domenica 9 novembre 2014

CINQUANTENARIO DE "IL SEGNO" di Filippo Davvero (2014)




28 ottobre 2014      Cinquantenario de “Il Segno”


E’ una di quelle occasioni alle quali non si può mancare. Soprattutto se si è un addetto ai lavori. Soprattutto se si è un addetto ai lavori alquanto stagionato. L’occasione è la celebrazione del cinquantenario della galleria Il Segno, forse l’unica galleria storica romana ancora in attività e per di più nello stesso luogo dove ha aperto i battenti nel lontano 1964, a pochi metri dalla bizzarra e inquietante architettura borrominiana del campanile e del tamburo della cupola di sant’Andrea delle Fratte.
In questi cinquant’anni, la galleria di Angelica Savinio ha ospitato i nomi più straordinari dell’arte contemporanea, in una sequenza che ha del leggendario e che annovera artisti come Man Ray, Robert Rauschemberg, Cy Twombly, Lucio Fontana, Gastone Novelli, Andy Warhol, Tancredi, Giuseppe Capogrossi, Alberto Burri, Achille Perilli e perfino le Corbusier e tanti altri che il solo elencarli fa tremare le vene ai polsi.
E’ una meravigliosa storia di arte e di cultura quella de Il Segno, alla quale Roma deve essere grata, come in effetti è, a giudicare dalla sfilata scintillante e mondana di personalità che, dalle diciotto in poi, si susseguono e si intrattengono a conversare amabilmente, rievocare, ripensare esperienze, compiere sintetici quanto lucidi e spiritosi aggiornamenti di arte e di vita. Arrivano, spigliati e salottieri Alberto Arbasino, Lorenza Trucchi, Guglielmo Gigliotti e naturalmente Angelica Savinio, applauditissima, che ha lasciato alla figlia Francesa Antonini la gestione della resistentissima galleria. Insomma, la sequenza dei nomi di tutti i personaggi intervenuti oggi non è meno fascinosa di quella degli artisti transitati in passato da questo spazio prestigioso, tanto che si finisce per indugiare in una sorta di araldica cartografia di identità e di volti, di critici e artisti, galleristi e intellettuali.  E a questo punto voi mi chiederete certamente : ma cosa diavolo c’è da vedere in questa serata straordinaria, dentro lo spazio piccolo ma intenso di questo sacrario dell’arte?
Ma Nulla, naturalmente. Nulla.
O meglio, il Nulla sarebbe stato meglio, probabilmente, a parte il bisticcio.
Non ci sono opere, è chiaro. E neppure fotografie rievocative, né documenti o cataloghi d’epoca. Niente di tutto questoCi sono, invece, i nomi di tutti gli artisti di ieri e di oggi, scritti sul bianco delle pareti presumibilmente da alcuni giovani pittori, come sembra risultare da un video nel quale appunto si vede una paziente, ispirata, scrittura di nomi, da parte di un pensoso giovanotto.
Non si può far altro che concludere, a questo punto, che il cinquantenario della galleria ha preso forma nel più scatenato trionfo del nominalismo che si potesse immaginare, con una suggestiva somiglianza con le ben note diatribe scolastiche nelle quali ci si interrogava sulla effettiva esistenza degli “universali”, così come ci si interroga adesso sulla effettiva consistenza personale e fisica di quei nomi, sospettando che essi siano nient’altro che delle medaglie appese al petto invecchiato della galleria, della quale sembrano voler confermare tuttora l’esistenza.

E’ un’esistenza che viene spontaneo revocare in dubbio, nonostante o forse proprio a causa dello sfrenato “name dropping”, se soltanto si nota che le nuove leve della galleria, anzi i loro nomi, sono un po’ furbescaemente accostati a quelli dei grandi del passato a suggerire una sorta di pantheon nel quale, hegelianamente, tutti i pennelli sono grigi. E’ un’idea malinconica e anche un po’ cinica, che però si fa fatica a reprimere, se solo si guarda alla nuova linea della galleria che non è più angelica e neppure di Angelica. Una linea che, nel proliferare dei fermenti più strani e anche discutibili ma vitali che agitano la città, privilegia un tardo realismo seriosamente sociale che ricorda un po’ la nuova figurazione degli anni sessanta,  la quale oltretutto, ai suoi tempi, non era nuova per niente. (Filippo Davvero 2014)

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