3.
...., forse per il viaggio, forse per il festival, forse per la cena e
la birra, e per tutte quelle parole, immagini e odori, anche stasera Zoé fa
presto ad addormentarsi. Domani ancora festival e l’atteso incontro con Mario
Rivero.
Ecco gli appunti che Zoé
scriverà subito dopo l’incontro, ancora sotto l’effetto della appassionata voce di Rivero e dei suoi versi:
‘ Un’intervista con il
colombiano Mario RIVERO (1935)
Gentile, ironico e così profondamente umano, mi mette subito a mio agio.
Quando accenno alla Colombia come patria del realismo magico, mi dice subito che lì non c’è bisogno di cambiare
la realtà per renderla magica, basta descriverla come è, per quanto è pazzesca
e crudele, aldilà della nostra immaginazione. La violenza è un elemento
naturale in questa terra e parlarne con leggerezza trasforma l’orrore in sogno.
Ecco il segreto del realismo magico di Borges e altri romanzieri
latino-americani.
Parliamo degli inizi della
sua carriera e di quando poi divenne
famoso per le sue poesie che parlavano dei piccoli eventi quotidiani degli
abitanti dei sobborghi delle moderne megalopoli; fu infatti con i Poemas Urbanos del 1963 che rivoluzionò
tutta la poesia colombiana, invitandola
a spogliarsi dei suoi vestiti per
diventare l’amante di un uomo a cui non importava se era brutta e povera. Brutta e povera nel suo cantare di
atmosfere urbane e proletarie, con una lingua del quotidiano e con un tono
colloquiale; poesia anti declamatoria, con versi duri, senza ricerca di ritmo
perché “l’importante è essere diretti”. Poesia in cui si rievoca il mondo del
lavoro in fabbrica, la noia del fine settimana, gli incontri di sesso con
ragazze facili dal pesante trucco e che sanno di liquori da poco, e che sognano
l’amore e la fuga verso luoghi migliori. Ho ascoltato nel pomeriggio al
festival:
Ci incontravamo tutti
i giorni
nello stesso posto.
Spartivamo versi, sigarette,
e a volte un romanzo d'avventure.
Buttavamo pietruzze
dal ponte, dove mangiavano
gli operai della fabbrica di vetro.
Le dicevo che la terra è rotonda,
mia zia strega e la luna un pezzo di rame.
Che un giorno sarei andato a Nuova York,
la città che abbonda di cose strambe,
dove i gatti vagabondi
dormono sotto le automobili,
dove c'è un milione di mendichi,
un milione di luci,
un milione di diamanti.
Nuova York dove le formiche
ci mettono secoli a scalare l'Empire State
e i negri passeggiano per Harlem
vestiti con colori chiassosi
che stillano lucido d'estate.
Sarei andato per i ristoranti
fino a trovare un cartellino:
“ Cercasi ragazzo per
lavare i piatti
Non si richiede titolo
universitario».
A volte avrei mangiato
un sandwich,
avrei raccolto mele in California,
avrei pensato a lei quando saliva in ascensore
e le avrei comperato un vestito simile al neon...
Mi stava per baciare quando
suonò la sirena della fabbrica.
È il racconto di un incontro d’amore in
un contesto urbano - industriale, articolato in
quattro tempi: quello della condivisione di interessi (versi, sigarette
e romanzo) e passatempi (“buttavamo pietruzze”), delle chiacchiere sulla vita,
i sogni e le paure che sembrano concretizzarsi nella seconda parte, in cui il
poeta parla di Nuova York, il luogo
dove la vita può essere diversa. New York è un sogno, “piena di cose strambe”,
le immagini di emarginazione (i gatti, i mendicanti) si intrecciano con altre
che suggeriscono le sue contraddizioni (povertà e ricchezza, impotenza delle
formiche e maestosità dei grattacieli, i negri ghettizzati ad Harlem e i loro
vestiti colorati ). Segue il povero
sogno del poeta: lavoretti e sacrifici per poter comprare un regalo alla sua
donna lontana. Ma la vita è dura anche se si è giovani. Il finale, un distico
che toglierà ogni speranza, sarà
scandito da un solo effetto acustico, la sirena della fabbrica che impedisce
perfino di scambiarsi un bacio.
In queste sue prime poesie,
scritte con un misto di versi e prosa e magari in forma di ballate, ci sono spesso riferimenti alla cronaca, così
che da quei mondi di povertà si passa poi a parlare dei nuovi eroi - astronauti, il presidente J.F. Kennedy,
qualche famoso criminale o Bob Dylan - in una dimensione quasi epica. Altre sue
poesie ci parlano di storie di
solitudini, illusioni e insoddisfazioni, come quella “piccola storia”
della dattilografa:
Alle sei di sera
quando la strada si lascia lambire dalla sporcizia
e gli edifici sbadigliano attraverso le finestre
i marciapiedi e gli alberi
la dattilografa aspetta...
Una volta aveva 15
anni.
Si dava il rossetto e sulle unghie uno smalto furiosamente rosso
usava scarpine fantasia
e aveva un fidanzato
che la portava al caffè
a prendere un cappuccino con pane tostato
mentre l'americano della fisarmonica
suonava una canzone
che ancora si ricorda.
Ora sono le sei di
sera.
Il tempo è un cavallo lebbroso
che calpesta le cose.
Che fai dattilografa
con quel viso autunnale
e quei seni come arancia appassita?
Domani tornerai in ufficio
e vedrai il capo
di un metro e cinquanta
che si accarezza il piccolo ventre
dove si tiene le ricevute
uova di tartaruga
e una morte grande.
Non aspettare altro.
Ascolta di nuovo la musica dell'americano
e lascia che un uomo ti porti con sé...
Parlare di
donne in una società così machista, vuol dire accettare tematiche e sentimenti
che gli uomini non si possono permettere di avere, quali la solitudine, la fragilità, la nostalgia …
Oppure, per lui, anche cantante di tango
e impresario di cantanti di bolero, tra gli altri mille lavori che ha fatto
nella vita, vuol dire parlare di cose
innominabili, come nella sua famosa poesia:
È stata qui
scossa dai palpeggiamenti dai pettegolezzi
e
l'allarme delle sveglie
È stata qui alla fine troppo triste
Le foglie di palma sotto la nuca e i capelli distesi
agreste
come le fibre del cocco
guardando tutto con semplicità e ammirazione
"si vede che tu sei uno scrittore" mi dice
a voce bassa nella penombra di una stanza con bottiglia di gin
un
giradischi
e fiori di plastica di tutti i colori
C'erano lì e non potevano mancare
è
chiaro
Sosa Beny Moré Gardel
i classici del tango e del bolero
e
gli altri
i Mozart e i Beethoven di sempre
insomma tutto quello che non abbiamo imparato a sentire
ma che sembra veramente
l'unica cosa pulita
giusta
per evadere la brutalità degli eventi
Io ero assorto triste cercando di animare
fallacemente
lo spossato sangue delle vene
e lei voluminosa quasi a coprire tutto il letto
meravigliosamente
funzionante
grazie a quello che potremmo chiamare la sua bellezza
ossia
la sua "verità"
qualcosa fatto di calore –potere –e -forza
uno
straripamento
come una cavalla bianca con le sue gambe di dietro
bene
aperte
che diventano argentate e cominciano a brillare
in un scintillio di luci
instabile
una fessura di luce nella gelosia
che sale lungo le sue
gambe e impone al suo corpo
una
lividezza di biada
e tutto tutto quanto perde la certezza e l'eternità
come se la luce potesse davvero inventare
una forma nuova
Ormai la notte è quasi finita
lei ha messo la sua mano sul mio viso e ha detto: "sono una donna
stanca"
così caro il suo sguardo che mi sono sentito ammorbidito
senza
resistenza
ho voluto farmi avanti spingere la persiana
ammettere la franchezza del giorno
la
circontristezza
rompere il miraggio il sortilegio ingannevole
"perché parli così gattina quelle sono cose che dicono
le
intellettuali nevrotiche"
"lo so ma credimi che parlo assolutamente sul serio"
E poi come la cosa più naturale del mondo
"so che l'errore è in me stessa"
chiama
"errore" la sua vita
e mi racconta del marito musicista
mafioso
succhiando la trombetta come fosse marijuana
fino all'alba
"no non va bene restare sola tutte le notti non ti credere"
e continuava a parlare mentre s'infilava un reggiseno da soubrette e un
reggicalze nero
e diceva "che tremendo" e "che sciocchezza"
come risposta a una domanda conosciuta
a
un'inquisizione cifrata
"sì credo che questa sia la cosa migliore"
aggiunge
"senza complicazioni né numeri di telefono né lettere d'amore nulla"
"mi piace la vita libera il cambiamento"
dico
io
"provo un orrore sacro per le dipendenze
e oramai conosci il mio nome e sai dove abito per cui
si
creano legami
e tutto quindi si avvicina alla fine"
E m'invento una storia mediocre
profondamente
provinciale
o letteraria che potrebbe giudicarsi l'alibi perfetto
ma lei non ha pianto né riso
ha
fissato un punto davanti a sé
malinconicamente come se avesse visto un abisso
evidentemente non conosceva né Iago né Otello né "Scespier"
e neanche Maupassant
e questa ignoranza la riportava nell'infanzia
dolcemente
"Il mondo va così" concludo
come
andandomene ormai lontano
in un modo gentile e freddo
e finisco con un fulminante "la gente"...
che è la vaga incerta parola
con
cui ho decretato
improvvisamente la sua fine
Fuori nella luce tremolante
le case stanno chiuse avvolte in un vapore smerigliato
e
ci sono delle imposte
che si aprono come una palpebra e che poi si chiudono
cerco di toccare ancora
il suo ombelico odoroso i suoi piccoli seni stretti ricoperti
da
uno scudo
di bottoni e frange
cerco di inventare il gesto l'atteggiamento la parola
che diluisca in un'aria amabile e casuale
la
tristezza lunga lunga lunga
da
pozzo cieco
l'incantesimo morto
Ma bisogna andare non possiamo attendere troppo
si è nascosta dietro gli occhiali scuri
alta
lontana ormai andando via
con il suo profumo di ruta -e- sale nelle ascelle sotto il maglione
con la sua carne viva temperata sotto la pelle
con
l'amore...
"Chiamami quando vuoi" mi ha detto a mo' di congedo
Sugli alberi con le foglie di lanugine argentata
cominciava un cielo blu - bandiera...
Insomma,
versi densi di vita; una vita, però, che contiene anche dolore e morte.
Le sue ultime raccolte sono più
intimiste e personali, ma l’incontro si è concluso senza che potessimo parlarne a lungo. Prima
di lasciarci, però, mi ha detto qualcosa sulla poesia che mi ha chiarito molte
cose:
“Credo
che l'atto poetico, quando avviene, debba consolare il cuore dell'uomo che
interroga la realtà in cerca di appigli o quanto meno di un qualche senso che
non ritrova a portata di mano. […]Del resto, in questo schematismo del mondo
globalizzato, […], in uno staterello in piena violenza che cerca di dare il
vertiginoso balzo dalla precarietà alla postmodernità, quale posto può avere
questa strana creatura che è il poeta? A mala pena è un paria tollerato, e la
sua poesia è quasi un anacronismo: con libri che non si vendono, e in un luogo
poi, questa Atene Sudamericana, in cui il numero dei poeti continua a
superare quello dei lettori di poesia” e
sembra rimpiangere i tempi delle tertulias,
quelli di una Bogotà ancora vivace».
Ma
Rivero, malgrado questi toni di sfiducia, continua a lottare e a pubblicare la
sua rivista letteraria e a fare progetti, nonostante la malattia. Insomma,
vita, fino in fondo”.
Quando Raùl bussa alla porta
della camera del piccolo hotel, Zoé ha ancora l’accappatoio indosso e i capelli
bagnati raccolti in un asciugamano. È un’immagine di fragilità che contrasta
con la sua normale sicurezza, sembra appena arrivata da un mondo lontano.
Lo fa entrare e si scusa di
essere in ritardo, si è messa a scrivere e si è
dimenticata del tempo che passava … Non si è scordata dell’appuntamento,
ma … Raùl le sorride, avvicinandosi sempre più. Le prende la mano e la guarda
con intenzione. È tutto così inaspettato che Zoé riesce solo a mormorare
preoccupata: -Potrei essere tua madre... Ma è piacevolmente confusa.
-Meno male che non lo sei... - le
mormora Raùl e l’attira
immediatamente a sé stringendola tra le braccia brune.
Zoé non tenta neppure timidamente di resistere e viene completamente
travolta dalla gioiosa energia che sprigiona da quel giovane corpo. La lingua
di Raùl si fa rapidamente strada nella bocca di Zoé e le sue mani cominciano ad
esplorare tra i piccoli seni alla ricerca dei capezzoli induriti.
Zoé guarderà a lungo,
l’indomani, quel corpo bruno e vellutato, quel pazzesco e infantile tatuaggio
sul braccio sinistro su cui è appoggiata, scossa lievemente dal ritmo del
respiro, la testa del ragazzo ancora
profondamente addormentato e sorridente. Lei sente ancora la pressione delle
sue mani sulla pelle, l’ entusiasmo egoista provocato dall’urgenza del
desiderio che l’ha soggiogata e il profumo della sua pelle ambrata.
Non lo sveglierà per salutarlo.
La parentesi a Medellin si è prolungata più del dovuto. Gli ha lasciato un
breve messaggio e, stringendo il borsone da viaggio, chiude la porta della
camera dopo un ultimo sguardo pieno di tenerezza e stupore. Come un morso a un frutto un po’ acerbo, ma già dolce e
succoso.
Nella testa, i versi asciutti di
Lupe Cotrim Garaude
:
Innanzitutto il ritmo
del tuo corpo.
Tessevi le parole e le
tue mani
Stringevano fantasmi
fortemente.
Le parole assumevano
un aspetto,
un modo d’ essere,
un movimento alterno
della stanza.
Il tuo guardare mi
percorse tutta
E fui strada, pianura,
distesa d’acqua,
cosa, gente. E lasciai
che proseguisse:
un oscuro richiamo ti
cercava.
Noi eravamo
stranamente un viaggio.
Il ritorno a Buenos Aires
sembra veloce, l’incanto dei paesaggi visti dall’alto è sostituito da un misto
di ricordi e aspettative.
E finalmente Gordon. Gordon
che parla di poesie d’amore, Gordon circondato dagli altri addetti del British,
Gordon un po’ stanco e con il volto segnato, dai modi un po’ distaccati e con
il pensiero altrove.
- … il mio intervento conclude, invece di iniziare
come era programmato, questa presentazione delle attività di quest’anno, ma
spero comunque ….
Gordon che, dopo l’incontro,
quando finalmente si avvicina, la guarda a lungo e poi si incupisce: -Ti conosco da tanto, eppure così poco ...No,
non è il momento giusto. Poi, ti spiegherò. Sono preoccupato e distratto ... e
anche tu.
Una doccia fredda, un colpo allo stomaco. Zoé si sente vagamente in colpa,
ma anche consapevolmente innamorata. Di lui.
- Gordon, io ...
-No, Zoé, ti prego. È andata
così. Ora è tardi e, domani mattina, ripartiamo. Ti sei dimenticata? Domani
mattina, all’aeroporto, alle dieci.
Anche il viaggio, alla fine,
non sarà un momento da passare insieme. Partiranno su due voli diversi, verso
due destinazioni diverse. Parigi e Londra. Anche se più o meno alla stessa ora.
Lupe Cotrim Garaude,”Possesso/lei”,
dalla settima raccolta di Lupe Cotrim Garaude, Poemas ao outro (”Poemi all’autunno”), 1969, premio Governador do
Estado, ottobre 1969; in Poesia del
Brasile d’oggi, di Salvatore D’Anna, 1970, editrice i. l. a.Palma, Renzo
Mazzone editore, Palermo, Italia-São Paulo, Brazil.