Penelope Curtis, direttore alla Tate Britain e presidente della Giuria, ha dichiarato vincitrice del Turner Prize 2013 l'artista francese Laure Prouvost con Wantee, una video installazione che dura 30 minuti per un pubblico di 15- 20 persone a volta. L' opera, grazie alla quale Laure Prouvost ha battuto l'artista beat David Shrigley, la pittrice Lynette Yiadom-Boakye e il pluripremiato artista performerTino Sehgal, è stata considerata "notevole per la sua ricca e coraggiosa combinazione di immagini e oggetti in uno spazio profondamente suggestivo". Ispirandosi al lavoro dell'artista Kurt Schwitters, precursore delle moderne istallazioni e degli assemblaggi di materiali di recupero, Laure Prouvost ha immaginato un nonno fittizio, artista concettuale e amico di Schwitters, che decide di scavare un tunnel per arrivare in Africa attraverso il pavimento del salotto, non facendo più ritorno. La storia è raccontata attraverso brevi clips lampeggianti proiettati in una stanza cupa allestita per un tè pomeridiano. Un incontro-scontro tra pezzi di realtà e fantasia i( il titolo Wantee allude al soprannome dato alla compagna di Schwitters, Edith Thomas, che soleva chiedere agli amici "Want tea?".Costruita su memorie personali, l'opera fonde insieme realtà, fantasia, storia dell'arte e l'uso delle moderne tecnologie.
Laure Prouvost, classe 1978, è stata anche vincitrice della quarta edizione del Max Mara Art Prize for Women in collaborazione con la Whitechapel Gallery e ha partecipato
alla mostra Farfromwords alla Collezione Maramotti di Reggio Emilia. In una recente intervista su Marie Claire, alla domanda del perchè sia ricorrente per lei l'immagine del tunnel, così rispondeva:
alla mostra Farfromwords alla Collezione Maramotti di Reggio Emilia. In una recente intervista su Marie Claire, alla domanda del perchè sia ricorrente per lei l'immagine del tunnel, così rispondeva:
"Da bambina facevo s empre dei sogni sulla guerra e sulle persone che si nascondevano nei tunnel, non so perché. Mi piace l'idea che i tunnel siano protettivi ma allo stesso tempo bui. Più in generale, mi capita di lavorare spesso con l'idea di ambienti claustrofobici, e di luoghi da cui non si può più tornare indietro. Lo spettatore deve provare a dare un significato a questi ambienti, che siano specchi e corridoi che disorientano, tunnel da percorrere, lampi di buio tra un respiro e l'altro.[...] L'artista deve offrire delle possibilità, ma in realtà è lo spettatore a “costruire” il 50% dell’opera. Osservando un quadro ne sviluppiamo una visione personale. Non necessariamente noi due ci leggiamo le stesse cose. Questo è il bello dell’interpretazione, che può aprire anche al fraintendimento. In un’equazione di questo tipo sono tante le variabili: attitudine mentale, background, contesto. Per questo è impossibile avere il controllo sull’ interpretazione del pubblico. E la cosa non mi dispiace affatto." (gogo2013)
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