Colpiscono i tanti articoli affettuosi, commossi e pieni di rimpianto che ho letto, in questi
due giorni, dopo la scomparsa del poeta libraio Roberto Roversi.
Un bel tipo, davvero.
Le biografie ce lo raccontano partigiano, direttore di giornale, militante
politico, promotore e editore di riviste letterarie, libraio antiquario, scrittore
di romanzi e racconti, poeta e ‘paroliere’. Libero, soprattutto. Amato da tanti, anche
parecchio più giovani di lui e che vivono lontano dalla sua Bologna, “ calda di
torri diroccate o di ombra di torri”[1]
dove “[…] la piazza del mercato è vecchia/ e interroga il passato”[2].
Dopo aver pubblicato inizialmente presso editori importanti,
Roversi cercò di trovare forme alternative di diffusione dei suoi versi e decise così di riprodurli e distribuirli in
proprio, usando il ciclostile e inviandoli a chi era davvero interessato a leggerli.
Nei suoi versi in forma di poema, ha raccontato la delusione
del grande sogno della Resistenza, l’Italia della Ricostruzione e degli ideali
compromessi. Roberto Roversi non credeva allo sperimentalismo come semplice
gioco verbale da intellettuale che “si compiace al caffè”. “La parola – ha scritto-
è un pugnale, penetra profondo.”[3]
, per poi rammaricarsi dopo qualche verso: “La parola che usi è scarna, povera,/ risuona,
suona è un colpo di martello/ solo per un chilometro di strada./ Qualche
orecchio l’ascolta. E’ tutto, bada/ […]/ […] cupo mi abbatto / sulla piazza meschina/ in cui
con occhi lacrimosi china/ la faccia stanca un santo.”[4]
Le note di delusione diventano rivendicazione di un diritto a lavorare sotto traccia, nascosto,
lontano dalla grancassa della nuova società dell’apparire.
III. [5]
Una strada non c’è. C’è una strada (un fiume), c’è un
fiume
– credo che ci sia, è così – un profondo
fosso, una siepe, un fiore d’albero
sotto il giardino spappolato, c’è il pianto
di una bambina nuda col tracoma c’è
il sangue di un uomo per terra decapitato
la milza di un animale sul bancone di legno;
c’è il filo bianco (un rosso filo) che stende
dal labbro di chi parla fino a una casa laggiù;
una carta su cui il dito striscia con raccapriccio;
l’orgasmo della donna fra l’erba affumicata
da un vecchio incendio, un bombardiere che non si vede.
Vilipendio di istituzioni (di gravi legittime colpe).
Non c’è più l’eco, il suono non c’è, il percuotere
dell’ultimo dissenso, le voci
placate (finalmente?), i refusi scomposti;
ribolle un altro piombo per più degne canzoni
– la caratteristica del tempo è una misurata indifferenza,
tutto interessa un poco per brevissimo tempo,
ogni cosa muore, deperisce, sé consuma e sfoltisce
nel forno della memoria.
Ma continuò a credere che si può ancora –davvero- aspettarci qualcosa:
90 [6]
[…]
Contro chi proponeva nella lontananza
resistenza a oltranza?
Fra macerie mi siedo dice Guevara osservo
la giovinezza del mondo vorrei
cantare il ritorno dei giorni.
Penso un raduno nella pianura padana dice
Chet Baker tutti si incontrano sono amici si aspettano
parlano ascoltano
Woodstock sul fiume Po dopo il ponte a Ferrara
giallo impaziente il fiume fiuta la foce si inarca.
La pianura è terra di un silenzio perduto
e nelle nebbie terribili dice Varzi correvo di notte
la strada non finisce mai la luce folle dei fari.
Se la partita è finita dice il giocatore di calcio
vorrei volare con le rondini sopra i filari respirare
con una biscia viva
mi viene in mente che posso sfiorare le foglie senza
abbandonare la terra.
Nei pozzi di petrolio con le fiamme lucidano la luna nera
gridano le rondini in arrivo dalla frontiera del cielo.
Le conto dice il signor D’Aubigné cadono una per una sono
palle di fuoco
ma noi seduti fra pietre
possiamo ancora aspettare un altro futuro.
(isabnic 2012)
[1] R. Roversi, da L’Italia
sepolta sotto la neve/ Parte Prima (113), v 13.
[2] R. Roversi, da L’Italia
sepolta sotto la neve / Premessa (35), vv 16-17.
[3] R. Roversi da
DOPO CAMPOFORMIO, in Il sogno di
Costantino.
[4] R. Roversi, ibidem
[5] R. Roversi, da da Decima descrizione in atto, da LE
DESCRIZIONI IN ATTO (1969-1985); su http://www.poesia.it/servizi/ROVERSI.pdf
[6] R. Roversi, da LA
PARTITA DI CALCIO (2001)
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