BORSITE (2)
"Sì, ho quasi sessant’anni, come il capitano Achab, e il mio ginocchio sinistro da qualche giorno si è fermato. Non riesco a tenderlo, né a piegarlo. Ho un dolore lancinante, continuo e pulsante nella parte interna del ginocchio. Forse è anche un po’ gonfio e arrossato.
Insomma, sono immobilizzata a letto. Meno male che in questa stanza ci sono due finestre che quasi si fronteggiano, e posso seguire il tempo che passa osservando il variare della luce sulle facciate dei palazzi dirimpetto, mentre cerco di indovinare la vita in quegli interni misteriosi improvvisamente illuminati dietro le tendine poco discoste e poi perduti all’ abbassarsi nervoso delle persiane col calare del buio. Mi alzo solo per andare in bagno aiutandomi con il bastone del mocho e una sedia che trascino dietro per sicurezza. Mangio a letto sul vecchio vassoio di plastica rossa con le zampe, dove è rimasto ancora qualche sticker, ricordo di antiche influenze delle mie figlie.
Qualche tempo fa ho subito una piccola operazione alle gambe e fasciandomi dall’inguine in giù, il chirurgo dai modi galanti mi aveva detto: “Non se le tolga per una settimana e stasera si faccia coccolare.” Tuttavia, non c’erano state coccole allora e forse il mio corpo ora si sta riprendendo una rivincita.
Stanotte è più che mai una notte buia e tempestosa . Squarci luminosi e freddi interrompono l’oscurità filtrando tra le stecche della serrande, che rabbrividiscono per il vento, insieme a borbottii, boati, scariche improvvise e rumore di pioggia fitta fitta. Alcune di queste scariche sono forti e sembrano cadere vicino, seguite da allarmi che entrano in funzione uno dopo l’altro in un coro di gemiti senza fine.Povere piante sul balcone! Povere piante abbandonate da giorni e poveri bulbi messi a dimora secondo istruzioni e ormai probabilmente e inesorabilmente fradici!
Poi alle quattro uno squillo di telefono solitario. Forse quello di stanotte era un segnale, una sollecitazione.Chissà.
Dormo qui, da sola. Mi piace dormire in stanze non completamente oscurate e sapere quando arriva il giorno. Ma stasera questi lampi sono violenti e continui. Sento il vento che batte con violenza il telo di plastica sul balcone.
... Luce forte e calda, vento che solleva granelli di sabbia che bombardano la schiena arrossata dal sole. La spiaggia è una ripida discesa di rena fine e dorata, siamo soli e l’acqua del mare sembra fremere sotto il soffio del vento. Ho addosso un buffo costumino di lana con bretelle. La mamma ride felice mostrando i bei denti alla macchine fotografica del papà e io alle sue spalle piango. Mi sento sola e ho paura. Sicilia 1954, forse. Il mondo dei ricordi è ancora in bianco e nero, con i bordi frastagliati.
Si è sturato improvvisamente il passato e non è brutto, come temevo. E’ come rivedere un parente che da tempo non si frequenta più. Sorridi affettuosamente a certe immagini o parole che vengono in superficie senza un ordine apparente. Poi, appena ti lasci prendere da una di queste, altre cento appaiono accanto. Aggiusto il cuscino e mi racconto la mia storia.
Della Sicilia, Calabetta per essere esatti, non ricordo molto: un appartamento vuoto in cima a tante scale, papà che mi porta in braccio addormentata, io piccolina a letto tra i miei genitori con la radio accesa mentre tocco i lobi delle loro orecchie. Un piacere segreto da praticare ancora in solitaria. Poi un’altra casa, con veri mobili e un ombrellino rosso con il manico di osso a forma di testa di papera. Un viaggio in treno con il nonno, dalla Sicilia a Tarnasco, durante il quale rimango chiusa nella toilette. Terrorizzata dal rumore, dal dondolio, dall’indifferenza di quel treno che continuava a correre e fischiare coprendo la mia voce in cerca di aiuto, mi ferisco a una mano per cercare di aprire e piango. Arrivati in paese trovammo la neve: non l’avevo mai vista, e mi sembrò così accogliente che mi ci buttai dentro e tentai di nuotare dentro a quel mare fermo e silenzioso.
(isabnic2007)
-CONTINUA-
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