2. Poi a qualcuno venne in mente che, il giorno
prima e durante tutta la settimana, la Tv e i giornali avevano riportato la
notizia dell’ imminente eclisse del
pianeta Venere sul Sole. Niente di che. Almeno così sembrava dalle immagini che
documentavano precedenti eclissi di questo tipo: un puntino nero, una piccola
mosca che sarebbe passata lentamente davanti al disco luminoso della nostra grande
e calda stella, fino a scomparire di nuovo; una mini eclisse, insomma, provocata dal perfetto allineamento del
pianetino con il Sole. Ne avevano parlato come di uno straordinario spettacolo,
un fenomeno raro che si verifica ogni cento anni. Qualcuno in studio aveva,
poi, anche assicurato che avremmo potuto
tutti, qui da noi, osservare quel fenomenale passaggio alle prime luci dell’alba -sia pure, soltanto gli ultimi due contatti, cioè tra le 5.45 e le 6.45
circa del giorno fissato.
Tutti allora, almeno a casa
nostra, avevamo pensato che sarebbe stato il giorno giusto per Labriola. Da
anni, quando non parlava del cagnetto, ormai invecchiato, non perdeva -con il
suo fare gentile e discreto-l’occasione di parlare della sua passione. Era
infatti - credo da sempre- un astrofilo. Mite ascoltatore solitamente, Labriola
riusciva perfino a pontificare quando si trattava di astronomia: - … Mi creda, l'astronomia
è l'unica disciplina scientifica che può essere fatta a livello amatoriale. Ormai,
lo studio dei pianeti e delle comete è
roba di noi astrofili perché gli osservatori
astronomici professionisti si occupano di ben altro oggi giorno…- e così via.
Ma andiamo con ordine, perché all’ inizio la storia l’ho sentita raccontare da mio marito che era andato a controllare
l’antenna della Tv su nel terrazzo condominiale. Proprio la mattina dell’eclisse, perché, appena svegli, ci
era venuta la voglia di vedere le novità su RAINews24. Macchè.
- Deve aver pulito Immacolata lì dietro! sicuramente,ieri, ha staccato un filo! … ma no, qui è a posto. Stai
a vedere che qualcuno,allora, ha attaccato il filo del bucato all’antenna! - aveva detto- Vado a
vedere. Sicuramente ci trovo Labriola col telescopio.
Quando, poi, era arrivato su, aveva
trovato la porta del terrazzo aperta e la Gattara, insolitamente silenziosa,
che stava stendendo i panni. Per il resto tutto come al solito: un battaglione di
parabole e antenne, il casotto degli ex-cassoni dell’acqua, resti di cemento e
materiali da costruzione, fili per bucato e mollette di legno o di plastica
scolorite dal sole e dalle piogge acide, qualche escremento di piccione a terra
insieme a quelli più recenti e importanti dei gabbiani che hanno ormai da
qualche anno risalito il fiume in cerca di cibo in città. Dopo un po’ era
arrivato anche Labriola a riprendere i suoi strumenti e a recuperare il
telescopio che effettivamente era stato montato poco più in là per
l’osservazione alle prime luci dell’alba.
Insomma, dopo qualche sguardo
circospetto e con un tono di voce inaspettatamente basso, pare che la Gattara si
fosse confidata con loro.
- Ecco, vedete, la cosa è che c’è uno qui, da stamattina, penso.Una specie di uomo, ma è buono. Sembra buono e
ascolta. Dico che non ci dobbiamo
fare male, a lui. Ora ve lo mostro, ma non è di qui. Non è della Terra. Penso
che viene dal cielo e lei, dottor Labriola, mi darà ragione. Venite, venite che
ve lo mostro. Forse ha bisogno di aiuto. Ma non voglio dirlo
all’Amministratore: quello pensa solo alle cose sue!
Pare, anche, che questa specie d’uomo si fosse avvicinato a
porgerle le mollette cadute mentre stava appendendo un paio di camice ad
asciugare, e che l’avesse guardata con tale dolcezza che la paura per
quell’imprevisto incontro si era subito tramutata per la signora in una sorta
di piacevole scoperta.
L’essere che si presentò agli
occhi di Labriola e di Mio Marito era mitemente seduto a terra dietro il
casotto, i piedi inaspettatamente grandi per la sua altezza, una maglietta o
una corta casacca biancastra con la scritta KAN-DO in rosso sul davanti e che
copriva l’inguine, un’ abrasione piuttosto vistosa su una coscia. La Gattara
aveva anche raccontato che, appena aveva sfiorato la mano dell’essere, durante
lo scambio di pinze per il bucato, le erano scomparse improvvisamente la nausea, che da sempre l’aveva tormentata al mattino dopo colazione, e la sua stagionale difficoltà
a respirare.
Pare, inoltre, -se è vero quello
che mi ha raccontato Mio Marito- che dopo un po’ fosse arrivato anche Serranti,
che aveva smesso di innaffiare perché aveva sentito dei rumori. – Tutti svegli,
eh?
Fortunatamente, però, i tre complici del
momento lo avevano rassicurato con poche parole: - Tutto a posto, Rag. Serranti.
Chiudiamo e scendiamo.
Avevano deciso di non dirgli
nulla. La Gattara non chiamò - proprio come aveva detto da subito- nemmeno l’Amministratore
perché –come confessò poi- aveva provato una profonda pietà per quell’essere
che l’ascoltava senza opporre resistenza. Anzi, da allora, nei giorni seguenti la
si intravedeva, furtiva, che saliva in ascensore verso i piani alti, con dei vassoietti
che lasciavano un buon odore di melanzane fritte e arancini alla siciliana. E
non fu la sola perché anche Labriola risalì dopo un po’ con un tappetino e
altri attrezzi da campeggio che i figli ormai grandi avevano lasciato a casa.
Quel terrazzo, solitamente poco frequentato, divenne la destinazione per brevi
incursioni, timidi tentativi di contatto,
discreti approvvigionamenti. Con fare guardingo e con modi da carbonari,
tentammo – anche io, che ormai sapevo dell’esistenza di Kan-Do- di proteggere
quella misteriosa presenza in attesa di una qualche decisione da parte del
nostro stesso ristretto gruppo di scopritori dell’essere. Durante quegli
incontri in terrazza, parlavamo a bassa voce per non allertare Serranti e intanto
continuavamo a meravigliarci di come quell’essere potesse sopravvivere,
abituato, come pensavamo che fosse, alla densa atmosfera venusiana.
Sembravano offerte votive le
nostre e il piccolo e potente Kan-Do aveva il potere di ascoltarci e farci star
bene nell’anima e nel corpo. Come questuanti, spesso salivamo in alto ognuno
per conto proprio, forse un po’ vergognosi e imbarazzati, e chiedemmo le nostre
grazie. La Gattara portava il cibo e si sentiva ascoltata e sopportata, Labriola
poté riempire i suoi momenti di solitudine senza critiche e sensi di colpa,
mentre studiava la traiettoria che poteva aver seguito Kan-Do per giungere fino
a noi. Forse anche io e mio marito chiedemmo qualcosa a quell’essere: non la
stessa cosa, probabilmente, ma da quel giorno fummo tutti e due più contenti. (isabnic,
2012)
(CONTINUA)