Non poté fare a meno di dormire due giornate
integrali, dopo quella notte insonne. Perse tutte le lezioni del lunedì,
laboratorio compreso; il martedì pomeriggio le provette lo guardarono di
sguincio. Nel frattempo, lo avvertì Linda per telefono, erano state pubblicate
online le foto della serata, quelle del fotografo ufficiale; la voce dell'amica
squillava fremente, e Rask stentò a comprendere
le ragioni di tanta eccitazione. “Devi vederle!”. Connettendosi,
fiaccamente, la sera, si preparò ad esaminare quei prodigi in digitale: una
carrellata di immagini truci, faccioni pressati di folla e di alcool, riposava
soddisfatta su pagina web. Anticipata -poteva vederlo- da messaggi incalzanti
delle ore precedenti: “allora, le foto?”, “daje con le foto”, “vogliamo le
foto”; un'ansia da non credersi. Seguita -visibile anche questo- da commenti
superflui d'ogni risma e natura. Eccoli, i veri partecipanti: sorridenti o
meno, avevano garanzia di esserci davvero stati. Rask sapeva di esserci stato,
lo ricordava. Che bisogno c'era di averne conferma? Ricordava, poteva
ricostruire tutto, i particolari..quasi tutto.
Forse l'alcool poteva averlo illuso, confuso, forse rammentava male,
magari dormiva... In effetti, lui, Rask, non figurava. Indossare un magliettone
nero accanto a Linda equivaleva a non essere un artista accanto ad Aldo.
Peggio, anzi, senza dubbio.
Tuttavia vi tornò. Linda ne fu contenta,
raggiante: gli prestò una camicia a quadri del fratello e gli suggerì di
lavarsi i capelli. Seguite le istruzioni, l'amica lo venne a prendere con
capelli rosso fuoco; non se ne stupì. Si stupì invece, una volta giunti al
locale, di riconoscere tutte le facce che gli capitarono davanti -trucco o
foulard diverso, ma di fatto le stesse- tutte, o quasi tutte, le canzoni che lo
fecero saltellare senza ragione. Stupefacente, ma rassicurante. Bevve molto,
ballò -parlare non era necessario- e non un impulso dormiente si presentò al
suo sistema nervoso.
Quelle canzoni -e facce annesse- cominciarono a
vorticargli intorno benigne: quei motivetti spesso facili gli riecheggiavano
amichevoli in testa, e lo tenevano sveglio. Prese a sentirsi vivo, o quasi. In
palestra, una mattina, scambiò un commento sul tempo con un energumeno sui
trenta.
Non aveva ancora accesso al giro ufficiale dei
saluti, ma riconosceva ogni volto, ogni naso, ogni scelta cromatica di smalto e
di belletto. Poteva controllare online -le foto caricate a documentare ogni
sabato sera- carpire dettagli e fissare nomi propri. Iniziava a orientarsi, a
tentoni, nell'intrico frondoso di quei nomi a cantilena. La tavola degli
elementi gli appariva scialba, al confronto. Ancora non compariva nelle foto
ufficiali -notò però quello che era probabilmente un suo polso, una volta, in
un angolo- ma si lasciò trascinare da Linda in una bottega di abiti usati.
Persino lì si imbatterono in alcune solite facce -forse solo lievemente
deformi, alla luce del giorno- e finì per buttar via banconote in una casacca
larga molto Sixties. Incoraggiato da Linda, naturale. Lei uscì fuori con tre
borse lerce e due vestiti putridi, com'era ovvio, con quei “prezzi
convenienti!”. Rask si chiedeva spesso da dove le arrivassero quegli eserciti
di denaro da buttare al macero: ogni volta che provava a chiamarla la
sorprendeva in preda a cure di estetiste esperte o di artisti della chioma. “Ma
sai, le altre ci spendono molto di più”. Toccava essere perfetti.
La perfezione era indispensabile per ascoltare il
sabato quelle canzoni a rotazione, per prepararsi a fissare nei bulbi quei
volti fiaccati da acquisti in vestiario. A volte rimpiangeva le scarpe sdrucite
in voga sotto cassa. Rimpiangeva il terriccio fresco e le pietre tanto amate:
magmatiche o sedimentarie, che importa? Qui solo pigmenti di smalto. Gli
mancava la materia, la natura, il metallo: e ricordò d'un tratto il suo esonero
di fisica. Doveva studiare -ormai riusciva a non dormire, quasi- e presentarsi
lunedì mattina ore 9: questo sabato non sarebbe potuto esserci. Linda lo
criticò e gli attaccò il telefono in faccia, con rabbia: “non ti comporti
seriamente, allora; vieni almeno per un'oretta, sù”. Rask non seppe cogliere la
gravità della situazione.
(Emilio Smunti2012)
- CONTINUA-
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