Da 326 poesie dal mondo per una storia d'amore di M.G. Bruni e I. Nicchiarelli, www.onyxebook.com, 2014:
[...] Il terzo esempio di scrittura caraibica lo offrirò attraverso la presentazione di un autore anglofono, molto amato e conosciuto per lo stile rigoglioso come la natura di quei luoghi, e legato a Césaire per ispirazione e profondo rispetto. E qui Gordon apre il libro, posato davanti a lui, alla pagina segnata da una strisciolina di carta, e legge con voce chiara una poesia:
Là, tout n’est qu’ordre et beauté,
Luxe,
calme, et volupté.
BAUDELAIRE
Anguilla,
Adina,
Antigua,
Canelles,
Andreuille,
tutte le “l”,
Voyelles,
delle liquide
Antille,
i nomi tremano come
aghi
di fregate all’ancora,
[ …]
In equilibrio sul
bompresso
Un giovane marinaio
suona
Il canto di suo nonno
Su una tremante
armonica;
[…]
La musica si dispiega
con
Le morbide vocali
delle insenature,
[…]
La litania delle
isole,
il rosario degli
arcipelaghi,
Anguilla, Antigua,
Vergine di Guadalupe,
e bianca –di -pietra
Grenada
di luce solare e
colombi,
L’amen di calme acque,
L’amen di calme acque,
L’amen di calme acque.
Poi, continua il suo intervento:
-Ho preferito leggervi
questo componimento, invece di mostrarvelo, per farvi cogliere le sue
sonorità. Sono versi che ci ricordano le
onde di marea, con il loro flusso verso riva e riflusso verso l’orizzonte, ed è
proprio questo il movimento, cioè quello di allontanarsi e
tornare, che caratterizza la produzione poetica, i pensieri e la vita di [...]Dereck Walcott[2]. Suoi i versi appena citati.
[...]
-Walcott è nato nell’isola di
Sainta Lucia, a lungo contesa dagli Inglesi e dai Francesi, dove – come lui
stesso dice- “il sole , stanco dell’impero, tramonta” e in questa luce
risplendono le Antille, isole- crogiolo,
come abbiamo visto, di lingue, razze e culture; un ecosistema che sembra
omogeneo e uniforme, ma non lo è. Piuttosto,
una variegata diversità e, al tempo stesso, una sorta di organismo
unitario nella condivisione della drammatica esperienza coloniale. E il discorso coloniale, come sappiamo, non scomparve
con il crollo degli imperi, anzi l’immaginario -non solo quello occidentale - continuò ad esserne
fortemente connotato.
Figlio di genitori mulatti, Walcott vive in
prima persona il conflitto razziale, diviso tra l’amore per la tradizione
europea, ereditato dal padre, e
l’interesse per le proprie origini africane. “Alla stregua del crepuscolo,
sospeso tra il giorno e la sera, l’identità del poeta è come divisa fra i due
mondi degli antenati africani ed europei”.[3] Ecco allora che nei suoi versi, il moro perfido, diventa un melanconico, sensibile al calar
della luna, o al suo scomparire dietro
le nuvole:
Capre e scimmie[4]
“ … proprio adesso, un vecchio ariete nero
Sta montando la tua bianca
pecorella”
Otello
[…]
.
Vergine e scimmia,
fanciulla e moro perfido,
il loro immortale
accoppiamento spezza ancora il nostro mondo in due
Per voi egli è la bestia sacrificale, mugghiante e
pungolata
Un toro nero
avviluppato in nastri del suo sangue
Eppure il furore che
cingeva
Quel turbante color
croco e tramonto nella spada sicura come la luna
Non era in lui
vendetta razziale nera come pantera
Che invadeva la camera
di lei con l’afrore del muschio primitivo
Ma orrore per la luna
che cambiava
Per il guastarsi di un
assoluto,
simile a un frutto
bianco,
maturo e sfatto per
troppe carezze, ma doppiamente dolce.
- L’altra metà del mondo è, dunque,
abitata da Calibano[5], da meticci che vogliono trovare un modo per
cantare i propri uragani[6] e si
nutrono di cultura occidentale per produrre una cultura diversa, negra.
Ma, al contrario di Césaire, Walcott, che appartiene ad una generazione
successiva, ha un atteggiamento di superamento della ferita coloniale. Alla rabbia sostituisce la malinconia
del senso di perdita, e mostra una
volontà di mediazione per il recupero della ricchezza creativa autoctona,
attraverso la possibile fusione dei frammenti delle diverse culture. La battaglia
contro l’impero è, per lui, soprattutto culturale e individua, proprio nell’opera di contaminazione e collage, il ruolo dell’intellettuale
post-coloniale, come è evidente nel discorso di accettazione del Premio Nobel:
[...]
“Rompete un vaso, e l’amore che
rimette insieme i frammenti è più forte dell’amore che dava la sua perfezione
per scontata, quando era integro[….] Questo rimettere insieme i pezzi rotti è
la preoccupazione e il dolore delle Antille,
[…] L’arte delle Antille è questo riaggiustare le nostre storie a pezzi,
i nostri cocci di lessico, il nostro arcipelago che diventa sinonimo di pezzi
staccati alla deriva dal continente d’origine. E questo è il processo esatto
del fare poesia, o quello che dovrebbe essere chiamato non fare, ma ri-fare
poesia […]
La poesia è un’isola che si stacca
dal continente. La lingua originale si dissolve per la fatica della distanza
come la nebbia quando cerca di attraversare l’oceano, ma questo processo
di ri-nominare, di trovare nuove
metafore, è lo stesso processo che il poeta affronta ogni mattina del suo
giorno di lavoro, costruendo i suoi strumenti come Robinson, mettendo insieme
parole per necessità […]
Questa è la base dell’esperienza delle
Antille, questo naufragio di frammenti, questi echi, questi cocci di un enorme
vocabolario tribale, queste tradizioni parzialmente ricordate, e non morte, ma
forti”.
-All’opera di guastatore di Césaire, [...]Walcott sostituisce, dunque,
la sua opera di pacificazione e
di contaminazione del linguaggio, nella convinzione che “[...]il linguaggio è qualcosa che supera in grandezza i propri padroni
e i propri servitori[...] e la poesia, che ne è la massima espressione,
arricchisce gli uni e gli altri e questo diventa un modo per conquistare
un’identità che scavalca tutti i confini.[...]il poeta è davvero come un
uccello che canta senza guardare il ramo su cui si posa, qualunque sia il ramo,
sperando che ci sia qualcuno ad ascoltarlo, anche se sono soltanto le foglie[7]”.
Dietro
l’identità del marinaio Shabine, ecco
come si presenta Walcott:
La goletta Flight [8]
Adios, Carenage
[…]
Io sono solamente un
negro rosso che ama il mare,
ho avuto una buona
istruzione coloniale,
ho in me
dell’olandese, del negro e dell’inglese,
sono nessuno, o sono
una nazione.
Ma Marìa Concepciòn
era in ogni mio pensiero
Mentre guardavo il
mare che saliva e scendeva
E il fianco sinistro
dei canotti, golette e yacht
Veniva ridipinto dalle
pennellate del sole
Che in ogni riflesso
scriveva il suo nome;
sapevo, quando la sera
dai capelli scuri indossava
la sua seta splendente
nel tramonto e, ripiegando il mare,
s’infilava sotto il
lenzuolo con il suo riso stellato,
che non ci sarebbe
stata pace, non oblio.
[...] Walcott è, dunque, “una sorta di punto d'incontro di diverse
culture, lingue, luoghi e tempi”[9]
. Lui stesso ha
affermato:-[… ]Io scrivo sì in lingua inglese, ma la melodia di quell'inglese,
la sua accentazione, è caraibica. [….] trasfigurata e piegata in una melodia
personale[,…] questa che alcuni chiamavano, e altri si ostinano ancora a
chiamare, corruzione della lingua, è in
realtà la sua forma viva e vitale[10]
[….] “ e posso risponderle ancora con le sue parole: “Noi, nella mia piccola
isola, abbiamo quattro lingue e dunque quattro melodie quattro differenti
melodie: francese e francese creolo, inglese e inglese creolo, quattro lingue
diverse e quattro diversi vocabolari. Lo stesso si può dire di Trinidad, dove
vengono utilizzati l’hindi e l’hindi di Trinidad, l’arabo e l’arabo di
Trinidad, il francese e il francese di Trinidad[…] Insomma, sei o sette
melodie, che costituiscono una ricchezza alla quale attingere ed è una
ricchezza molto superiore a qualsiasi ricchezza che si potrebbe trovare in una
qualsivoglia città europea. Se mi svegliassi a Londra, l’unica fonte alle quale
attingere sarebbe l’inglese. Questa varietà di melodie e di vocaboli è la
ragione per la quale nei Caraibi si è avuta una letteratura insieme molto
giovane, ma estremamente ricca e vitale[...][11]”
[...]
Come sappiamo, le
Antille, luoghi di passaggio sulla rotta
dei commercianti di schiavi, sono state dominate da diversi paesi europei; da
ciò l'estrema frantumazione linguistica che ha impedito il nascere di una
lingua unitaria[12]. Ma, per Walcott, è proprio in questo multiculturalismo e nel
plurilinguismo che si trova l’essenza della creatività e l’elemento identitario
dei Caraibi. La marginalità culturale e linguistica divenne,insomma,una fonte
di energia creativa senza precedenti e lo stesso Impero colonizzatore,
incredibilmente!, come vedremo tra
breve, offrì la prima cassa di risonanza alla nuova produzione letteraria delle
Antille.
Walcott, infatti, raggiunge
una certa popolarità grazie al programma radiofonico della BBC Caribbean
Voices.[13]Un programma di grande successo che permise a
lui,come a molti altri scrittori emergenti, caraibici[14] di essere conosciuti in patria e in Inghilterra. E, ben presto, ci si accorse che quella lingua corrotta, nata per necessità
di esprimere una realtà diversa, era diventata una lingua letteraria, creativa
e innovativa e che materiale pre-occidentale, tradizione europea e nuovi testi, creati in altre isole dell’arcipelago[15], si
erano fusi con accenti e ritmi originali. Paradossalmente,
i migliori scrittori in lingua inglese del periodo furono per la maggior
parte neri e originari delle
ex-colonie e molti tra quegli artisti, autori in bilico tra più culture, sentirono,
poi, la necessità di espatriare per
realizzarsi nel loro lavoro e per ricucire la loro identità frammentata.
Walcott però,ancora
oggi, non crede, che l'abbandono dell'isola possa essere una scelta
definitiva, e tutta la sua produzione,
come la sua vita, si è snodata in un intreccio di fughe e ritorni a significare
lo stretto rapporto con il luogo in cui è nato e cresciuto. Alla creazione di
una patria immaginaria[16], ha preferito un continuo ritorno che diventa,
per lui, pratica di riappropriazione della sua terra, per secoli dominata da un
potere straniero.
[...]
-Descrivere
il luogo nelle letterature post-coloniali è un modo di ri-appropriarsi di terre
che altri – in forza di un potere a loro riconosciuto- hanno descritto
in altre lingue. Ora, la
capacità descrittiva di Walcott, per dirla con Brodskij, è ” veramente
epica “; nasce da un percorso creativo che giunge alla poesia dopo aver
attraversato il mondo della pittura, a lungo praticata dall’autore, che dipinge
ancora oggi splendidi acquarelli. Walcott sente di essere davvero il primo a
scrivere della sua isola e di avere per questo un ruolo adamitico[17],
ovvero di essere, come scrittore,
chiamato a nominare le cose, finora raccontate in un’altra lingua da
chi, turista o colonizzatore, le ha percepite come una serie di cartoline senza
passato, una continua sorpresa dell’occhio nell’estate senza fine dei Tropici.
Tutto ciò possiamo trovarlo già in una delle sue prime poesie:
Preludio[18]
Io, a gambe incrociate
lungo il giorno, osservo
I pugni variegati
delle nubi che si assembrano
Sui tratti nudi di
questa mia isola prona.
Intanto piroscafi che
dividono orizzonti ci rivelano
Perduti:
trovati solo
in opuscoli turistici, dietro fervidi binocoli;
che hanno visto le
città e qui ci credono felici.
1948
[...]
-La
Storia, per Walcott, è qualcosa
di molto complesso e non è sempre interpretata allo stesso modo. Può essere una
notte dimenticata, insonne, in cui il destino della Poesia è innamorarsi del
mondo, nonostante la sua Storia. Walcott, cioè, talvolta, nega la Storia,
perché soggetta all’incostanza della memoria e priva di potenzialità creativa,
e pensa che solo nel suo mondo a-storico l’artista possa esprimersi liberamente, rifugiandosi
nell’immaginazione, come se la Storia si dissolvesse di fronte alla
straordinaria forza e bellezza della Natura. Altre volte, invece, sembra accorgersi che è proprio la Natura a
custodire i segreti della Storia e a svelarli, rendendoli immortali. Nel riappropriarsi del paesaggio,
contemplando e poi ri-nominando i suoi luoghi, , Walcott si accorge [19] che, nel punto in cui si congiungono le acque del
mare caraibico con l’oceano, si annullano per sempre i confini e le differenze;
il poeta si accorge, cioè, che i due mondi distanti tra loro - i Caraibi e il
mondo occidentale- hanno radici e memorie condivise. L’artista, anche se vive ai margini, come i
mulatti nei quadri del Tiepolo, interni al dipinto, ma solo testimoni della
storia rappresentata, riesce a vedere e portare dentro di sé intere culture al di là della Storia.
Omero, con le sue storie che suscitano stupore,
e Dante, con la chiarezza cristallina delle sue immagini, diventano
patrimonio di tutti, anche del selvaggio Calibano.
Ecco perché, con quella lingua ibrida, in cui l’ Inglese si
mescola al patois creolo, Walcott
può scrivere oggi un poema epico di pescatori antillani con nomi
mitici, in pseudo-esametri, raggruppati in terzine dantesche, magari
usate soltanto come un meccanismo musicale per tenere insieme una strofa
con quella successiva[20] e rendere tutto estremamente fluido. Oméros, che dà il titolo al poema, è il moderno aedo che narra un
intreccio di storie parallele di personaggi che hanno in comune un senso di
perdita, di timore e gratitudine nei confronti del creato. La Storia in “Oméros”[21] diventa compassione, pietà per il mutare del
mondo, per ciò che si scolora, come i
sentimenti e la giovinezza. La luce incerta dell’alba e del tramonto commenta l’ira
e il lamento elegiaco del pescatore Achille, “[..] il quieto Achille, figlio di
Afolabe,/ che non è mai salito in ascensore,/ che non aveva passaporto, perché
l’orizzonte non lo richiede,” in cerca della sua identità e contrario alla
sirena corruttrice del progresso. Achille, legato al suo mare e alle sue
origini, ama Elena, incarnazione dell’isola Santa Lucia, in
origine chiamata come lei e, ormai,
altrettanto corrotta:
[… ]
e proprio come una
pantera smette di agitare la coda
per schizzare leggera
nell’erba, Elena sbadigliò e penetrò
nel palmeto stampato
su una tenda, mentre io restavo
ferito da quella
sveltezza felina, dal guizzo
del suo svanire, e
dietro l’aria tremava
divisa dall’eco di lei
che oscillava come un giunco
Elena, ispiratrice d’amore, ben presto
diventa fonte di gelosia e risentimento:
[…]
E in quel momento
Achille fu preda di una pietà[23]
che superava il
dolore. C’era quiete tra le nuvole,
e la luna in una
sottoveste di seta bianca gli stava
sopra. “Cosa?” disse
”Perché sei così troia?”
Perché non mi lasci in
pace e non vai a farti Ettore?
Quel corpo lo hanno
arato più uomini che canoe il mare”.
La lancia del suo odio
la penetrò senza rumore,
ma lei si avvicinò e
gli si stese vicino, e giacquero
come due tronchi
paralleli sulla sabbia chiara di luna.
Sentì gli alberi del
fico abbracciarsi e sorrise quando
il primo gallo lo
cornificò. Elena trovò la mano di lui
e la strinse. Achille
si girò. Lei dormiva. Come una bambina.
- Elena, Ettore, Achille,
Filottete e la sua ferita, Mamma Killman- moderna Sibilla, il maggiore Plunkett-
ex-colonizzatore in pensione, e sua
moglie Maud, che ricama una tela piena di fantastici uccelli dei Caraibi, sono
alcuni dei personaggi indimenticabili del poema, ma il vero protagonista è l’oceano,
quel mare da contemplare o da solcare, mentre le donne rimangono a terra. Fonte
di sopravvivenza, specchio del cielo, luogo di battaglie, ispiratore di calma
interiore e di poesia, nei versi di Walcott, il mare diventa soprattutto
Storia, perché le radici più profonde dei Caraibi dobbiamo cercarle proprio nel
mare:
Il mare è la Storia[24]
Dove sono i vostri
monumenti, le battaglie, i martiri?
Dov’è la vostra
memoria tribale? Signori,
in quella volta
grigia. Il mare. Il mare
li ha racchiusi. Il mare
è la Storia.
[…]
[1] Derek Walcott, “Un
canto di marinai”, (vv. 1-6; vv56-59 ;vv 63-64; vv72-80), da Poesie scelte (1964), in Mappa
del nuovo mondo, Adelphi, 1992; con un saggio di Iosif Brodskij, trad. di
Barbara Bianchi.
[2] Derek Walcott nasce a Santa
Lucia, Caraibi, nel 1930 e vive tra Boston e la sua isola natale. Nel 1992 gli
è stato conferito il Premio Nobel per la Letteratura.
[3] Cfr. Cristina Benicchi, La letteratura caraibica contemporanea,
Bononia University Press, 2010; pagg.141-142
[4] Derek Walcott,” Capre e scimmie”, da Il naufrago e altre poesie (1965), in Isole
/Poesie scelte (1948-2004), Adelphi,2009, a cura di Matteo Campagnoli.
[5] Cfr. La Tempesta di William Shakespeare. Calibano, lo schiavo selvaggio
e ribelle, e Ariel, spirito dell’aria, sono i due servi di Prospero, signore
dell’isola.
[6] Cfr.Braithwaite: ”Le popolazioni
caraibiche erano obbligate a usare una
lingua buona per poter descrivere una nevicata, ma non un uragano”.
[7] Cfr Iosif Brodskij, p. 20, in D.W,
“Mappa del Nuovo Mondo”, op. cit.
[8] Derek Walcott,” La goletta Flight”, in Mappa del Nuovo Mondo, vv 51-63, op.cit. Traduzione di Roberto Mussapi.
[10] Cfr intervista con Derek Walcott, su www.lellovoce.it : “Questo può dirsi anche del
francese. Anche se per molto tempo la poesia antillana francofona è stata
considerata più una corruzione della lingua «madre», che un suo arricchimento.
…”
[12] Nei luoghi affidati
all'amministrazione britannica, all'inglese ufficiale della burocrazia si è
presto affiancato l'inglese parlato dalle originarie popolazioni amerinde
(Creole English) e il cosiddetto nation language, che deriva dalla
fusione dell'inglese con le lingue africane, patrimonio dei numerosi schiavi
deportati ai Caraibi come forza lavoro. Le lingue intrecciate e sovrapposte
hanno prodotto lingue creole a lungo oggetto di proibizioni da parte del
sistema coloniale britannico e delle istituzioni, perché veicolo di cultura
bassa troppo vicina alle radici africane.
[13]
Programma che durò dal 1946 al 1958, sotto la direzione di Henri Swanzy.
[14] I lavori di alcuni di questi nuovi scrittori erano già circolati in forma
manoscritta o comparsi in qualche giornale locale di minima tiratura Tra loro la stessa Louise Bennet della Giamaica, George
Lamming, Edward Kamau Brathwaite
delle Barbados; Wilson Harris
della Guyana; Andrew Salkey,
nato a Panama e cresciuto in Giamaica; V.S.
Naipaul di Trinidad. Tutti loro collaborarono, poi, regolarmente alla trasmissione, da cui ricavarono anche
sostegno finanziario.
[15] Di lingua inglese, francese,
spagnola o olandese
[16] Cfr. Salman Rushdie, nel saggio Patrie Immaginate: ’ Forse
gli altri scrittori nella mia stessa situazione, esuli o emigrati o espatriati,
sono perseguitatidallo stesso senso di perdita, da un forte desiderio di
riappropriazione, di guardare indietro [...], creeremo delle fiction al posto
delle vere città o paesi , fiction invisibili, patrie immaginarie[...]’(RUSHDIE,
1991: 14).
[17] D. Walcott, dal discorso di
accettazione del Nobel, già citato: ‘ questo processo di ri-nominare, di
trovare nuove metafore, è lo stesso processo
che il poeta deve affrontare ogni mattina del suo giorno di lavoro, costruendosi
nuovi strumenti/ utensili come Crusoe. ‘
[18] Derek Walcott, “Preludio”, da In una
notte verde. Poesie 1948-1960, in Isole
/Poesie scelte (1948-2004), op.cit., 2009, a cura di Matteo Campagnoli; vv
1-9.
[19]Cfr. Roberto Calasso in Il rosa Tiepolo, ed. Adelphi, 2006
[21] Oméros (1990)
è un poema epico ispirato alla storia di Ulisse, ma ambientato ai giorni nostri
a Santa Lucia. Non c’è un personaggio principale, ma tre filoni narrativi che
talvolta si intrecciano: quello che narra l’amore per Elena dei due pescatori
amici rivali Achille e Ettore, quello che racconta del sergente maggiore
Plunkett e di sua Maud, e quello che riporta i commenti del narratore e i
racconti dei suoi viaggi. L’opera è suddivisa in sette libri, divisi in
sessantaquattro capitoli;i versi sono degli esametri imperfetti, organizzati in
terzine secondo lo schema della terza rima, tipico della Divina Commedia.
[22] Derek Walcott, ”Il suo sguardo sembrava annoiato” da Oméros, Libro l, cap. VI, iii, vv
54-60, op. cit.
[23]Derek Walkott, ”E in quel momento Achille fu preda di una
pietà”,Ibidem, Libro II, canto XXI, III, vv 25- 36.
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