domenica 1 aprile 2012

amore osceno



Villino Corsini, annidato tra gli alberi di Villa Doria Pamphili: pomeriggio di poesia, ma alla Casa dei Teatri la realtà e la scena si confondono.
Una coppia beckettiana avanti negli anni: lei immobile – davanti a me di spalle,  seduta su una carrozzella, un disordinato caschetto di capelli biondo pallido, appiccicati e stazzonati come dopo una settimana di influenza a letto-,  lui ordinato e pulito - in semplici abiti, assorbito dal suo compito. Curarla.
Sembra non accorgersi della gente intorno. L'ha sistemata alla fine della fila, un po' più avanti dei nostri posti, ha messo un plaid sulle sue ginocchia, le  porge da bere amorevolmente  versando qualcosa da un thermos  dentro a dei bicchierini di plastica usa e getta, pronto a fornire scottex o fazzolettini di carta. Poi, con una spazzolina a setole delicate come quelle per i neonati ,  comincia a spazzolarle con amore infinito quei poveri capelli. Infine, le  gira in tondo e si siede a lato, rivolto più verso di lei che al palco. Impossibile non vederli, impossibile non continuare a guardarli, impossibile non sentire lo struggimento di quel grumo di amore patetico. Impossibile non vergognarsi di aver profanato un’intimità.
Mi sono dimenticata di loro sino alla fine degli interventi. Presentavano l'ennesimo libro sul divino Carmelo. Forse la vicinanza al suo Immemoriale, il meccanico attivarsi dei miei ricordi legati alla visione dei suoi film o alle volte che l'avevo visto/ascoltato/amato in scena, o  la presenza al tavolo dei relatori di Manuela Kusterman (bellissima e dolce) con  i suoi racconti discreti sul quotidiano del grande Attore - la voce spezzata dalla malinconia di tempi lontani e dalla nostalgia di amici scomparsi- non so, ma mi sono ritrovata a pensare a Perla Peragallo e ad una  strana serata in una pizzeria di via Alessandria con lei e Leo de Berardinis, a bere insieme a loro finchè completamente brilli non si trascinarono tragicamente fuori scena- reggendosi l'un l'altra- verso casa.  
Alla fine della presentazione,  ci alziamo per sgranchirci un po’ in attesa del reading poetico in programma poco dopo,  ma mi ricade lo sguardo sulla coppia beckettiana. Lei è ancora  immobile, irrigidita. Lui le sta offrendo una banana appena sbucciata, poi le porge da bere, poi ancora sollecito le dà un fazzoletto. Parla a bassa voce. Non si sentono le risposte di lei, se mai ce ne sono.
I versi dei poeti e le loro provocazioni ci rubano di nuovo l’attenzione, sapienti performer di parole di carne, e di suoni che si rincorrono, ripetono e annullano in ritmi che lasciano echi e vibrazioni nelle nostre orecchie e nelle nostre teste.
Un cellulare suona caparbio e strafottente e nessuno per lunghi minuti risponde fino alla sua resa. (Beckett! Cos’era? In “Giorni Felici”? Campanello.Suono stridulo dall’alto.  Devo controllare.)
Ed è poco dopo, e poco prima della fine, che la donna sulla carrozzella comincia a tossire. Una tosse stizzosa, cavernosa, violenta che lui cerca di arginare, rendere meno invasiva coprendo la bocca di lei con un fazzoletto, asciugandole il sudore o le lacrime provocate dallo sforzo e dall’agitazione.  Eroici personaggi in cerca d'autore, bolla di amore oscenamente offerto a un pubblico distratto o imbarazzato. Forse André e Dora Gorz.
Fuori, la nebbiolina della sera sale dall' erba ancora rada, che maschera a malapena  odorosi grovigli di radici, e sta già cominciando a strangolare gli alberi lì intorno.  Respiro con riconoscenza l'aria inquinata da auto e motorini che mi ha di nuovo ripreso con sé all'uscita dagli archi della villa.

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