Gli scrittori contro il genocidio dei
palestinesi a Gaza
“Non
c’è pace senza giustizia”
Il
disinteresse quasi totale anche del mondo della cultura italiano nei confronti
della questione palestinese e del nuovo, feroce, sanguinoso attacco sferrato a
Gaza da parte dello Stato di Israele è il sintomo tristemente evidente
dell’inumanizzazione a cui si è giunti. L’intellettualità democratica, infatti,
appare per lo più allineata sulle politiche decise dai poteri di Israele e dei
suoi sostenitori di Washington, Bruxelles, Londra e Berlino, con posizioni
ormai consolidate di silenzio “equidistante” o, peggio ancora, di rovesciamento
della verità storica.
A
nostro avviso, al contrario, i diritti del popolo palestinese rappresentano la
vera sfida di civiltà della comunità internazionale, che dovrebbe far
rispettare, come in qualsiasi altra parte del mondo, i princìpi fondativi che
regolano la convivenza tra i popoli.
Si
assiste, praticamente indifferenti da decenni, all’occupazione incessante delle
terre in Palestina, alla distruzione di villaggi, alla costruzione di muri,
alla segregazione della popolazione in campi profughi, alla negazione
dell’acqua e delle altre risorse naturali, alle continue aggressioni da parte
dei coloni, alla privazione di qualsiasi libertà, ad abusi fisici e psicologici
sui bambini, ad embarghi e assedi ininterrotti, oltre che a bombardamenti
micidiali su civili inermi, ogni qual volta le palestinesi ed i palestinesi,
espropriati, vessati, umiliati, cercano di far conoscere al mondo i veri motivi
della loro eroica resistenza.
Come
diceva senza mezzi termini l’intellettuale ebreo Noam Chomsky in un suo scritto
del 2012, “[…] La decisione israeliana di far piovere morte e distruzione su
Gaza, di usare armi letali dei moderni campi di battaglia su una popolazione
civile ampiamente indifesa è la fase finale della campagna decennale di pulizia
etnica del popolo palestinese. […]”.
Occorre
partire da qui per comprendere che il problema fondamentale da affrontare nella
tragica questione palestinese è quello di spezzare il cerchio perverso di
propaganda, di manipolazione sistematica, quindi di disinformazione, veicolate
da decenni dai governi di Israele e dai suoi sostenitori. Moni Ovadia ha
affermato - nel suo ultimo intervento durante l’assemblea nazionale de “L’altra
Europa” del 19 luglio scorso – che «[…] basterebbe leggere quella parte,
piccola, ma fondativa in questo campo di quella stampa israeliana che denuncia
questa disinformatia da sempre. Il grande giornalista israeliano Gideon
Levy ha scritto un articolo dal titolo e dal contenuto palmari, che spiega
questa, come le altre guerre, le altre aggressioni: “Israele non vuole la
pace”. Questo articolo è di una chiarezza adamantina ed è inconfutabile. […] Al
centro del processo di manipolazione dell’informazione, condotta dal governo
israeliano e dai suoi numerosi cantori a livello internazionale, mondiale, c’è
l’autovittimizzazione. Anche questa volta, la pioggia dei razzi poco efficaci
palestinesi, che vengono da Hamas o da altre forze, e sui quali possiamo fare
critiche o disamine, non nascono, come vogliono farci credere e come ripetono
ininterrottamente, da un’originaria volontà di distruggere Israele, ma dal
fatto che da quando Sharon ha deciso il ritiro da Gaza, ne ha determinato
un’occupazione molto più violenta e molto più perversa, blindando la striscia
di Gaza in una gabbia, che le forze militari e le autorità israeliane
controllano […] dai confini, al passaggio delle merci, dallo spazio aereo a
quello marittimo, fino all’anagrafe, perché persino le carte d’identità non
sono emesse dall’autorità palestinese, ma da quella israeliana. […]». Gaza,
anche secondo la giornalista israeliana di Ha’aretz Amira Hass, è stata
sottoposta allo stillicidio di un micidiale assedio quotidiano e, dice sempre
Ovadia, «[…] da che esiste l’umanità l’assedio è considerato atto di guerra.
[…]». Ma, d’altra parte, la situazione di oppressione e privazione riguarda
tutte le palestinesi ed i palestinesi, compresi quelli di Cisgiordania, che
vivono anch’essi in una prigione a cielo aperto.
Va
denunciato, con parole chiare ed inequivocabili che ormai, purtroppo, rimane
poco della Palestina. Giorno dopo giorno Israele la sta cancellando dalle
mappe. I coloni invadono, e dietro di loro i soldati ne modificano i confini
(come risulta con chiarezza disarmante dalla sottostante cartina).
Altrettanto
reale ed inconfutabile è il fatto che Israele «non ha mai voluto avere una
costituzione - riprendendo ancora le lucide parole di Moni Ovadia -, ovvero non
ha mai definito i propri confini. Non li definisce e non li rispetta […]». Non
si è mai attenuto, infatti, alle due risoluzioni dell’ONU che stabilirono la Green Line ,
ovvero il confine tra i due Stati: quello esistente, iperstrutturato di
Israele, e quello virtuale, negato, che dovrebbe essere dello Stato
Palestinese.
Queste,
come tutte le altre risoluzioni dell’ONU – pur frutto di enormi compromessi a
favore di Israele – da cinquant’anni non vengono rispettate, nel silenzio
connivente del mondo, già sopra evidenziato. Anche le trattative di pace,
condotte di tanto in tanto dai governi occidentali risultano palesemente false
e strumentali, mancando ad essi – in quanto sempre e comunque dalla parte di
Israele - una reale volontà di risoluzione della questione palestinese.
Di
fronte, dunque, a tanta palese ingiustizia ad ognuno di noi non rimane che il
dovere di informarsi e di informare sulla verità storica di quella terra e del
suo martoriato popolo, affinché l’opinione pubblica occidentale si modifichi e
possa finalmente contribuire a cambiare radicalmente la rotta.
Insomma, come sostiene anche
il giornalista freelance Paolo Barnard in un suo video che ripercorre la storia
del progetto sionista sin dalla fine dell’800 e la sua attuazione nella terra
di Palestina, è necessario “capire il torto” per modificare la realtà.
*** Si sollecitano adesioni da indirizzare alla seguente mail:
(Io ho aderito)
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