lunedì 14 maggio 2012

Marcia Theophilo

Sono tornata a curiosare in www.marciatheophilo. com  e seguendo un link ho potuto ascoltare un suo intervento/ lettura poetica su Natura e Memoria (www.desertearte.enea.it/lezioni ). E' la storia  dei bambini Giaguaro, che prendono il nome dalla dea Giaguaro, quella che racchiude in sé tutte le forze della natura. Narrata dalla voce di Marcia Theophilo, che è simile a un'orchestra di infiniti suoni, e accompagnata da ritmi e da strumenti brasiliani, seguiamo la storia  dei bambini, sfruttati e perduti nei labirinti metropolitani, ma che portano i nomi dei fiori dell'Amazzonia, mentre marciano verso il nord, verso la terra dove non si muore. Dura poco più di mezz'ora: emozionante!

Nel nostro racconto-antologia di poesie d'amore moderne e contemporanee, con Maria Gabriella Bruni abbiamo sottolineato la fantastica  fusione fra memoria emotiva e mito in Marcia Theophilo ad esorcizzare  la distruzione delle tradizioni e a cogliere l’essenza del tutto.
Ecco, allora, un assaggio del sentimento d'amore per quello che fu lo spazio da lei abitato da bambina, la foresta amazzonica, minacciata da una continua e inarrestabile deforestazione. In questi versi, l’eroe-uccello abbandona il villaggio per far tacere un desiderio che lo consuma e  si allontana volando “nella vastità della foresta”, circondata dal fiume-serpente, divino e camaleontico:
Aquiloni farfalle[1]
Ubirajara se ne andò dal villaggio.
Il desiderio che sentiva di Yací
lo stava facendo morire:
conficcati nel cielo due aquiloni farfalle.
La foresta usciva dalla sua vita, attraverso il fiume.
il fiume scorre a fior d'acqua, il fiume non è acqua,
il fiume è un serpente, è il mare,
riflette quel che tocca,
cambia colore, il fiume non è. È ció che tocca.
Nasce con la vita: io voglio vivere.
Il suolo è fatto di immagini: triangoli e quadrati.
E Ia mia storia con te è finita,
scuoto le ali che ancora avvolgono i nostri abbracci
per vedere come sono le tue carezze quando arriva il giaguaro.
La passione continua trascinando segnali di lussuria
una lussuria insana moltiplicata da freddi pensieri.
La voce consumata in penombra,
turbamenti di cristalli
demenza il contatto silenzioso della tua pelle.
Volando, la testa eretta, nella vastità della foresta.
Fra gli alberi, per i corsi d'acqua,
dai pantani alle pianure tranquille
si udiva il rimbombo della Pororoca:
incontro fra il fiume e il mare.
il mare è un grande lago, un lago immenso.
     
           Le aeree creature tropicali dai richiami inquietanti, con orrore si ritrovano ad abitare in altre foreste:
I bulldozer avanzano[2]
luci lo abbagliano
pensieri feroci lo attraversano...
Scesa la notte Urutau
sceglie il nuovo territorio
Non più eterno, vivrà giorno per giorno
Urutau uccello disperso
il tuo bosco è tra i grattacieli
tra i muri di cemento
è il tuo nido.
            Il mondo polifonico dell'Amazzonia sembra disfarsi con l’avanzare dei freddi mostri meccanici, ma mantiene l'incanto dei suoi antichi nomi che per Màrcia Theòphilo assumono un valore iniziatico. Quei nomi misteriosi e bellissimi di geni benigni o maligni, di creature della foresta e di alberi, possenti e secolari, possono aiutarci a capire le cose:   
Il Boto[3]
Quando nelle sue notti di fuoco Yací spaventata si sveglia
Boto si trasforma
in guerriero e invade il suo letto. Le voci soffocate
nel buio, cresce il silenzio, serpente lui si arrotola
e si avvolge al suo corpo
Poco a poco sale sinuoso, tra le carezze ammorbidendo
l'asprezza delle squame.
Fra i suoi lunghi capelli s'alza dicendo: amore mio
È pietra, è acqua.
Dov'è il suo nido? Navigando fra foglie
archi cipressi lo raggiunge in delirio,
togliendole il respiro: nuvola lei, polpa di frutta matura,
odori selvaggi e colori.
Pensieri senza senso esaltano il suo corpo:
i suoi sensi sette balzi di gatto lascivo,
s'interroga, pensa, singhiozza tra le trecce.
Yacì gli abbraccia le cosce dorate.
Molto lontano comincia il tuo fiume Boto.
In disaccordo s'incrociano sguardi profondi,
Lei cerca forza nelle sue viscere.
Le unghie lacerano i fianchi, le gambe, la schiena di Boto:
Vendetta bramata.
Ascolta il suo nome sussurrato da lui: Yací.
Boto senza rimorso ferisce e lei si scioglie.
Lo cerca nelle notti senza riposo,
nei giorni seguenti arriva inatteso.
Lui appare e lei si esalta.
Cavalli, nidi, uccelli, farfalle,
legni, monti, rami, sfere ruscelli
Boto metà acqua
metà pesce e metà uomo.
Quando ama tocca il fondo del fiume, cavalca travolto
dalle acque, inonda gli arbusti tra le isole.
Yacì stringe le squame fra le braccia
pesce che fugge, sapore di acqua e frutti di mare
Boto, pesce sale -sole-sale. Vita. Respiro.

Boto … Yacì… La  poesia di Marcia Theòphilo nasce anche dalla musicalità delle parole indio-brasiliane.[...] 
(isabnic/ 2009)



     


[1] Da “Il fiume l’uccello le nuvole”( 1982) ed. Rossi&Spera, 1987
[2] Da “Io canto l’Amazzonia”(1985), ed. dell’elefante, 1992
[3] ibidem; il Boto è un delfino fluviale dal bellissimo color rosa.

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