“Dopo quel giorno sulla spiaggiala vidi una sola volta
E il suo viso mi
scosse il cuore, e quell’ incredibile
sguardo mi paralizzò, lasciandomi senza parole.”
Chi parla è
il Poeta, uno dei tanti personaggi che popolano Omeros (1990) di Dereck Walcott, moderno poema epico,
Iliade caraibica in terza rima, dove si racconta del tranquillo eroe- pescatore
Achille, del suo amore, della sua gelosia e del suo struggente desiderio per Elena,
la venditrice di perline e fermagli per turisti dell’isola di Saint Lucia. Perfino
il Poeta rimane folgorato alla vista di quel volto e le sue parole hanno un
forte sapore dantesco. D’altronde Walcott -come lui stesso racconta- ascoltò per la prima volta i versi della Commedia dalla voce della madre insegnante.
Tuttavia, l’omaggio
di Walcott a Dante è nascosto soprattutto nel ritmo del suo poema, in quella
fluidità quasi prosastica dove la terzina -come ci dice nella splendida post
fazione Andrea Molesini, traduttore di
Omeros per la casa editrice Adelphi -
“non è specchio dell’ordine trinitario del cosmo divino,” “né
simboleggia l’avvitarsi del viaggio nelle spirali discendenti e ascendenti di
Inferno e Purgatorio, ma è utilizzata come meccanismo propulsivo, meramente
musicale, della vicenda narrata: un collante tra una strofe e la successiva.”
La
terza rima è per sua natura un metro aperto, che spinge in avanti e genera tensione, ma in quella
di Walcott il verso è
una specie di esametro – molto lungo con una forte cesura al centro- e i
rimandi tra una strofa e l'altra sono creati da rime imperfette e rime interne che sono dei
veri e propri “ .. lacci sonori” (ancora Molesini) che la traduzione può solo
raramente riprodurre.
Ecco come
continua la descrizione di Elena:
[...]
Mi fermai, ma mi servì tutta la forza del mondo
per avvicinarmi al suo chiosco, come a un cacciatore
che si avvicina al ramo dove una pantera acquattata
attende con luce-di-foglia sulla sua seta nera. Starle davanti
e fingere d'essere interessato all'acquisto
di una maschera o di una tshirt? Il suo sguardo sembrava annoiato,
e proprio come una pantera smette di
agitare la coda
per schizzare leggera nell’erba,
Elena sbadigliò e penetrò
nel palmeto stampato su una tenda,
mentre io restavo
ferito da quella sveltezza felina,
dal guizzo
del suo svanire, e dietro l’aria
tremava
divisa dall’eco di lei che oscillava
come un giunco.
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