martedì 8 gennaio 2019

"Una piccola storia latino-americana" , cap.8 (3) da '365 poesie dal mondo per una storia d'amore" di Bruni-Nicchiarelli, 2014

3.
...., forse per il viaggio, forse per il festival, forse per la cena e la birra, e per tutte quelle parole, immagini e odori, anche stasera Zoé fa presto ad addormentarsi. Domani ancora festival e l’atteso incontro con Mario Rivero[1].
        Ecco gli appunti che Zoé scriverà subito dopo l’incontro, ancora sotto l’effetto della  appassionata voce di Rivero e dei suoi versi:

       ‘ Un’intervista con il colombiano Mario RIVERO (1935)

Gentile, ironico e così profondamente umano, mi mette subito a mio agio. Quando accenno alla Colombia come patria del realismo magico, mi dice subito che lì non c’è bisogno di cambiare la realtà per renderla magica, basta descriverla come è, per quanto è pazzesca e crudele, aldilà della nostra immaginazione. La violenza è un elemento naturale in questa terra e parlarne con leggerezza trasforma l’orrore in sogno. Ecco il segreto del realismo magico di Borges e altri romanzieri latino-americani.
         Parliamo degli inizi della sua carriera e di quando poi  divenne famoso per le sue poesie che parlavano dei piccoli eventi quotidiani degli abitanti dei sobborghi delle moderne megalopoli; fu infatti con i Poemas Urbanos del 1963 che rivoluzionò tutta la poesia colombiana,  invitandola a spogliarsi dei suoi  vestiti per diventare l’amante di un uomo a cui non importava se era brutta  e povera. Brutta e povera nel suo cantare di atmosfere urbane e proletarie, con una lingua del quotidiano e con un tono colloquiale; poesia anti declamatoria, con versi duri, senza ricerca di ritmo perché “l’importante è essere diretti”. Poesia in cui si rievoca il mondo del lavoro in fabbrica, la noia del fine settimana, gli incontri di sesso con ragazze facili dal pesante trucco e che sanno di liquori da poco, e che sognano l’amore e la fuga verso luoghi migliori. Ho ascoltato nel pomeriggio al festival:

La luna e Nuova York[2]

Ci incontravamo tutti i giorni
nello stesso posto.
Spartivamo versi, sigarette,
e a volte un romanzo d'avventure.
Buttavamo pietruzze
dal ponte, dove mangiavano
gli operai della fabbrica di vetro.
Le dicevo che la terra è rotonda,
mia zia strega e la luna un pezzo di rame.

Che un giorno sarei andato a Nuova York,
la città che abbonda di cose strambe,
dove i gatti vagabondi
dormono sotto le automobili,
dove c'è un milione di mendichi,
un milione di luci,
un milione di diamanti.
Nuova York dove le formiche
ci mettono secoli a scalare l'Empire State
e i negri passeggiano per Harlem
vestiti con colori chiassosi
che stillano lucido d'estate.

Sarei andato per i ristoranti
fino a trovare un cartellino:
“ Cercasi ragazzo per lavare i piatti
Non si richiede titolo universitario».
A volte avrei mangiato un sandwich,
avrei raccolto mele in California,
avrei pensato a lei quando saliva in ascensore
e le avrei comperato un vestito simile al neon...

Mi stava per baciare quando
suonò la sirena della fabbrica.

          È il racconto di un incontro d’amore in un contesto urbano - industriale, articolato in  quattro tempi: quello della condivisione di interessi (versi, sigarette e romanzo) e passatempi (“buttavamo pietruzze”), delle chiacchiere sulla vita, i sogni e le paure che sembrano concretizzarsi nella seconda parte, in cui il poeta parla di Nuova York, il luogo dove la vita può essere diversa. New York è un sogno, “piena di cose strambe”, le immagini di emarginazione (i gatti, i mendicanti) si intrecciano con altre che suggeriscono le sue contraddizioni (povertà e ricchezza, impotenza delle formiche e maestosità dei grattacieli, i negri ghettizzati ad Harlem e i loro vestiti colorati ).  Segue il povero sogno del poeta: lavoretti e sacrifici per poter comprare un regalo alla sua donna lontana. Ma la vita è dura anche se si è giovani. Il finale, un distico che toglierà ogni speranza,  sarà scandito da un solo effetto acustico, la sirena della fabbrica che impedisce perfino di scambiarsi un bacio.
          In queste sue prime poesie, scritte con un misto di versi e prosa e magari in forma di ballate,  ci sono spesso riferimenti alla cronaca, così che da quei mondi di povertà si passa poi a parlare dei nuovi eroi  - astronauti, il presidente J.F. Kennedy, qualche famoso criminale o  Bob Dylan -  in una dimensione quasi epica. Altre sue poesie ci parlano di storie di  solitudini, illusioni e insoddisfazioni, come quella “piccola storia” della dattilografa:

Una piccola storia[3]

Alle sei di sera
quando la strada si lascia lambire dalla sporcizia
e gli edifici sbadigliano attraverso le finestre
i marciapiedi e gli alberi
la dattilografa aspetta...
Una volta aveva 15 anni.
Si dava il rossetto e sulle unghie uno smalto furiosamente rosso
usava scarpine fantasia
e aveva un fidanzato
che la portava al caffè
a prendere un cappuccino con pane tostato
mentre l'americano della fisarmonica
suonava una canzone
che ancora si ricorda.
Ora sono le sei di sera.
Il tempo è un cavallo lebbroso
che calpesta le cose.
Che fai dattilografa
con quel viso autunnale
e quei seni come arancia appassita?
Domani tornerai in ufficio
e vedrai il capo
di un metro e cinquanta
che si accarezza il piccolo ventre
dove si tiene le ricevute
uova di tartaruga
e una morte grande.
Non aspettare altro.
Ascolta di nuovo la musica dell'americano
e lascia che un uomo ti porti con sé...

        Parlare di donne in una società così machista,  vuol dire accettare tematiche e sentimenti che gli uomini non si possono permettere di avere, quali  la solitudine, la fragilità, la nostalgia … Oppure, per lui, anche  cantante di tango e impresario di cantanti di bolero, tra gli altri mille lavori che ha fatto nella vita, vuol dire  parlare di cose innominabili, come nella sua famosa poesia:

Tango per Irma la Dolce [4]

È stata qui
scossa dai palpeggiamenti dai pettegolezzi
                                e l'allarme delle sveglie
È stata qui alla fine troppo triste
Le foglie di palma sotto la nuca e i capelli distesi
                           agreste come le fibre del cocco
guardando tutto con semplicità e ammirazione
"si vede che tu sei uno scrittore" mi dice
a voce bassa nella penombra di una stanza con bottiglia di gin
                                               un giradischi
e fiori di plastica di tutti i colori
C'erano lì e non potevano mancare
                                      è chiaro
Sosa Beny Moré Gardel
i classici del tango e del bolero
                                               e gli altri
i Mozart e i Beethoven di sempre
insomma tutto quello che non abbiamo imparato a sentire
ma che sembra veramente
l'unica cosa pulita
                           giusta
per evadere la brutalità degli eventi
Io ero assorto triste cercando di animare
                                               fallacemente
lo spossato sangue delle vene
e lei voluminosa quasi a coprire tutto il letto
                                      meravigliosamente funzionante
grazie a quello che potremmo chiamare la sua bellezza
                                      ossia la sua "verità"
qualcosa fatto di calore –potere –e -forza
                                      uno straripamento
come una cavalla bianca con le sue gambe di dietro
                                                      bene aperte
che diventano argentate e cominciano a brillare
in un scintillio di luci
                           instabile
una fessura di luce nella gelosia
che sale lungo le sue gambe e impone al suo corpo
                                      una lividezza di biada
e tutto tutto quanto perde la certezza e l'eternità
come se la luce potesse davvero inventare
una forma nuova
Ormai la notte è quasi finita
lei ha messo la sua mano sul mio viso e ha detto: "sono una donna stanca"
così caro il suo sguardo che mi sono sentito ammorbidito
                                      senza resistenza
ho voluto farmi avanti spingere la persiana
ammettere la franchezza del giorno
                                      la circontristezza
rompere il miraggio il sortilegio ingannevole
"perché parli così gattina quelle sono cose che dicono
                                le intellettuali nevrotiche"
"lo so ma credimi che parlo assolutamente sul serio"
E poi come la cosa più naturale del mondo
"so che l'errore è in me stessa"
                                chiama "errore" la sua vita
e mi racconta del marito musicista
                                      mafioso
succhiando la trombetta come fosse marijuana
fino all'alba
"no non va bene restare sola tutte le notti non ti credere"
e continuava a parlare mentre s'infilava un reggiseno da soubrette e un reggicalze nero
e diceva "che tremendo" e "che sciocchezza"
come risposta a una domanda conosciuta
                                a un'inquisizione cifrata
"sì credo che questa sia la cosa migliore"
                                               aggiunge
"senza complicazioni né numeri di telefono né lettere d'amore nulla"
"mi piace la vita libera il cambiamento"
                                               dico io
"provo un orrore sacro per le dipendenze
e oramai conosci il mio nome e sai dove abito per cui
                                               si creano legami
e tutto quindi si avvicina alla fine"
E m'invento una storia mediocre
                                profondamente provinciale
o letteraria che potrebbe giudicarsi l'alibi perfetto
ma lei non ha pianto né riso
                                ha fissato un punto davanti a sé
malinconicamente come se avesse visto un abisso
evidentemente non conosceva né Iago né Otello né "Scespier"
e neanche Maupassant
e questa ignoranza la riportava nell'infanzia
                                               dolcemente
"Il mondo va così" concludo
                           come andandomene ormai lontano
in un modo gentile e freddo
e finisco con un fulminante "la gente"...
che è la vaga incerta parola
                                con cui ho decretato
improvvisamente la sua fine
Fuori nella luce tremolante
le case stanno chiuse avvolte in un vapore smerigliato
                                      e ci sono delle imposte
che si aprono come una palpebra e che poi si chiudono
cerco di toccare ancora
il suo ombelico odoroso i suoi piccoli seni stretti ricoperti
                                               da uno scudo
di bottoni e frange
cerco di inventare il gesto l'atteggiamento la parola
che diluisca in un'aria amabile e casuale
                                la tristezza lunga lunga lunga
                                               da pozzo cieco
l'incantesimo morto
Ma bisogna andare non possiamo attendere troppo
si è nascosta dietro gli occhiali scuri
                                      alta lontana ormai andando via
con il suo profumo di ruta -e- sale nelle ascelle sotto il maglione
con la sua carne viva temperata sotto la pelle
                                               con l'amore...
"Chiamami quando vuoi" mi ha detto a mo' di congedo
Sugli alberi con le foglie di lanugine argentata
cominciava un cielo blu - bandiera...
  
            Insomma, versi densi di vita; una vita, però,  che contiene anche dolore e morte.
            Le sue ultime raccolte sono più intimiste e personali, ma l’incontro si è concluso  senza che potessimo parlarne a lungo. Prima di lasciarci, però, mi ha detto qualcosa sulla poesia che mi ha chiarito molte cose:
          “Credo che l'atto poetico, quando avviene, debba consolare il cuore dell'uomo che interroga la realtà in cerca di appigli o quanto meno di un qualche senso che non ritrova a portata di mano. […]Del resto, in questo schematismo del mondo globalizzato, […], in uno staterello in piena violenza che cerca di dare il vertiginoso balzo dalla precarietà alla postmodernità, quale posto può avere questa strana creatura che è il poeta? A mala pena è un paria tollerato, e la sua poesia è quasi un anacronismo: con libri che non si vendono, e in un luogo poi, questa  Atene Sudamericana[5],  in cui il numero dei poeti continua a superare quello dei lettori di poesia”[6] e sembra rimpiangere i tempi delle tertulias[7], quelli di una Bogotà ancora  vivace».
          Ma Rivero, malgrado questi toni di sfiducia, continua a lottare e a pubblicare la sua rivista letteraria e a fare progetti, nonostante la malattia. Insomma, vita, fino in fondo”.

        Quando Raùl bussa alla porta della camera del piccolo hotel, Zoé ha ancora l’accappatoio indosso e i capelli bagnati raccolti in un asciugamano. È un’immagine di fragilità che contrasta con la sua normale sicurezza, sembra appena arrivata da un mondo lontano.
        Lo fa entrare e si scusa di essere in ritardo, si è messa a scrivere e si è  dimenticata del tempo che passava … Non si è scordata dell’appuntamento, ma … Raùl le sorride, avvicinandosi sempre più. Le prende la mano e la guarda con intenzione. È tutto così inaspettato che Zoé riesce solo a mormorare preoccupata: -Potrei essere tua madre... Ma è piacevolmente confusa.
      -Meno male che non lo sei...  - le  mormora Raùl e  l’attira immediatamente a sé stringendola tra le braccia brune.
Zoé non tenta neppure timidamente di resistere e viene completamente travolta dalla gioiosa energia che sprigiona da quel giovane corpo. La lingua di Raùl si fa rapidamente strada nella bocca di Zoé e le sue mani cominciano ad esplorare tra i piccoli seni alla ricerca dei capezzoli induriti.
      Zoé guarderà a lungo, l’indomani, quel corpo bruno e vellutato, quel pazzesco e infantile tatuaggio sul braccio sinistro su cui è appoggiata, scossa lievemente dal ritmo del respiro,  la testa del ragazzo ancora profondamente addormentato e sorridente. Lei sente ancora la pressione delle sue mani sulla pelle, l’ entusiasmo egoista provocato dall’urgenza del desiderio che l’ha soggiogata e il profumo della sua pelle ambrata.   
     Non lo sveglierà per salutarlo. La parentesi a Medellin si è prolungata più del dovuto. Gli ha lasciato un breve messaggio e, stringendo il borsone da viaggio, chiude la porta della camera dopo un ultimo sguardo pieno di tenerezza e stupore. Come un morso a un frutto un po’ acerbo, ma già dolce e succoso.
    
Nella testa, i versi asciutti di Lupe Cotrim Garaude[8] :

Possesso/lei[9]

Innanzitutto il ritmo del tuo corpo.
Tessevi le parole e le tue mani
Stringevano fantasmi fortemente.
Le parole assumevano un aspetto,
un modo d’ essere,
un movimento alterno della stanza.

Il tuo guardare mi percorse tutta
E fui strada, pianura,
distesa d’acqua,
cosa, gente. E lasciai che proseguisse:
un oscuro richiamo ti cercava.
Noi eravamo stranamente un viaggio.

         Il ritorno a Buenos Aires sembra veloce, l’incanto dei paesaggi visti dall’alto è sostituito da un misto di ricordi e aspettative.
        E finalmente Gordon. Gordon che parla di poesie d’amore, Gordon circondato dagli altri addetti del British, Gordon un po’ stanco e con il volto segnato, dai modi un po’ distaccati e con il pensiero altrove.
        - …  il mio intervento conclude, invece di iniziare come era programmato, questa presentazione delle attività di quest’anno, ma spero comunque ….
      Gordon che, dopo l’incontro, quando finalmente si avvicina, la guarda a lungo e poi si incupisce:  -Ti conosco da tanto, eppure così poco ...No, non è il momento giusto. Poi, ti spiegherò. Sono preoccupato e distratto ... e anche tu.
Una doccia fredda, un colpo allo stomaco. Zoé si sente vagamente in colpa, ma anche consapevolmente innamorata. Di lui.
       - Gordon, io ...
       -No, Zoé, ti prego. È andata così. Ora è tardi e, domani mattina, ripartiamo. Ti sei dimenticata? Domani mattina, all’aeroporto, alle dieci.
       Anche il viaggio, alla fine, non sarà un momento da passare insieme. Partiranno su due voli diversi, verso due destinazioni diverse. Parigi e Londra. Anche se più o meno alla stessa ora.


[1] Mario Rivero, poeta, giornalista, cantante di tanghi, impresario di corride e critico d’arte colombiano, nasce a  Envigado, Antioquia, nel 1935 e muore a Bogotà nel 2009. Fondò la rivista di poesia “Golpe de Dados”nel 1972 . Quando pubblicò i suoi Poemas Urbanos, nel 1963, rivoluzionò la poesia del suo paese.
[2] Mario Rivero,  “La luna e Nuova York“(Poemas Urbanos), in Poesie d’amore per un anno, Einaudi, 2003; a cura di Guido Davico Bonino.
[3] Mario Rivero, “Una piccola storia”, da Baladas, 1969-1985; traduzione di Martha Canfield, www.filidaquilone.it/num005canfield.html
[4] Mario Rivero, “Tango per Irma la dolce”, da Baladas, 1969-1985; traduzione di Martha Canfield, www.filidaquilone.it/num005canfield.html

[5]  Così è stata chiamata la città di Bogotà per la sua proverbiale vocazione intellettuale.
[6] Cfr. Intervista di Martha Canfield con Mario Rivero su ‘La Candelaria’, Bogotà, gennaio 2007.
[7] Con il termine spagnolo tertulia si indica la riunione di persone che periodicamente si incontrano  in un determinato posto, per lo più in un caffè, per conversare e discorrere di argomenti di interesse comune. 
[8] Maria José Lupe Cotrim Garaude Gianotti nasce a São Paulo nel 1933. Docente di Estetica alla Escola  de Communicações  e Artes dell’università di San Paolo. Muore nel 1970.
[9] Lupe Cotrim Garaude,”Possesso/lei”, dalla settima raccolta di Lupe Cotrim Garaude, Poemas ao outro (”Poemi all’autunno”), 1969, premio Governador do Estado, ottobre 1969; in Poesia del Brasile d’oggi, di Salvatore D’Anna, 1970, editrice i. l. a.Palma, Renzo Mazzone editore, Palermo, Italia-São Paulo, Brazil.

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