CI GUARDANO E CI ASCOLTANO
Eh, sì. Sembra un papero quando arranca sulla
sabbia. Bianchiccio, impacciato, un po’ depresso. Guarda a terra, forse è colpa
delle sue scarpe strane… larghe? strette? Comunque, inadatte. Come se stesse
prendendo un autobus e si accorgesse di essersi dimenticato i pantaloni. Spesso
rimango indietro a ciondolare. Lui si volta, mi fa un gesto. Lo raggiungo lentamente.
- - Ma che fai? Ti
rifermi?
La spiaggia appare ormai quasi vuota. Qualcuno è tornato a casa, qualcun altro è
risalito verso i punti ristoro in legno lungo la strada che costeggia la
spiaggia. Laggiù, un puntino nero lontano, poi il ricciolo della risacca. A
sinistra un tubo di metallo. Mi piace correre contro vento. Un tempo anche lui
l’amava.
Ora ci fermiamo; c’è solo il mare davanti a
noi. Una sottile linea azzurra con uno spumoso cuore bianco, che divide il
cielo dalla spiaggia. Quel puntino lontano ora sta entrando o uscendo
dall’acqua. Più vicino, il tubo di metallo ricurvo, il bracciolo della sdraio
scolorita. La mano che stringe il giornale piegato, poggiato sul ginocchio. Il
Papero si è addormentato e fermo sul suo povero trono vola chissà dove e chissà
quanto lontano. Anche io mi allungo all’ombra dell’ombrellone che lui ha
piazzato e cerco un po’ di fresco.
Mi guardo intorno e, da qui, intravedo colori
di asciugamani e parei a terra. Qualcuno si è messo accanto a noi. E poi, un altro
puntino nero nell’acqua, un ”vulcano” di
sabbia sulla riva. Non fuma, però; dorme anche il vulcano.
Ora il Papero si è svegliato, ma –io lo so- continua
a sognare leggendo un libro fitto di parole. Gli occhiali, con la montatura
rossa trasparente, risaltano sui capelli tagliati da poco e irrimediabilmente
ingrigiti. Le strisce della tela della sdraio si scontrano con quelle
altrettanto scolorite del suo asciugamano sulla sabbia, e quest’ultima si
confonde con la peluria delle sue braccia. Forse il Papero sta sorridendo perduto chissà dove e chissà
quanto lontano, mentre il mare è immobile. Io mi allungo. Comincio a avere
sete.
Quella montagna celestina sul mare, laggiù in
fondo, è la stessa dove Ulisse in cerca di cibo si ritrovò “con compagni imporcellati a desiderare la maga
ammaliatrice”. Me lo ha detto lui l’altra volta. Oggi non racconta niente. Sta
lì, immusonito. Non parla.
Dietro di noi rari bagnanti, qualche casa
rubata in barba al demanio, cartelloni di avvisi di balneazione non sorvegliata
e orme di uomini e gabbiani. La coppia sdraiata a prendere l’ultimo sole in
riva al mare tiene i loro funerei zainetti ritti a terra, vicini alla testa,
come pietre tombali. Lei, a pancia sotto, dea della terra a covare i semi della futura progenie, forse
guarda di soppiatto, mentre lui, naso all’aria, sembra concentrato a solcare
strade siderali.
Ora il Papero scrive sul suo taccuino nero;
il libro chiuso con la foto dell’autore in copertina sulle ginocchia, coperte
dal vecchio asciugamano come tardiva difesa ai raggi del sole ancora cocenti. Il mare pare sempre lo stesso. Forse
è dipinto. “Come una nave dipinta su un mare dipinto”- sempre lui me lo ha
detto, anzi l’ha letto. Bello.
Mmmm… forse non mi dispiacerebbe entrare in
acqua, ma lui oggi se la prende comoda, anche se è tardi.
Alla sua sinistra, la coppia funerea non c’è
più, altri hanno preso il loro posto. Un jogger
in maglietta scura si avvicina mentre un gruppo di giovani sguazza
spumeggiando, dandosi spintoni e nascondendo la testa sott’acqua. Le loro voci,
risate, tonfi e sfottò urlati contro il
mondo rimbalzano sulla nuca del Papero
scrivente. Il tubo metallico con la sua tela sbiadita li tiene lontani, cerchio
magico, muro trasparente. Ma il suo orecchio è vigile, pronto a cogliere il
silenzio.
Il jogger,
occhiali da sole, sguardo a terra, ventre prominente, passa affaticato davanti
al nostro ombrellone:
- ‘giorno!
- ‘giorno!
I
giovani bagnanti, ancora a spintonarsi stancamente, recuperano la riva. Una
donna dai capelli rossi sotto un ombrellone variopinto si scuote e si alza a
sedere. Si volta verso qui come se si sentisse osservata.
Penso che se potessi riderei, mentre sto con il muso spalmato sulla sacca di plastica,
perché non è lei che guardo. La sabbia appiccicata alla pelliccia comincia a
darmi prurito. E poi vorrei bere.
Bauuuuuuuuuuuuuuuuuuu!
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