SALAMBO’(1863) di G. Flaubert
A proposito di discorso narrativo, durante uno degli incontri di scrittura
creativa, Fausto Venturoli ci ricordava l’importanza di alcune strategie usate dagli autori, quali scegliere il registro o la tonalità, o anche optare
per un adeguamento lessicale (purché non esagerato e eccessivamente falso). Per esempio, quali strategie ha usato Flaubert sul piano del discorso per Madame Bovary e quali per Salambò? Sicuramente una scelta di
registri diversi. Nell’ opera in cui doveva narrare di gente di provincia,
persone ordinarie, la lingua scelta fu
per l’appunto una lingua semplice, ordinaria; nell’altra, invece, dove la
narrazione utilizzava testi storici, cronache antiche e opere classiche, ed era piena di riferimenti a miti, religioni
del passato e rituali, l’Autore scelse di usare una lingua ricca e colorata,
con una puntigliosa nomenclatura di pietre preziose, armi, profumi, vesti. Una
lingua, dunque, evocativa di un ambiente che si deve creare perché lontano
dall’esperienza diretta del lettore, non il quotidiano di una storia
contemporanea.
Nel rileggere Salambò, ho
trovato la potenza, quasi incantatoria, della lista e la grandiosità di sapore
classico nel racconto delle battaglie e degli scontri. Non sono riuscita a
riconoscere - ho letto il testo naturalmente in traduzione- una delle caratteristiche
stilistiche di Flaubert segnalata da Fausto, ovvero il suo particolare uso
dell’imperfetto per raccontare un’azione che si svolge sotto i nostri occhi o
per sottolineare particolari momenti psicologici dei personaggi.
Pare che lo stesso Flaubert,
stanco della volgarità della Bovary e dei costumi borghesi del suo tempo che la
signora rappresentava, confidò a un’amica di voler cominciare un’opera
completamente diversa e probabilmente votata all’insuccesso, ma importante per
lui. In realtà Salambò fu un gran
successo sia di estimatori che di denigratori. Nell’introduzione alla edizione
digitale BUR (2013), Carlo Bo ipotizza che il cambio di registro fosse un
desiderio dell’Autore già ai tempi della faticosa composizione della Bovary, il desiderio cioè di lavorare
sul lontanissimo passato con la possibilità di poterlo reinventare. Lunghe e
puntigliose furono le ricerche sull’argomento, le verifiche e le riscritture. C’era
parecchio da manipolare poiché le fonti erano piuttosto limitate e si trovò a
colmare i vuoti della Storia integrando per induzione e ricordi personali e
sensazioni (soggiorno a Tunisi e escursione alle rovine di Cartagine), o aggiungendo informazioni di archeologia,
storia e filosofia. Un’enorme attenzione al particolare a discapito della
psicologia dei personaggi. Una storia quasi senza personaggi, in realtà, e senza
vero dramma interiore. Piuttosto un gusto per il particolare, la decorazione,
l’uso abile di luci e sonorità che tanto piacerà ai simbolisti. Un racconto
fantastico e visionario, un accumulo di informazioni pieni di suggestione, incurante della verosimiglianza e della
verità storica, e che conquisterà per questo anche i surrealisti. I personaggi
rimangono come specchi che riflettono e rifrangono gli oggetti di arredo, i
colori, i costumi, le armi, gli animali, gli strumenti di guerra e di culto
religioso, in un mondo di stoffe, gioielli, profumi, pettinature, calzari,
unguenti, frutti, vini, etc etc. Sono simulacri, zombi meravigliosamente fatti
rivivere per il tempo del racconto, che subiscono sentimenti e passioni quasi
fossero di altri. Tutto è violento, esagerato, ciò che davvero interessa
Flaubert è lo stravolgimento della realtà, far lavorare senza freno la sua
immaginazione amplificando mostruosamente le informazioni, rendendo la realtà
soprattutto spettacolare: come dimenticare il banchetto dei barbari all’inizio
del romanzo e la prima apparizione di Salambò, la vergine- sacerdotessa; oppure,
il mercenario Mathos che ruba il velo-nuvola della dea dopo un rocambolesco
arrivo a Cartagine attraverso l’acquedotto – quasi un bagno purificatore blasfemo-
e ne vorrebbe fare dono a Salambò languidamente
addormentata tra sete e cuscini nella sua camera fiabesca, quasi come quella
della Morte di Sardanapalo di Delacroix
(sia pure meno affollata) . Ma le citazioni potrebbero continuare ancora a
lungo. Sono così poderose le immagini che per parecchio tempo, dopo aver finito
la lettura, rimangono in testa urla, clamori e cozzi di metalli, l’odore acre
dei roghi e dei sacrifici a Moloch insieme ai profumi e agli incensi delle
stanze, lo sfavillio di cupole di bronzo e collari di diamanti, etc etc.
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La morte di Sardanapalo (1827) di Eugène Delacroix, olio su tela, Musée du Louvre di Parigi. |
Flaubert avrebbe voluto
ricostruire la storia di un mondo perduto, invece ne ha ricreato un’ altro,
assolutamente nuovo nel suo essere mai esistito. Ha raccontato l’ignoto, ha
preferito alla realtà la capacità creativa della parola, giungendo alla calma
appagante e forte della poesia che non ha bisogno di essere credibile.
(isabnic2015)
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Salambò con Matho, Ti
amo! ti amo
(1895)
di Théodore Rivière
in
bronzo, avorio, oro e turchesi
Grand
Palais (Musée d'Orsay) Parigi |
Gustave Flaubert,
SALAMBO’, introduzione di Carlo Bo; traduzione
di Ezio Fischetti; appendice e note a cura di Giovan Battista Angioletti. BUR,
prima edizione digitale, 2013.