5. Quando arrivai al cancello della Pharmacol, dove lavoravo, ancora pioveva, ma
il peggio sembrava passato. Vidi in
fondo allo slargo Daniela che aveva già parcheggiato. Sotto un ombrellino rosso,
cercava di evitare le pozzanghere dribblando pericolosamente sulle scarpe a
tacco alto, per poi scomparire tra i cristalli dell’ingresso. Pensai di
riuscire a controllare meglio tutte le ansie e le emozioni, che mi battevano
alle tempie, simulando una nottata difficile. Appena la raggiunsi, mi guardò
preoccupata e dritto in faccia con quegli occhi indifesi che mi avevano colpito
fin dal primo giorno in cui me l’avevano presentata durante una pausa al caffè
aziendale: - Ciao, amore! buongiorno. Ma che c’è? come stai? Non hai dormito
bene?
Aveva notato che la mia andatura era più
claudicante del solito, lo sguardo più pensieroso. Lo spray nasale mi aiutò a
distrarre la sua attenzione. -Ciao, Dani. Sì, ho dormito poco. Non respiro bene…
Dai, ci vediamo dopo in mensa.
La conoscevo ormai da qualche anno, non le
avevo promesso niente, ma mi si era legata con dedizione e affetto non aspettandosi
nulla in cambio. Aveva superato i
cinquanta e aveva ancora un bel corpo, oltre a tanta voglia di vivere. C’era
stato un marito, c’erano state altre storie nella sua vita. Era una donna
generosa, che aveva continuato a dare amore e a sperare. Non aveva mai fatto
molte domande, sembrava intuire che ci doveva essere una storia un po’complicata
alle mie spalle, ma rispettava i miei silenzi, il desiderio di momenti di solitudine, le mie assenze senza
racconti durante le ferie estive. Durante le serate con i colleghi al
ristorante ci sedevamo accanto, poi la riaccompagnavo a casa. Mi piaceva
ascoltare il suono della sua voce e la sua risata schietta che finiva con un
sospiro come se non volesse strafare. Qualche
volta la sera veniva a trovarmi nel mio appartamento, più spesso mi capitava di
cenare da lei e, quando succedeva, di solito mi fermavo per un paio d’ore a
chiacchierare, guardare un film e fare
l’amore, e per tutti e due sembrava ogni volta come se fosse l’ultima. Sapeva
che per me c’era una famiglia da qualche parte. Ricordo che fu lei a invitarmi
a salire la prima volta:- Vieni, è ancora presto. Il tuo pappagallo stasera
aspetterà. Sono sicura che non ti metterà il muso… Se non vuoi proprio bere,
vorrà dire che ti preparerò una tisana!- Aveva un buon profumo e nella penombra
dell’abitacolo della macchina avevo pensato per un attimo che fosse Marìa
Concepciòn a posare la mano leggera sul mio braccio. Come aveva fatto a capire
che quella sera mi sentivo più solo che mai?
Alla fine di quel mattino di
febbraio, in cui Manlio Giacinti sembrò scomparire dalla mia vita per sempre, quando
a pranzo me la trovai al fianco con il suo vassoio, avrei voluto stringermi a
lei, abbandonarmi tra le sue braccia e trovare soltanto un po’ di requie.
Quanto ancora dovevo pagare per le mie scelte sbagliate? Quanto per la mia vigliaccheria?
-Dani, vieni da me stasera? Ceniamo a casa mia?, avevo bisogno di qualcuno.
Avevo bisogno di lei. Come avrei fatto ad affrontare il ritorno a Via Gianturco
quella sera? Avevo ricevuto a metà mattinata una telefonata dal portiere che mi
aveva comunicato la notizia. Non era stato difficile simulare una qualche
sorpresa ed esprimere un tiepido rammarico, ma quel corpo riverso a terra mi si
confondeva in testa con altri corpi a terra di anni prima e le gocce nebulizzate
di Kapparinol non sarebbero bastate a farmi respirare meglio. Insieme decidemmo
che lei mi avrebbe seguito con la sua auto e avrebbe parcheggiato fuori del
garage, come sempre. Forse anche io avrei fatto meglio a lasciar fuori la mia
Punto. Chissà se la polizia aveva transennato, oltre alla zona del ritrovamento,
anche le aree lì accanto? Continuai ad arrovellarmi per tutto il pomeriggio, fingendo
di portare avanti il lavoro: ‘Avranno già
chiesto ai vicini informazioni su di me, abitudini, frequentazioni... Purchè
non risalgano ai tempi del liceo!. Ma allora ero Mauro. Mauro Lenzi, cittadino
italiano, nato a Parma e residente a Roma. Ora sono un cittadino venezuelano,
perito chimico, dipendente di un’associata della Pharmacol, qui, in questa
città, a completare gli ultimi anni di lavoro nella sede italiana. Yo soy el señor Arcangeli, primo piano, primo
portone a sinistra e …Cos’ altro aveva aggiunto Franco il portiere? Mi
tornò subito in mente e mi si strinse la gola: - … e poi, domani mattina hanno detto che dovremo presentarci tutti, io,
lei egli altri condomini, al Commissariato di zona. Hanno lasciato un avviso. Vogliono
stabilire come è successo, ecc. ecc. Pare, così qualcuno ha detto, che Giacinti
avesse ricevuto delle minacce… Mah! Qui sono tutti in agitazione e la signora X si è sentita male.- Ecco!
Dunque, volevano vederci chiaro, ci avrebbero fatto domande, controllato
documenti… No, non ce l’avrei mai fatta da solo.
Fu dolce quella sera Daniela a
tentare di rallegrarmi con i suoi racconti, a cucinare al posto mio, a
prendermi per mano e portarmi a letto, mentre Guaco taceva discretamente. Non
ero stato granché come ospite- ero stato quasi sempre in silenzio- tanto meno
come amante, stravolto come ero dall’angoscia. Non avevo un alibi. Ero fuggito
via anche quella mattina. Ancora una fuga, un’altra. Mi convinsi che non avrei
mai potuto smettere di fuggire. Le mani di Daniela erano dolci e forti, il suo
corpo accogliente, la sua bocca pareva volesse darmi una nuova vita, ma no,
neanche lei, però, poteva aiutarmi quella sera. Alla fine, le chiesi di andare
via e di lasciarmi solo: -Perché non vuoi mai che rimanga qui da te a dormire?
E poi perché ti preoccupi così tanto per questa storia? - Cosa avrei potuto
risponderle?
Appena mi salutò e chiusi la
porta dietro di lei, ripetei meccanicamente i rituali che la mia vita di
fuggiasco e clandestino mi aveva insegnato a rispettare fedelmente, senza deroghe.
Era la condanna che mi ero inflitto per poter espiare i miei peccati e poter
tornare a vivere, godere senza sensi di colpa quello che non meritavo. Una vita
normale. Perfino felice.
Marìa Concepciòn… odore di
cannella e occhi stellati. Denti splendenti sulla pelle scura, sapeva di mare,
di foresta, di libertà. Quanto mi mancava! Quando l’avevo incontrata a
Maracaìbo, avevo capito subito che quello sarebbe stato il mio porto d’arrivo. Avevo
così rubato avidamente quegli anni e quei baci, avevo morso le hallaca che le sue svelte mani
confezionavano a casa e bevuto la chica criolla. Mi ero finalmente fermato
dopo tanto vagare; era finita la paura, non ricordavo neanche bene perché, come
ero capitato fin laggiù e chi mi aveva aiutato. Mauro Lenzi, allora, era morto
anche per me, scomparso come il suo passaporto. Riuscivo di nuovo dormire tra
le braccia di una donna e a sognare. Quando poi, però, nacque Juan il passato aveva
ricominciato a pulsarmi in testa. Non bastarono più le braccia di Marìa
Concepciòn ad allontare gli incubi e i ricordi che riemergevano togliendomi
ogni forza. Dall’ Italia venivano notizie di arresti, condanne, pentimenti.
L’oceano che ci divideva, improvvisamente, non mi sembrava più cosi vasto. Come
avrei potuto continuare a guardare mio figlio negli occhi? Sandro non c’era più dal giorno dell’ultima azione
del commando, gli altri due compagni erano stati catturati poco dopo e
condannati. Quando Giacinti crepò, stavano ancora finendo di scontare la pena.
Quel maledetto giorno, in quel
maledetto incrocio, non ci eravamo fermati all’alt. Ci avevano colpito alle
gomme, avevamo sbandato e era seguito uno scontro a fuoco. Colpi secchi, come
grandine su una lamiera. Uno…, due andarono a segno. Colpi secchi ripetuti. Senza
sapere bene dove puntare, forse nessuno di noi. Poi Sandro a terra, bocconi.
Anche uno di loro dall’altra parte. Due
fantocci scuri che con una piroetta si erano accasciati a terra ai lati opposti della strada, come in un film, due macchie scomposte a
terra, complementari. Non ero riuscito a coprire Sandro, il mio amico, il mio
eroe. Avrei dovuto trascinarlo via, ma l’unica cosa che volevo in quel momento era che ci fosse silenzio
e spazio intorno a me. Mi sentivo soffocare e di nuovo stretto contro quel muro
della scuola, ma stavolta le gambe avevano deciso per me. Io non ero un eroe, non
lo ero mai stato. Io non ero riuscito ad aiutarlo e dopo un po’ mi accorsi di non
sentire più finalmente il rumore degli spari, coperto come era dai suoni delle
sirene di altre auto in arrivo e dal mio respiro pieno d’affanno. Anche la
scena che percepivo attraverso gli occhi appannati era ormai lontana, il rumore dei miei passi e dei rametti delle
siepi spezzati al mio passaggio erano ora diventati l’unica colonna sonora. Stavo scappando. Mi allontanavo velocemente, fuggendo come una
lepre per quella macchia in leggera salita. E continuai ancora a correre,
correre, mentre il cielo diventava sempre più chiaro. Ora potevo sentire
qualche uccello che fischiava e frullava via. Il latrato di un cane disperato
in lontananza. Non ricordo neanche bene
né quando né dove mi fermai, prima di ritrovarmi in Venezuela.
Respiravo a fatica anche quella
lunga notte di tanti anni dopo, mentre
mi rigiravo in inquieto nel letto in attesa della convocazione al Commissariato.
Sentivo la pesantezza e l’oscurità di
quegli anni miopi, costellati di chiavi inglesi e P38, come se non il futuro,
ma piuttosto il passato fosse ormai diventato incerto, nebbioso e pieno di
dubbi. Sapevo che i miei genitori non ci erano più, ma mio fratello, chissà, se
mi aveva perdonato? La mia indifferente impazienza li aveva cancellati tutti dalla mia vita già prima che
fossi costretto a lasciare l’Italia. Volevo cambiare le cose in meglio e subito, ma
avevo fatto il vuoto intorno a me.
Alle 2.45, un rumore di sedia caduta a terra e
di vetri rotti nell’appartamento di sopra bloccò per un momento tutto il
rimuginare. ‘Cos’è? Minotti si sarà
addormentato davanti alla televisione come al solito, con il bicchiere pieno. Stanotte
siamo parecchi a non dormire. Mi aveva
detto qualcosa a proposito di Giacinti, tempo fa. Magari ... chissà quanti altri
avranno avuto un buon motivo per farlo fuori. E ora la ragazza della Smart nera, eccola!. è appena tornata
dal club dove balla. Che stronzo, la guardo come se… potrebbe essere mia figlia.
Juàn ha più o meno la stessa età di quella ragazzina. Chissà se Juàn ha una
donna? Quando potrò stargli accanto?
La sveglia del cellulare-
impietosa!- interruppe un sonno faticosamente conquistato e affollato di
pensieri, cose e persone. Fuori il cielo era livido e senza speranza e lo
specchio di fronte al quale mi stavo radendo mi rimandò l’immagine di un vecchio
con lo sguardo smarrito e la bocca serrata.’ Coraggio! È tempo di andare.’
[...]
[...]
(isabnic2013)
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