8. ‘UNA PICCOLA STORIA’[1] LATINO-AMERICANA
Dopo aver finalmente parlato
con Gordon e aver scoperto che potrà
raggiungerla solo tra qualche giorno, Zoé ha deciso, infine, di anticipare la
sua andata a Medellin, approfittando anche del fatto che il giovane Crespo
Montes aveva già in agenda una scappata
al festival e si è offerto di accompagnarla. Ora, sul piccolo aereo diretto a
Nord, seduta accanto a Raùl, Zoé cerca di rubare qualche immagine dell’immenso
continente, ma i larghi bacini d’acqua, il verde fitto, le ragnatele di fiumi e
il grigio marrone dei monti scompaiono dopo
un po’ sotto strati di nubi sfilacciate.
Lui parla di Medellin come è ora, le dice quanto è cambiata dagli anni ‘90,
gli stessi anni in cui è nato il Festival Internacional de Poesia. -Le
sembrerà strano, ma poesia e violenza coesistono in Colombia … O meglio,
l’amore per la poesia è per noi un modo per superare la violenza, per vincerla …
una Resistenza spirituale. Zoé racconta
cosa ha visto nel suo unico giorno da turista a Buenos Aires e confessa di
essere rimasta colpita dalla visita al Museo della Memoria. -… Era tra i luoghi
della sua lista … pensa che sia importante anche per chi non è Argentino?-
chiede Zoé.
-Sì, serve per dire a noi e a tutto il mondo: Nunca màs! È un modo di riappropriarci dei ricordi, se pure
laceranti, contro la volontà di cancellare tutto, come se non fosse successo
niente.. Ma il passato non scompare mai, la verità riaffiora sempre. Sono molti
tra noi quelli che hanno avuto un desaparecido
in famiglia o tra gli amici oppure tra amici o parenti di amici …. È una ferita ancora aperta. Per tutti noi
Latino-Americani la morte è una presenza costante.
Medellin è la metropoli
della Eterna Primavera, riparata come è dalle Ande. Superata l’enorme
periferia, arrivarci vuol dire passare attraverso grandi parchi e piazze,
difesi dalle placide gordas di bronzo di Fernando Botero[2], bianche case coloniali imbiancate a calce con
i decori in legno e, per le viuzze del centro, una folla di meticci, afro - colombiani,
bianchi e indios. Una città che non è
più il quartier generale del narcotraffico in Colombia, ma che ha sviluppato
una sua inclinazione culturale tra festival di jazz, di salsa, di tango e di poesia, e una Rumba[3]
da far invidia alle grandi città del mondo.
-Chiudi gli occhi e senti il vento- le ha
detto Raùl prima di entrare in albergo.
Lei avverte soprattutto un forte odore di
caffè. E, dopo un infuso rigenerante di mate,
è con grande curiosità che si avvierà
più tardi con Raùl all’apertura del festival.
Il festival è dedicato al
grande poeta brasiliano Murilo Monteiro
Mendes[4].
In realtà, si tratta di una sezione straordinaria del Festival Internacional de Poesia che, di solito, si svolge qui a Medellin a luglio. Un ricordo
del poeta e un confronto con la poesia latino- americana contemporanea è il
tema dell’incontro che, anche se non ha raccolto la folla oceanica del festival
estivo, ha un pubblico locale nutrito ed entusiasta. -Niente in confronto a
Luglio, ma l’idea è la stessa: far dialogare i poeti e le tradizioni dei
diversi paesi e incoraggiare lo scambio di esperienze, opinioni e progetti, e
un desiderio di pace e di rinascita; solo che, stavolta, ci sono solo i nostri
poeti. Bene, buon Medellin, allora!!
Nel filmato- documentario,
ricco di interviste a critici e amici, che precede gli interventi degli altri
poeti e la lettura dei testi, si ripercorre la vita del grande Mendes; vi si descrive la complessa personalità, la ricerca continua, arricchita dal rapporto con altri paesi e altre lingue.
Riscoprire Mendes – viene sottolineato- vuol dire comprendere e rileggere il
Brasile come un luogo ricco di contraddizioni e non solo patria di samba, mulatte e carnevale. Invece del cliché , Mendes ha offerto piuttosto
un’immagine di Brasile fiero di sé anche se contraddittorio:
Laggiù
Dove la polizia serve
ad arare i campi,
laggiù
dove nessuno
cresce né diminuisce
laggiù
dove le navi da guerra
dormono nelle bottiglie,
laggiù
dove Oriente e
Occidente
dialogano affacciati
alla finestra,
laggiù
dove ciascuno
ha il suo pane, la sua
donna e la sua pace,
laggiù
dove le cantilene
antiche muovono il fiume,
laggiù
dove si uniscono la
forma, la parola e l’energia,
laggiù
dove Dio cammina con
piedi d’ombra,
laggiù
dove la morte dice:
“Voglio nascere”.
Eppure,
in un altro dei componimenti letti,
quanta musica e poesia brasiliana nel ritratto di donna che, moderna
Beatrice, con il suo incedere lungo i marciapiedi fa innamorare di sé anche i
grattacieli:
Secondo l’anagrafe
Marianna è nata a N.
York
Città creata apposta
per lei:
i grattacieli tremano
sospirano
quando lei cammina sui
marciapiedi.
Marianna gira il mondo
con una Leica
Sua segretaria e
confidente
Che l’aiuta a separare
la luce dalle tenebre.
Marianna è solo una
meteora:
viene a salutarmi ogni
tanto
dopo avermi telefonato
da
Parigi/Santorini/Tokyo/Saturno.
Marianna arriva
Discorre di
fotografia/musica/balletti,
di poesia
nordamericana:
“...I’m waiting for someone
To
really discover America”[7]
“I’m
waiting
To see God on television
Piped
unto church altars. ”[8]
Viso ovale ovvero
quasi ovale
Occhi
“attirants comme ceux d’un portrait”[10]
Sorriso in sol
maggiore
Sorriso in sol
maggiore
Che ipnotizza le dalie
Gesti farfalleggianti
Disinvoltura di chi
danza o nuota.
Più vicina alla barca
Che all’automobile.
Stella ignota al telescopio
di Palomar
Marianna sparisce.
Al suo ritorno
Mi ritroverà più
oppresso di prima:
c’è la rivoluzione
mondiale
c’è lei.
Marianna è la donna
moderna che ruba la realtà con la sua macchina fotografica e in tal modo cerca
di capire il mondo. Viaggia e ritorna per breve tempo; è “una meteora” difficile da afferrare, una
scarica di energia, dai mille interessi e curiosità. Anche la sua bellezza è
inafferrabile, con la sua mancanza di perfezione e la caleidoscopica vivacità, con quel suo
fluttuare via e scomparire. Il vecchio poeta vede in lei il Grande Cambiamento
del mondo. L’Eros per Mendes è caos, disordine che contrasta l’ordine del
mondo, forse per tornare ad una unità primordiale.
[...]
[1] Titolo di una poesia di Mario
Rivero.
[2] Pittore e scultore colombiano,
nato a Medellin nel 1932; le gordas sono
sculture di donne dalle forme opulente.
[3] Vita notturna.
[4] Il poeta Murilo Monteiro Mendes,
uno dei massimi esponenti del modernismo brasiliano, nasce a Juiz de Fora nel
1901. Dal 1957 fu professore di Letteratura Brasiliana all’Università di Roma.
Dal modernismo della sua produzione giovanile, attraverso lo sperimentalismo
visionario del surrealismo brasileiro, poi interrotto da una fase di poesia
mistico-religiosa, giunse alla sperimentazione di poesia concreta nella sua
produzione più matura. Muore a Lisbona
nel 1975.
[6]
Murilo Monteiro Mendes, Marianna” in
“Ipotesi”, Zona Editrice, Roma 2004.
[7] ‘ … aspetto che qualcuno/ scopra
davvero l’America’ ; trad. I. Nicchiarelli.
[8] ‘ aspetto/ di vedere Dio alla
TV/ trasmesso (come musica) sugli altari
di una chiesa’, trad. I.Nicchiarelli.
[9]
Bizzarria. Il termine usato dal poeta si riferisce al ‘Loplop’, nome di
uno strano uccello creato dalla fantasia
dell’artista surrealista, Max Ernst, e da lui usato come suo alter-ego,
narratore e commentatore nei suoi scritti e nei suoi lavori pittorici.