... Quando Gordon termina di
leggere ha la sensazione di essere osservato; la posizione del suo sedile,
però, non gli permette grandi movimenti, e allora, quasi immediatamente, si
reimmerge nella lettura dei testi.
È la volta del poeta Bruce Dawe[1] con il suo componimento “Un boia vittoriano
racconta il suo amore”, dove è palese il riaggancio alla tradizione europea. La
poesia è, infatti, un arguto dramatic
monologue alla maniera di Robert Browning [2]. Anche qui, le parole rivelano il carattere del
parlante, suo malgrado; e lo scarto tra
l’atmosfera della poesia e l’atteggiamento di chi parla rende palesemente
ironica la metafora dell’amante-boia[3], almeno nell’immaginario australiano, fatto anche
di un passato di colonia penale. Il boia e il condannato appaiono legati l’uno
all’altro come due sposi, in un contesto fatto di divise, celle, formalità,
tranquillanti, patibolo, giornalisti, dottori e dove l’eros si consuma naturalmente nell’attesa dell’esecuzione della condanna:
Un boia vittoriano racconta il suo amore[4]
Caro, perdona il mio apparirti davanti così,
in tuta sportiva a due pezzi, occhiali da saldatore,
la berretta di stoffa verde, come un’ape grassa
“un’idea dello Stato”.
Sarei venuto
Vestito come uno sposo per queste nozze
Sapendo le volte che hai sognato
Questo momento nella tua cella.
Se devo ora legarti le braccia ai tuoi fianchi
Con una cinghia di cuoio e chiedere se hai qualcosa da dire,
sono formalità di cui vorrei fare a meno,
so che il tuo cuore è troppo calmo in questo momento
per parlare e spero che tu non abbia rifiutato il tranquillante
per orgoglio ostinato;
dovrebbe aver alleviato il tuo dolore per la parola, il respiro,
gli altri fatti connessi che ci distraggono dalla nostra fine.
Lasciaci ora fare un passo. Questo nodo scorsoio
Con cui siamo sposati è un cimelio di famiglia, e che gli ultimi tre
membri della nostra sacra famiglia erano legati, la trave di legno fresco,
come il patibolo intagliato dal peso degli amanti.
Vedi ora lo faccio scivolare sopra il tuo collo, il nodo
sotto la mascella sinistra, con un anello scorsoio
per tenere il nodo a posto …
Così, perfetto.
Lasciami che ti sistemi il cappuccio di tela
Che ti permetterà di anticipare l’oscurità prescritta ufficialmente entro
alcuni secondi.
I giornalisti sono pronti con i bulbi oculari, simili a flash
puntati verso il semplice altare, il dottore sussulta come uno stetoscopio
-Ti hanno concesso un nulla osta di salute come una qualsiasi sposa
moderna-
Con questa molla della botola, dando un colpo, tu entrerai
in una nuova vita che io, purtroppo, non sono adatto a condividere.
Stai certo, sprofonderai nel generoso abbraccio del sentimento pubblico
dolcemente come una foglia portata dall’acqua … - accetta il tuo ruolo,
sentiti scelto.-
Sarai nei titoli del giornale questa sera. Vieni, o mio amato.
-… l’arrivo in Australia, alla
fine degli anni Quaranta del secolo scorso, di un’ondata di nuovi immigranti
provenienti non solo dal Regno Unito, ma soprattutto dalla Grecia, dall’Italia
e dall’Europa Centrale, aiutò a superare
la recente tradizione locale portando nuove immagini e nuovo linguaggio.
Negli anni successivi, poi, si svilupperanno sempre più i caratteri distintivi
della letteratura aussie
contemporanea: il multiculturalismo, la presa di coscienza femminile,
l’attivismo aborigeno e i movimenti di liberazione omosessuale.
Ecco,
sullo schermo, della poetessa Antigone Kefala,[5]
“Donna che lotta per la libertà”
dove ”le calze pesanti nero pece”
e i poveri spazi esotici ( il fornello a gas, la cucina trascurata, il
frigorifero ingiallito) o il Municipio ,con le sue colonne doriche, fanno da
sfondo ad un incontro che interrompe una solitudine dolorosa e storicamente
collocata nel reale:
Aveva combattuto per la libertà, disse
Accendendo il fornello a gas.
Sulle montagne abbiamo combattuto …
Giorni gloriosi …
Testarda nelle parole
Affaticata nella cucina trascurata
Con il frigorifero ingiallito
e la fotografia sbiadita
del marito scomparso.
la casa piena di cupe
stanze soffocate di tappeti.
uscimmo nella bassa veranda
le calze pesanti nero pece
il vestito a trama grezza
il blu indaco di qualche fiore selvaggio
i vicini che ancora dormivano alla domenica.
Ritorna,disse
Guardando la strada ventosa
E il Municipio acquattato
Sulle sue gambe d’elefante,
torna ancora.
-… oppure, il sentire al
femminile che si mostra nello scontro di due logiche in “Dialogo erotico”
di Jennifer Strauss[7]:
Non ti amo
Ma
Non voglio farti stare in pensiero.
Perché ti amo cercherò di fare come chiedi
Ma perché ti amo
E tu non mi ami
Non posso
Non stare in pensiero.
E inoltre
Quanto chiedi
È impossibile
A meno che non
Ti dica che non sono in pensiero
In un modo abbastanza assurdo
Da farti arrabbiare
Così puoi dire
“Ti meriti di stare in pensiero:
non ti amo”
e poi
posso essere come tu dici
(perché ti amo)
Ma voglio che tu prenda questo sul serio.
- ...
oppure, sempre della stessa poetessa, questo scontro dei due sessi
nel loro diverso rapporto con la natura e il linguaggio, dove dietro
alla leggerezza del racconto si svelano temi come la relatività dei valori, l’indeterminatezza
del linguaggio e il corpo come luogo di piacere e realtà:
Discorsi nel Paradiso Terrestre[9]
Nell’Eden
‘ Penso che la chiamerò
giraffa--
Lui parla: lei sorride;
sorride
Sempre, ma non
Farà
scelte--semplicemente
Osserva il grande
giardino
Con infinito piacere.
‘Giraffa!’ dice lui,
enfatico,
indicandogliela; poi
sospira
‘ Non è facile, dover
trovare
Così tanti nomi diversi.
Piena di entusiasmo
allora, lei offre il suo aiuto:
Lui è perplesso.
Beh, in realtà Dio lo ha
detto a me
di dare un nome alle
creature … ma forse
Potresti provare con
qualcosa di piccolo …
‘ Ma le mie idee sono
grandi.’
Lui le prende la mano,
‘Vedremo … Tesoro mio … domani … ‘
L’indomani mentre lei si
crogiola al sole,
Con l’erba che le
solletica i piedi,
Lui chiede :‘ Dove è la
giraffa?’
‘Boh! Qui,’ lei
dice ‘Da qualche parte.’
`
‘Stronzate! Guarda
lì--
(indicando con il dito)
lì, lì,
Niente giraffa.’
‘Ma,
Sicuramente ce ne
saranno altre.’
‘Non è questo il
problema — non c’è più
Se non la vedo, si è
persa,
O qualcos’altro.’
E così Adamo se ne va a
cercarla.
E sebbene il cielo sia
ancora blu,
Le foglie verde scuro,
C’è un vuoto
Uno spazio vuoto nella
creazione--
Quello che conteneva
perfettamente la giraffa, ora è
L’altro, l’assenza, la
mancanza.
Eva si sente, per la
prima volta,
A corto di … parole
( sopra la sua testa sul
ramo
Ma maturo e a portata di
mano)
il frutto
risplende,
Rotondo, carnoso.
Appena stacca lo sguardo dallo
schermo, Gordon ha ancora una volta la stessa sensazione di prima, ma ora
riesce a cogliere con la coda dell’occhio la giovane bionda (australiana?),
piuttosto attraente, che gli sta sorridendo dal palco, come se si conoscessero.
Non riesce minimamente a ricordare dove può averla incontrata o chi sia, e,
dopo un breve cenno di saluto, torna a trincerarsi dietro gli occhiali mentre,
sullo schermo, ora appare:
In piedi accanto a questa stufa nera
Scelgo con cura il legno
Ha la sua importanza come hai detto
Di più ora che la città è vicina e a portata di mano
Scelgo ogni pezzo pensando al calore e alla sua durata
Lo vario a seconda del cibo che cucino
Entrando tra queste pareti
Stasera ridendo con lui
la sua bocca contro la mia
Insuperabile la mia abilità nel forzare
Mi hanno insegnato queste cose
I tuoi anni di duro addestramento
A selezionare a tenere una casa
A escludere
A forzare.
È una poesia di Jennifer Rankin[11], autrice negletta, durante la sua breve vita e
carriera, da critici e antologie, ma riscoperta nel nuovo secolo, grazie alla
sua scrittura densa di effetti visivi e tattili, tesa ad evocare esperienze
multisensoriali, sensazioni simultanee che ricreano l’oggetto, attraverso la
ripetizione di pochi elementi fonici a rappresentare quella realtà uditiva. Una vera abilità nel rendere viva la
qualità del suono. Una ricerca di tutte le potenzialità linguistiche come
estensione del reale.[12] Qualità anche pittorica della sua poesia, unita a
una pratica quasi meditativa[13]. Più che una visualizzazione è piuttosto una
oggettivazione del mondo organico, attraverso l’offerta di frammenti di vita
simultanei.
[...]
[2] Cfr. Robert Browning (1812-1889), poeta inglese
vittoriano. Famoso uno dei suoi monologhi drammatici, in pentametri giambici a
rima baciata, intitolato La mia ultima
duchessa (1845), in cui l’ultimo Duca di Ferrara, Alfonso II d’Este, confessa il suo amore ossessivo e
l’assassinio da lui compiuto ai danni della giovane moglie.
[3] Cfr. Oscar Wilde in La Ballata di
Reading Gaol, dove racconta del
processo e della condanna a morte di un uomo colpevole di aver ucciso la donna
da lui amata, e dove afferma: “Yet each man kills the thing he loves.” (Eppure
ogni uomo uccide la cosa che ama).
[4] Bruce Dawe,”Un boia vittoriano racconta il suo amor”, in Graziella Englaro, I sogni cantano l’alba, Lanfranchi
editore, 1988.
[5] Antigone Kefala nasce a Brǎila, in Romania da genitori greci
nel 1935. Alla fine della seconda guerra mondiale emigra in Nuova Zelanda.In
seguito si trasferisce in Australia dove insegna alla Victoria University di
Melbourne,Victoria,Australia. Inglese è la sua seconda lingua che le fece
sperimentare personalmente la difficoltà di apprendere una nuova lingua al suo
arrivo in Nuova Zelanda prima, e in Australia poi,e che seppe peraltro usare, in seguito, creativamente nel suo
lavoro di scrittura.
[7]Jennifer Strauss,nata Wallace,
nasce nel 1933 a Heywood, Victoria, Australia.
Vive attualmente a Melbourne.
[9] Jennifer Strauss, “Discorsi nel Paradiso Terrestre” in Antipodes,
a Global Journal of Australian/ New Zealand Literature, 1989, Vol.3, N° 1 ; http://www.australianliterature.org. Trad. di Isabella Nicchiarelli.
[10]Jennifer Rankin, “In piedi accanto a questa stufa nera”,
in I
sogni cantano l’alba , op.cit.
[11]Jennifer Rankin, nasce a Sidney
nel 1941 e muore nel 1979.
[12]Per esempio, in questi versi: “… //Then it is the faulting/ the falling in
folds/ the going back into the sea// And this day and again this day/ and again
days//…”,da “Cliffs”, in Collected Poems, 1949 (“…//Poi è il
frangersi/ il ripiegarsi/ il riandare dentro il mare// e questo giorno e ancora
questo giorno e ancora giorni//.». (trad. Isabella Nicchiarelli), dove la f fricativa rappresenta visivamente e concretamente la fluidità in
movimento e il suono del morbido frangersi delle onde sulla superficie degli
scogli. La regolarità ripetuta dissolve la presenza umana, cosicchè non c’è
tramite della voce narrante, ma solo sequenze guidate dal ritmo, dalla
ripetizione e dalla simultaneità. Ci si muove dentro e con il paesaggio.
[13] Non a caso,
studiò le incisioni del popolo di lingua daruk delle Blue Mountains e dell’Hawkesbury
River, che nascono dall’usanza di tracciare linee sulle sacre rocce ogni
volta che si narra una storia.
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