione il racconto del mito è solo azione (canto, performance
teatrale e ballo) non testo.
[4] La maggior parte dei Canti erano
accompagnati dal ‘didgeridoo’, o
Bastone Suonante.
[6] Pesce commestibile, molto comune
nei corsi d’acqua e nei fiumi d’Australia.
[7] Pozzo d’acqua sacro per gli
aborigeni del deserto; nella tradizione rappresenta anche l’utero della Madre
Kunapipi.
[9]Cerimonia che si
basa sul culto, diffuso nella terra di Arnhem,
della dea madre o dea della fertilità Kunapi; il culto è legato alla
fertilità della stagione tropicale delle piogge.
[10] Tecnica della incremental
repetition, tipica delle Ballate medievali europee.
[13] Il Serpente Arcobaleno è
l’Antenato Creatore comune a tutti i territori australiani. La natura di tutti
gli esseri umani è comune, ma per riscoprirla è necessario farsi mangiare dal
Serpente e poi essere rigurgitati, ovvero diventare spirito per rinascere. Il
Serpente Arcobaleno è energia, luce, potere generatore; può distruggere o
curare e custodisce il potere degli Sciamani. La sua voce è il tuono, la sua lingua
fiammeggiante il fulmine, il suo respiro le nubi. Per ciclo del Serpente si
intende il ciclo di Vita-Morte-Rinascita.
[14] Dagli anni
Settanta del secolo scorso il riconoscimento delle origini aborigene diviene
parte integrante della politica culturale dello Stato e con il governo
laburista Keating si avviò, nel 1993, il
programma di Riconciliazione.
[15] La poetessa Kath Walker nasce nel
1920 in quella terra all’estremità meridionale di Moreton Bay, paese della
tribù dei Nonnuccal, che gli Aborigeni chiamano Minjierriba e i Bianchi
Stradbroke . Cambiò il suo nome in O. Nonnuccal nel dicembre del 1987 per
protestare contro le celebrazioni del Bicentenario del 1988. In quell’occasione
disse:”Ho rinunciato al mio nome inglese perchè il Parlamento in Inghilterra ci
ha ignorato per 200 anni. Non sapevano pronunciare e scrivere i nostri nomi
aborigeni e così ce ne hanno dati altri inglesi». Muore nel 1993 a Moongalba,
la scuola che ha fondato nella Stradbroke Island.
[16] La scarsa considerazione di
questa cultura si basava sull’idea dell’Australia, scoperta e occupata nel
1788, come terra nullius (terra di nessuno) e sul fatto che ancora nel 1950
gli aborigeni non erano cittadini australiani. In quegli anni (1953-1957), il
Regno Unito effettuò nel Sud del paese alcuni test atomici segreti che
causarono la contaminazione radioattiva del suolo, la cosiddetta Black Mist (Nebbia Nera). Soltanto nel
1980 la notizia divenne di pubblico dominio. Con il referendum del 1967, gli
aborigeni ottennero il diritto al voto e la parità di salario. Con le lotte
degli anni Sessanta, si cominciò a prendere coscienza del genocidio perpetrato
sulle popolazioni aborigene e scoppiò lo scandalo delle stolen generations (le generazioni rapite), cioè la sottrazione dei
figli ai genitori indigeni e il loro affidamento a famiglie bianche.
[17] Kath Walker, “Doni,” a cura di Susan
Hampton e Kate Llewellyn, in The Penguin
Book of Australian Women Poets, Ringwood, Penguin, 1986; trad. Isabella Nicchiarelli.
[18] “We are going” , raccolta di poesie di Kath Walker, del 1964.
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