2 Michele riconosce
l’Amministratore
Mi era capitato di
incontrare di nuovo Giacinti qualche tempo dopo al supermercato lì vicino, dove
andavo una volta a settimana a far scorta di cibo. Non mi dispiaceva quel
rituale, poi ero così abitudinario che ormai ero diventato velocissimo a
riempire ogni volta il carrello con gli stessi prodotti, a parte qualche frutto
di stagione. Daniela diceva che ero un monaco. Nessuna concessione a
prelibatezze, primizie e cose raffinate. Niente alcool, se non qualche birra in
pizzeria, e la spesa un atto dovuto da fare nel minor tempo possibile. In
realtà, mi piacevano le zone franche come il supermercato, dove il contatto
con gli altri è ridotto al minimo, dove ai cassieri che digitavano compulsivi
sulle loro casse non interessava il mio nome o la mia faccia. Dietro i loro
movimenti meccanici assaporavo un po’ di libertà.
Ero arrivato alla fine del
percorso, attraverso i banconi stracolmi di merci occhieggianti inutilmente-
almeno per me- dentro confezioni multicolori e passando indenne attraverso aromi
e odori, annunci di sconti eccezionali e musichette suadenti. Avevo scaricato i
pochi prodotti che avevo scelto ben allineati sul nastro, come al solito, mentre
aspettavo il mio turno, quando la mia attenzione fu letteralmente presa da un
uomo che spingeva un carrello ricolmo di bottiglie qualche cassa più in là.
Sembrava dirigersi verso il parcheggio e c’era una donna piuttosto elegante che
lo seguiva parlandogli inascoltata. Probabilmente la moglie. Quel uomo aveva
qualcosa di vagamente familiare, nel suo vestito di buona fattura, quel modo di
camminare sicuro e strafottente, e quel guardarsi intorno come per controllare
la scena e l’effetto che il suo passaggio aveva avuto sull’ ignaro pubblico di
avventori e dipendenti del magazzino. Mi misi subito in allerta. Quando si
volse, mi salutò con un cenno del capo e un abbozzo di sorriso.
Ma certo! L’amministratore
del palazzo, l’uomo che avevo visto in guardiola. Anche stavolta avevo sentito
il suo sguardo indugiare a lungo su di me. In quegli anni avevo imparato ad
annusare il pericolo e quel uomo sembrava quasi conoscermi da tempo. Come
aveva detto? Giacinti. Anche il nome non mi sembrava completamente nuovo.
Risposi al saluto vagamente. La “moglie” di Giacinti doveva aver chiesto al “marito”
chi fossi perché anche lei si volse a osservarmi.
Accelerai l’operazione di
riempimento dei sacchetti, pagai mentre il cuore aumentava il ritmo dei
battiti. ‘ Giacinti. L’ho già incontrato prima d’ora? Dove? Quando? In quale vita?
Non è una persona limpida, lo sento. Mi inquieta. Devo stare attento, mi ero
detto e continuai a ripeterlo nei giorni seguenti come un mantra.
Dopo di allora mi sembrò di incrociarlo sempre
più spesso e ovunque. Solito sorriso. Da lontano. Facevo di tutto per evitare
un incontro ravvicinato, ma non poteva
durare a lungo. E infatti avvenne un pomeriggio, al ritorno dal lavoro.
Per tutto il giorno mi aveva tormentato un mal
di testa di sapore pre-influenzale e avevo staccato un po’ prima del solito. Doveva
essere già autunno inoltrato, perché pur non essendo un’ora tarda, mentre
guidavo verso casa, avevo visto scomparire le ultime luci nel cielo e il buio
mangiare a poco a poco i lati della strada non illuminati dai fari. Avevo, poi, parcheggiato
l’auto nel garage, attento, come ormai era mia abitudine, a lasciarla pronta
con il muso verso l’uscita. Quel misto di umidità, di carburante e pneumatici che
impregnava i muri e il pavimento del locale mi colpì più di sempre. C’erano
ancora poche auto, però, oltre ai soliti motorini dei ragazzi del secondo piano,
accostati vicino al passaggio verso le scale. Troppo presto per i vicini. Dunque,
non mi aspettavo certo di incontrare qualcuno e invece, mentre salivo i gradini
verso l’ingresso principale, mancò poco che mi scontrassi con quel Giacinti che,
pensieroso e con aria guardinga, stava dirigendosi verso il suo archivio nel sottoscala. Istintivamente
mi ritrassi, divenni un tutt’uno con lo zaino in cui portavo il pc, incollato
alle spalle.
- Salve! Come sta? Torna dal lavoro? Beato lei! Io ho ancora qualche
scartoffia che mi aspetta, aveva subito detto stringendomi la mano e poi
indicando alla mia destra la porta del locale che usava come ufficio-archivio.
Risposi ai convenevoli, ma siccome incalzava con tutte quelle domande
dal tono salottiero tentai di porre fine alla conversazione: -Sono tornato un
po’ prima del solito stasera. Temo che l’influenza quest’anno non mi abbia
risparmiato. O forse semplicemente un arrivo di raffreddore.
E intanto la mano mi era corsa alla tasca dei pantaloni dove tenevo il
mio fido spray nasale. Mi si era seccata la bocca e mi sembrava di respirare a
fatica. Ma Giacinti non sembrava avere alcuna voglia di smettere; leggermente
più alto di me, col suo corpo forte mi bloccava e mi impediva di continuare
verso le scale mentre con quegli occhi scuri e puntuti, inquisitivi, quasi da
faina, continuava a fissarmi in modo sfacciato. La luce a tempo dell’andito si era
spenta e lui l’aveva subito riaccesa.
- Lavora molto distante da
qui? -riprese, mentre il profumo aggressivo del suo dopobarba mi avvolgeva tra
le spire.
Stavo pensando a come sbloccare la situazione quando
fortunatamente dal garage arrivò Pratesi,
il commerciante del quarto piano, lo sbruffone con il SUV e la moglie carina, ma con l’aria perennemente depressa.
Sembravano amici lui e Giacinti per i
modi che usava, o perlomeno si intuiva una certa familiarità o un qualche
interesse in comune tra i due, tuttavia quella sera Pratesi pareva meno aitante
del solito. La sua bella faccia da quarantenne rampante era segnata da
stanchezza o da qualche pensiero che l’ossessionava. Si illuminò brevemente al momento dei saluti, per poi spegnersi dietro
a un sospiro, come se non avesse più scampo:
- Ciao! Buonasera! Come va? Mi scusi tanto… Ehm, Manlio, devo
parlarti. Ti chiamo più tardi…
Il tono era forse meno cordiale dei modi e più pressante, ma non
ci feci tanto caso allora. Il fatto è che quel nome, quel nome pronunciato da
Pratesi, mi aveva colpito come una staffilata e aveva cancellato tutto il
resto. Alla fine lo avevo recuperato nella mia memoria. [...]
(isabnic2013)