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Alla fine dell’ intervallo dopo
il documentario, un grande applauso accoglie l’arrivo del grande vecchio
della Poesia Latino-Americana: Juan Gelman[1].
Lui, l’amato poeta argentino, l’ex-militante della sinistra peronista in esilio
dal 1975[2],
che ha sempre dichiarato che “ Scrivere poesia è interrogarsi sulla realtà … senza
timori ” e creduto nella poesia come
memoria, come vittoria sull’orrore del dimenticare, come modo di riempire il
vuoto creato dalla violenza.
Con la sua voce calda,
comincia a leggere i suoi versi e tutti lo ascoltano commossi:
Giovedì trascorso nell’atmosfera
amica
della tua
conversazione. Sulla tovaglia,
i dolci piatti, il
coltello all’erta,
la voglia di mangiare.
La voglia pure di chiacchierare
un po’,
di tutto, di ogni
cosa, di niente.
Di piangere per via
della cipolla
e di ridere giusto sul
cucchiaio.
Le tue mani abili,
tiepide di ortaggi,
ed il grembiule che si
rovina sempre
in quel punto, che
rabbia!
Il pane è aumentato
ancora, eh? Come faremo!
Come faremo, mia sposa,
come faremo a
toccare l’aria di
questo semplice giovedì!
Guardarci il petto,
scandalo della vita!
Udire nel tuo ventre come cresce
nostro figlio!
E tutto il resto, lo sistemeremo.
Tutto è amorevole e bello
in questo semplice giovedì, in cui
tra odori di cucina, lessico familiare, preoccupazioni e speranze, tutto sembra
normale. La vita prepotentemente batte sotto il petto e si moltiplica nel
ventre della sposa. Ma qualcosa non torna: “il coltello all’erta” sulla
tovaglia, il “ridere giusto sul
cucchiaio”, “il grembiule che si rovina sempre” e il prezzo del pane che
aumenta. Forse con un po’ di pazienza … ma non si può cancellare il resto! Ci
sono parole e silenzi, e in quei silenzi il non detto riaffiora, sguscia tra le
parole, apparentemente allegre e leggere. La rabbia è solo un ritornello
inutile e senza forza, e la pazienza invocata solo un tentativo di oblio.
Un giovedì - e tutto il
pubblico che sta ascoltando il poeta pensa ad altri terribili giovedì,
quelli in cui a Buenos Aires le Madri de la Plaza de Mayo, con i loro
fazzoletti bianchi, marciavano intorno al palazzo del governo per chiedere il
ritorno dei desaparecidos; tutti pensano anche alla tragica storia personale di
Juan Gelman, anche lui vittima della dittatura, anche lui infaticabile nella
ricerca della verità. Tutti ricordano la scomparsa del suo giovane figlio e della nuora incinta,
rapiti e assassinati per colpire il poeta che, accusato di attività
antigovernative, si era rifugiato in Italia per sfuggire alla polizia
argentina.[4]
Malgrado la vita segnata
dalla sofferenza e dai lutti, però,
quella di Gelman non è mai una poesia
appesantita dall’ ideologia; è, al contrario, come quella che Zoé ha appena
ascoltato, una poesia che procede
ritmata, con versi spezzati dalle cesure, ripetizioni di parole, quasi che il
poeta voglia fissare i ricordi, come per non dimenticare. Lo stesso ritmo
spezzato che lei può riudire in altri suoi componimenti.
Come, per esempio, “donne”.
È la sua patria, l’Argentina, ferita dalla dittature e dal disastro degli anni
che poi seguirono, la donna-mille- donne
dei versi che Zoé ora ascolta?
dire che
quella donna era due donne è dire pochino
doveva averne 12 397 di donne nella sua donna/
era difficile sapere con chi si trattava
in quel popolo di donne/ esempio:
doveva averne 12 397 di donne nella sua donna/
era difficile sapere con chi si trattava
in quel popolo di donne/ esempio:
giacevamo
in un letto d’amore/
lei era un’alba di alghe fosforescenti/
quando feci per abbracciarla
si trasformò in singapore piena di cani che urlavano/ ricordo
lei era un’alba di alghe fosforescenti/
quando feci per abbracciarla
si trasformò in singapore piena di cani che urlavano/ ricordo
quando
apparve avvolta di rose di aghadir/
pareva una costellazione in terra/
pareva che la croce del sud fosse discesa a terra /
quella donna brillava come la luna della sua voce destra/
come il sole che tramontava nella sua voce/
sulle rose c’erano scritti tutti i nomi di quella donna meno uno/
e quando si voltò,/ la sua nuca era il piano economico/
aveva migliaia di cifre e il bilancio delle morti favorevole alla dittatura militare/
pareva una costellazione in terra/
pareva che la croce del sud fosse discesa a terra /
quella donna brillava come la luna della sua voce destra/
come il sole che tramontava nella sua voce/
sulle rose c’erano scritti tutti i nomi di quella donna meno uno/
e quando si voltò,/ la sua nuca era il piano economico/
aveva migliaia di cifre e il bilancio delle morti favorevole alla dittatura militare/
non si
sapeva mai dove andava a parare quella donna/
io ero leggermente sconcertato / una notte
le picchiai sulla spalla per vedere con chi mi trovavo
e vidi nei suoi occhi deserti un cammello / a volte
io ero leggermente sconcertato / una notte
le picchiai sulla spalla per vedere con chi mi trovavo
e vidi nei suoi occhi deserti un cammello / a volte
quella
donna era la banda municipale del mio paese /
suonava dolci Walzer finché il trombone incominciava a stonare /
e tutti stonavano con lui /
quella donna aveva la memoria stonata/
suonava dolci Walzer finché il trombone incominciava a stonare /
e tutti stonavano con lui /
quella donna aveva la memoria stonata/
tu
potevi amarla fino al delirio /
farle crescere giorni dal sesso tremante/
farla volare come uccellino di lenzuola /
il giorno dopo si svegliava parlando di malevic /
farle crescere giorni dal sesso tremante/
farla volare come uccellino di lenzuola /
il giorno dopo si svegliava parlando di malevic /
la
memoria le andava come un orologio rabbioso /
alle tre del pomeriggio si ricordava del mulo
che le aveva preso a calci l’infanzia in una notte dell’essere /
donava molto quella donna ed era una banda municipale
alle tre del pomeriggio si ricordava del mulo
che le aveva preso a calci l’infanzia in una notte dell’essere /
donava molto quella donna ed era una banda municipale
la
divoravano tutti i fantasmi che poté
alimentare con le sue mille donne /
ed era una banda municipale stonata
allontanandosi fra le ombre della piazzetta del mio paese /
alimentare con le sue mille donne /
ed era una banda municipale stonata
allontanandosi fra le ombre della piazzetta del mio paese /
io /
compagni / una notte come questa che
ci impregnano i volti che forse moriamo /
montai sul piccolo cammello che nei suoi occhi aspettava
e me ne andai nelle tiepide sponde di quella donna /
ci impregnano i volti che forse moriamo /
montai sul piccolo cammello che nei suoi occhi aspettava
e me ne andai nelle tiepide sponde di quella donna /
zitto come un bambino
sotto gli avvoltoi grassi
che mi mangiano tutto / meno il pensiero
di quando lei si riuniva come un ramo
di dolcezza e lo lanciava nella sera
che mi mangiano tutto / meno il pensiero
di quando lei si riuniva come un ramo
di dolcezza e lo lanciava nella sera
L’amore, l’eros come passione
violenta fagocitante di amanti-erinni che si divorano, si lacerano e si
bruciano nel loro incontrarsi, diventa invocazione, desiderio urlato in
solitudine in questa sua bella
Poesia Preghiera[6]
Abitami, penetra in me.
Che sia uno il tuo sangue col mio.
Entri la tua bocca nella mia.
Il tuo cuore ingrandisca il mio fino a scoppiare.
Straziami.
Cadi intera nelle mie viscere.
Vadano le tue mani nelle mie mani.
Camminino i tuoi piedi nei miei piedi, i tuoi piedi.
Che sia uno il tuo sangue col mio.
Entri la tua bocca nella mia.
Il tuo cuore ingrandisca il mio fino a scoppiare.
Straziami.
Cadi intera nelle mie viscere.
Vadano le tue mani nelle mie mani.
Camminino i tuoi piedi nei miei piedi, i tuoi piedi.
Ardi in me, ardimi.
Colmami della tua dolcezza.
Che la tua saliva bagni il mio palato.
Sii in me come è il legno nel ramoscello.
Che non resisto più così, con questa sete
che mi brucia.
Con questa sete che mi brucia.
La solitudine, i suoi corvi, i suoi cani, i suoi brandelli.
Colmami della tua dolcezza.
Che la tua saliva bagni il mio palato.
Sii in me come è il legno nel ramoscello.
Che non resisto più così, con questa sete
che mi brucia.
Con questa sete che mi brucia.
La solitudine, i suoi corvi, i suoi cani, i suoi brandelli.
O ancora:
dopo aver amato
il tuo ventre illumina ancora l’oscurità
la stanchezza
la notte rifugiata nella stanza
il silenzio ha tremato per noi
come i piedi scalzi di quest’inverno di poveri
rimangono ancora tra le tue braccia
volti d’amore abbandonati
dopo aver amato
regrediamo al fuoco, alla furia
all’ingiustizia
nella città che geme come pazza
l’amore conta pian piano
gli uccelli morti contro il freddo
le carceri, i baci, la solitudine
i giorni che mancano
per la rivoluzione
Infine, Gelman ricorda con alcuni
versi Javier Heraud[8], il
giovane poeta guerrigliero peruviano:
-... Noi tutti amiamo la
poesia – aggiunge- e io credo che la
poesia aiuti a coltivare l’amore per la vita, nasce dal dolore, ma aiuta a
liberarcene; però Javier Heraud ha detto qualcosa in più, una cosa bellissima.
Questa: ‘ […] E la poesia è / un lampo meraviglioso, una pioggia di parole
silenziose / un bosco di battiti e di speranze…/ …E la poesia è allora, /
l’amore, la morte, / la redenzione dell’uomo.’[9]Come
tutti i Peruviani sapeva che la vita è soprattutto lotta.
-È così coinvolgente … e tutti ascoltano rapiti,
partecipi. - riesce a dire Zoé tra gli
applausi che salutano il vecchio poeta. -Mi sembra come se tutta questa
gente, in questo teatro gremito,
desideri essere quasi nutrita dalla poesia. Lì seduti, li vedo battere le mani,
pensare, ascoltare e sperare. È un’esperienza profondamente vera. Raùl le prende la mano e la guarda
sorridendo:-Sai, qui l’amore per la letteratura, ma soprattutto per la poesia è
diffusa come la passione per il calcio. Mario Rivero ha detto che per lui
è:”..l’unica cosa pulita/ giusta/ per evadere la brutalità degli eventi/..”. -
Ma non è evasione, c’è sempre impegno. Sì, penso che anche la poesia più
leggera ci sveli qualcosa.
-Io … non so, tutto questo
sentire così forte, senza mediazioni. La natura, le passioni, i sensi sempre
allertati, l’orrore e la violenza. Mi sembra come se provassi tutto insieme per
la prima volta. È una ubriacatura di sensazioni.- conclude Zoé mentre tornano in albergo.
Anche a cena, poi, continuano a parlare e
Raùl le racconta di sé.
‘È bello, così giovane e
pieno di entusiasmo … Cerca di distrarmi e gliene sono grata.’- pensa Zoé
mentre guarda ogni tanto il cellulare, sperando nell’arrivo di qualche messaggio.
Ascolta Raùl e pensa che le
comunicazioni con Gordon sono state brevi in questi giorni, e quelle poche sapevano di depressione e nervosismo.
Intanto, il cellulare tace, continua a
non dar segni di vita.
[...]
[1] Juan Gelman nasce a Buenos Aires
nel 1930; scrittore, poeta e giornalista argentino. Premio Cervantes 2007 e traduttore
all’UNESCO. Nel 1975 lascia l’Argentina, in esilio prima volontario poi
forzato. Da allora ha passato un lungo periodo a Roma, spostandosi successivamente
in varie parti del mondo. Ha poi vissuto
a lungo in Messico, dove è morto il 14 gennaio 2014.
[2] Anno del colpo di stato del
generale Videla.
[3] Juan Gelman, “Poesia”, per gentile concessione della Redazione italiana di www.juangelman.net ;traduzione inedita di Laura
Branchini.
[4] Nel gennaio del 1990 furono
identificati i resti del figlio Marcelo, ucciso a venti anni con un colpo alla
nuca. Anche la nuora, allora incinta, era scomparsa; fu fatta partorire e poi
portata con la bambina in Uruguay. La bimba, Maria Macarena, fu affidata ad una famiglia di Montevideo. J.
Gelman non smise mai di cercare la nipotina. Dopo una ricerca durata 23 anni, fu
infine da lui ritrovata nel 2000.
[5] Juan Gelman, “donne” in “Doveri
dell’esilio”, interlinea edizioni, 2006; traduzioni di Laura Branchini.
[6]Juan Gelman, “Poesia-preghiera”, per gentile concessione della Redazione italiana
di www.juangelman.net;traduzione inedita di Laura
Branchini, per gentile concessione.
[7] Juan Gelman,”La
Vittoria”, da Gotàn,Guanda, 1980
(fuori catalogo); traduzione di Antonella Fabriani.
[8] Javier Heraud nasce a Lima nel
1942 e muore nel 1963, combattendo come militante del FLN, Fronte di
Liberazione Nazionale del Perù, nei pressi di Puerto Maldonado, presso il Rio
Madre de Diòs, al confine tra Bolivia e Perù. Le poesie di J.
Heraud furono scoperte e alcune di loro tradotte in italiano dal poeta Antonio
Porta negli anni 70.
[9]Javier Heraud, da “Parole Silenziose”, in “Poemas de Rodrigo Machado”, Madrid
1961- LaHabana 1963; Trad. di Cesare Sangalli, in http://www.altrevoci.it/reportages34.html
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