Villino Corsini, annidato tra gli
alberi di Villa Doria Pamphili: pomeriggio di poesia, ma alla Casa dei Teatri
la realtà e la scena si confondono.
Una coppia beckettiana avanti
negli anni: lei immobile – davanti a me di spalle, seduta su una carrozzella, un disordinato
caschetto di capelli biondo pallido, appiccicati e stazzonati come dopo una settimana di influenza a letto-, lui ordinato e pulito - in semplici abiti, assorbito
dal suo compito. Curarla.
Sembra non accorgersi della gente
intorno. L'ha sistemata alla fine della fila, un po' più avanti dei nostri
posti, ha messo un plaid sulle sue ginocchia, le porge da bere amorevolmente versando qualcosa da un thermos dentro a dei bicchierini di plastica usa e
getta, pronto a fornire scottex o
fazzolettini di carta. Poi, con una spazzolina a setole delicate come quelle
per i neonati , comincia a spazzolarle
con amore infinito quei poveri capelli. Infine, le gira in tondo e si siede a lato, rivolto più
verso di lei che al palco. Impossibile non vederli, impossibile non continuare
a guardarli, impossibile non sentire lo struggimento di quel grumo di amore patetico.
Impossibile non vergognarsi di aver profanato un’intimità.
Mi sono dimenticata di loro sino
alla fine degli interventi. Presentavano l'ennesimo libro sul divino Carmelo.
Forse la vicinanza al suo Immemoriale, il meccanico attivarsi dei miei ricordi
legati alla visione dei suoi film o alle volte che l'avevo
visto/ascoltato/amato in scena, o la
presenza al tavolo dei relatori di Manuela Kusterman (bellissima e dolce) con i suoi racconti discreti sul quotidiano del
grande Attore - la voce spezzata dalla malinconia di tempi lontani e dalla nostalgia
di amici scomparsi- non so, ma mi sono ritrovata a pensare a Perla Peragallo e
ad una strana serata in una pizzeria di
via Alessandria con lei e Leo de Berardinis, a bere insieme a loro finchè
completamente brilli non si trascinarono tragicamente fuori scena- reggendosi
l'un l'altra- verso casa.
Alla fine della presentazione, ci alziamo per sgranchirci un po’ in attesa
del reading poetico in programma poco dopo, ma mi ricade lo sguardo sulla coppia beckettiana.
Lei è ancora immobile, irrigidita. Lui
le sta offrendo una banana appena sbucciata, poi le porge da bere, poi ancora
sollecito le dà un fazzoletto. Parla a bassa voce. Non si sentono le risposte
di lei, se mai ce ne sono.
I versi dei poeti e le loro
provocazioni ci rubano di nuovo l’attenzione, sapienti performer di parole di
carne, e di suoni che si rincorrono, ripetono e annullano in ritmi che lasciano
echi e vibrazioni nelle nostre orecchie e nelle nostre teste.
Un cellulare suona caparbio e
strafottente e nessuno per lunghi minuti risponde fino alla sua resa. (Beckett!
Cos’era? In “Giorni Felici”? Campanello.Suono
stridulo dall’alto. Devo controllare.)
Ed è poco dopo, e poco prima
della fine, che la donna sulla carrozzella comincia a tossire. Una tosse
stizzosa, cavernosa, violenta che lui cerca di arginare, rendere meno invasiva
coprendo la bocca di lei con un fazzoletto, asciugandole il sudore o le lacrime
provocate dallo sforzo e dall’agitazione. Eroici personaggi in cerca d'autore, bolla di
amore oscenamente offerto a un pubblico distratto o imbarazzato. Forse André e
Dora Gorz.
Fuori, la nebbiolina della sera
sale dall' erba ancora rada, che maschera a malapena odorosi grovigli di radici, e sta già
cominciando a strangolare gli alberi lì intorno. Respiro con riconoscenza l'aria inquinata da
auto e motorini che mi ha di nuovo ripreso con sé all'uscita dagli archi della
villa.
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