lunedì 17 dicembre 2018

"Una piccola storia latino-americana" , cap.8 (2) da '365 poesie dal mondo per una storia d'amore" di Bruni-Nicchiarelli, 2014


8 [...]
Alla fine dell’ intervallo dopo il documentario, un grande applauso accoglie l’arrivo del grande vecchio della Poesia Latino-Americana:  Juan Gelman[1]. Lui, l’amato poeta argentino, l’ex-militante della sinistra peronista in esilio dal 1975[2], che ha sempre dichiarato che “ Scrivere poesia è interrogarsi sulla realtà … senza timori ”  e creduto nella poesia come memoria, come vittoria sull’orrore del dimenticare, come modo di riempire il vuoto creato dalla violenza.
              Con la sua voce calda, comincia a leggere i suoi versi e tutti lo ascoltano commossi:
Poesia [3]                               
Giovedì trascorso nell’atmosfera amica
della tua conversazione. Sulla tovaglia,
i dolci piatti, il coltello all’erta,
la voglia di mangiare.

La voglia pure di chiacchierare un po’,
di tutto, di ogni cosa, di niente.
Di piangere per via della cipolla
e di ridere giusto sul cucchiaio.

Le tue mani abili, tiepide di ortaggi,
ed il grembiule che si rovina sempre
in quel punto, che rabbia!
Il pane è aumentato ancora, eh? Come faremo!

Come faremo, mia sposa, come faremo a
toccare l’aria di questo semplice giovedì!
Guardarci il petto, scandalo della vita!
Udire nel tuo ventre come cresce nostro figlio!

E tutto il resto, lo sistemeremo.

            Tutto è amorevole e bello in questo semplice giovedì, in cui tra odori di cucina, lessico familiare, preoccupazioni e speranze, tutto sembra normale. La vita prepotentemente batte sotto il petto e si moltiplica nel ventre della sposa. Ma qualcosa non torna: “il coltello all’erta” sulla tovaglia, il  “ridere giusto sul cucchiaio”, “il grembiule che si rovina sempre” e il prezzo del pane che aumenta. Forse con un po’ di pazienza … ma non si può cancellare il resto! Ci sono parole e silenzi, e in quei silenzi il non detto riaffiora, sguscia tra le parole, apparentemente allegre e leggere. La rabbia è solo un ritornello inutile e senza forza, e la pazienza invocata solo un tentativo di oblio.
           Un giovedì - e tutto il pubblico che sta ascoltando il poeta pensa ad altri terribili giovedì, quelli  in cui a Buenos Aires le Madri de la Plaza de Mayo, con i loro fazzoletti bianchi, marciavano intorno al palazzo del governo per chiedere il ritorno dei desaparecidos; tutti pensano anche alla tragica storia personale di Juan Gelman, anche lui vittima della dittatura, anche lui infaticabile nella ricerca della verità. Tutti ricordano la scomparsa  del suo giovane figlio e della nuora incinta, rapiti e assassinati per colpire il poeta che, accusato di attività antigovernative, si era rifugiato in Italia per sfuggire alla polizia argentina.[4]
           Malgrado la vita segnata dalla sofferenza e dai  lutti, però, quella di Gelman  non è mai una poesia appesantita dall’ ideologia; è, al contrario, come quella che Zoé ha appena ascoltato, una poesia che  procede ritmata, con versi spezzati dalle cesure, ripetizioni di parole, quasi che il poeta voglia fissare i ricordi, come per non dimenticare. Lo stesso ritmo spezzato che lei può riudire in altri suoi componimenti.
          Come, per esempio, “donne”. È la sua patria, l’Argentina, ferita dalla dittature e dal disastro degli anni che poi seguirono, la donna-mille- donne dei versi che Zoé ora ascolta?
donne[5]
dire che quella donna era due donne è dire pochino
doveva averne 12 397 di donne nella sua donna/
era difficile sapere con chi si trattava
in quel popolo di donne/ esempio:
giacevamo in un letto d’amore/
lei era un’alba di alghe fosforescenti/
quando feci per abbracciarla
si trasformò in singapore piena di cani che urlavano/ ricordo
quando apparve avvolta di rose di aghadir/
pareva una costellazione in terra/
pareva che la croce del sud fosse discesa a terra /
quella donna brillava come la luna della sua voce destra/

come il sole che tramontava nella sua voce/
sulle rose c’erano scritti tutti i nomi di quella donna meno uno/
e quando si voltò,/ la sua nuca era il piano economico/
aveva migliaia di cifre e il bilancio delle morti favorevole alla dittatura militare/
non si sapeva mai dove andava a parare quella donna/
io ero leggermente sconcertato / una notte
le picchiai sulla spalla per vedere con chi mi trovavo
e vidi nei suoi occhi deserti un cammello / a volte
quella donna era la banda municipale del mio paese /
suonava dolci Walzer finché il trombone incominciava a stonare /
e tutti stonavano con lui /
quella donna aveva la memoria stonata/
tu potevi amarla fino al delirio /
farle crescere giorni dal sesso tremante/
farla volare come uccellino di lenzuola /
il giorno dopo si svegliava parlando di malevic /
la memoria le andava come un orologio rabbioso /
alle tre del pomeriggio si ricordava del mulo
che le aveva preso a calci l’infanzia in una notte dell’essere /
donava molto quella donna ed era una banda municipale
la divoravano tutti i fantasmi che poté
alimentare con le sue mille donne /
ed era una banda municipale stonata
allontanandosi fra le ombre della piazzetta del mio paese /
io / compagni / una notte come questa che
ci impregnano i volti che forse moriamo /
montai sul piccolo cammello che nei suoi occhi aspettava
e me ne andai nelle tiepide sponde di quella donna /
zitto come un bambino sotto gli avvoltoi grassi
che mi mangiano tutto / meno il pensiero
di quando lei si riuniva come un ramo
di dolcezza e lo lanciava nella sera

            L’amore, l’eros come passione violenta fagocitante di amanti-erinni che si divorano, si lacerano e si bruciano nel loro incontrarsi, diventa invocazione, desiderio urlato in solitudine in questa sua  bella
Poesia Preghiera[6]
Abitami, penetra in me.
Che sia uno il tuo sangue col mio.
Entri la tua bocca nella mia.
Il tuo cuore ingrandisca il mio fino a scoppiare.
Straziami.
Cadi  intera nelle mie viscere.
Vadano le tue mani nelle mie mani.
Camminino i tuoi piedi nei miei piedi, i tuoi piedi.
Ardi in me, ardimi.
Colmami della tua dolcezza.
Che la tua saliva bagni il mio palato.
Sii  in me come è il legno nel ramoscello.
Che non resisto più così, con questa sete
che mi brucia.
Con questa sete che mi brucia.
La solitudine, i suoi corvi, i suoi cani, i suoi brandelli.

O ancora:
La Vittoria [7]
[….]

dopo aver amato
il tuo ventre illumina ancora l’oscurità
la stanchezza
la notte rifugiata nella stanza
il silenzio ha tremato per noi
come i piedi scalzi di quest’inverno di poveri
rimangono ancora tra le tue braccia
volti d’amore abbandonati
dopo aver amato
regrediamo al fuoco, alla furia
all’ingiustizia
nella città che geme come pazza
l’amore conta pian piano
gli uccelli morti contro il freddo
le carceri, i baci, la solitudine
i giorni che mancano
per la rivoluzione

Infine, Gelman ricorda con alcuni  versi Javier Heraud[8], il giovane poeta guerrigliero peruviano:
          -... Noi tutti amiamo la poesia – aggiunge-  e io credo che la poesia aiuti a coltivare l’amore per la vita, nasce dal dolore, ma aiuta a liberarcene; però  Javier Heraud  ha detto qualcosa in più, una cosa bellissima. Questa: ‘ […] E la poesia è / un lampo meraviglioso, una pioggia di parole silenziose / un bosco di battiti e di speranze…/ …E la poesia è allora, / l’amore, la morte, / la redenzione dell’uomo.’[9]Come tutti i Peruviani sapeva che la vita è soprattutto lotta.
         -È così  coinvolgente … e tutti ascoltano rapiti, partecipi. -  riesce a dire Zoé tra gli applausi che salutano il vecchio poeta. -Mi sembra come se tutta questa gente,  in questo teatro gremito, desideri essere quasi nutrita dalla poesia. Lì seduti, li vedo battere le mani, pensare, ascoltare e sperare. È un’esperienza profondamente vera.   Raùl le prende la mano e la guarda sorridendo:-Sai, qui l’amore per la letteratura, ma soprattutto per la poesia è diffusa come la passione per il calcio. Mario Rivero ha detto che per lui è:”..l’unica cosa pulita/ giusta/ per evadere la brutalità degli eventi/..”. - Ma non è evasione, c’è sempre impegno. Sì, penso che anche la poesia più leggera ci sveli qualcosa.
         -Io … non so, tutto questo sentire così forte, senza mediazioni. La natura, le passioni, i sensi sempre allertati, l’orrore e la violenza. Mi sembra come se provassi tutto insieme per la prima volta. È una ubriacatura di sensazioni.-  conclude Zoé mentre tornano in albergo.
         Anche a cena, poi, continuano a parlare e Raùl le racconta di sé.
        ‘È bello, così giovane e pieno di entusiasmo … Cerca di distrarmi e gliene sono grata.’- pensa Zoé mentre guarda ogni tanto il cellulare, sperando nell’arrivo di qualche messaggio.
         Ascolta Raùl e pensa che le comunicazioni con Gordon sono state brevi in questi giorni, e quelle poche sapevano di depressione e nervosismo. Intanto,  il cellulare tace, continua a non dar segni di vita.
[...]



[1] Juan Gelman nasce a Buenos Aires nel 1930; scrittore, poeta e giornalista argentino. Premio Cervantes 2007 e traduttore all’UNESCO. Nel 1975 lascia l’Argentina, in esilio prima volontario poi forzato. Da allora ha passato un lungo periodo a Roma, spostandosi successivamente in varie parti del mondo.  Ha poi vissuto a lungo in Messico, dove è morto il 14 gennaio 2014.
[2] Anno del colpo di stato del generale Videla.
[3] Juan Gelman, “Poesia”, per gentile concessione della Redazione italiana di www.juangelman.net ;traduzione inedita di Laura Branchini.
[4] Nel gennaio del 1990 furono identificati i resti del figlio Marcelo, ucciso a venti anni con un colpo alla nuca. Anche la nuora, allora incinta, era scomparsa; fu fatta partorire e poi portata con la bambina in Uruguay. La bimba, Maria Macarena, fu  affidata ad una famiglia di Montevideo. J. Gelman non smise mai di cercare la nipotina. Dopo una ricerca durata 23 anni, fu infine da lui ritrovata nel 2000.
[5] Juan Gelman, “donne” in “Doveri dell’esilio”, interlinea edizioni, 2006; traduzioni di Laura Branchini.
[6]Juan Gelman, “Poesia-preghiera”, per gentile concessione della Redazione italiana di www.juangelman.net;traduzione inedita di Laura Branchini, per gentile concessione.
[7] Juan Gelman,”La Vittoria”, da Gotàn,Guanda, 1980 (fuori catalogo); traduzione di Antonella Fabriani.
[8] Javier Heraud nasce a Lima nel 1942 e muore nel 1963, combattendo come militante del FLN, Fronte di Liberazione Nazionale del Perù, nei pressi di Puerto Maldonado, presso il Rio Madre de Diòs, al confine tra Bolivia e Perù. Le poesie di J. Heraud furono scoperte e alcune di loro tradotte in italiano dal poeta Antonio Porta negli anni 70.
[9]Javier Heraud, da “Parole Silenziose”, in “Poemas de Rodrigo Machado”, Madrid 1961- LaHabana 1963; Trad. di Cesare Sangalli, in  http://www.altrevoci.it/reportages34.html

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